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Le trattative di Matteo Renzi: quello che “il pallone è mio”

Insomma: il problema principale di Renzi è che con un segretario di partito come lui non sarebbe mai diventato Renzi. Ora ci sono i renziani e gli antirenziani. Come alle partitelle dell’oratorio. Come quei mondi in cui conti in base non a chi sei ma a chi ti manda e a chi ti apparitene. Quei mondi da cui Renzi ci prometteva di liberarci. E poi ci ha messo il suo.
A cura di Giulio Cavalli
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Non è un problema di autorità, anzi forse gli piacerebbe che fosse così: quella di Matteo Renzi è volgarità politica, una sbruffoneria dannosa per se stesso e per il Paese e soprattutto un sarcasmo dannoso per una seria discussione politica. La stessa serietà che chiede spesso agli oppositori magari dopo averli chiamati "gufi", "rosiconi" oppure semplicemente smontati con una risata da teppistello di quartiere.

Quindi ha ragione Matteo Renzi quando dice che che risponde "con una risata a chi parla di svolta autoritaria" e ha ragione a definire il "golpe di Palazzo" come "una storiella da bambini" poiché il famoso patto del Nazareno sarebbe una responsabilità di tutti per il dopo Letta. Ha ragione a sminuire, mistificare e sorridere di un modus che ormai è altro rispetto alla politica: Matteo Renzi oggi è il capobanda di un Parlamento che riesce ad essere legittimato solo da se stesso e garantito da un vecchissimo spirito di autoconservazione. La direzione del PD di ieri ormai è semplicemente la messa in scena di un percorso assembleare che è utile a giustificare gli accordi "osceni": Renzi non ci ha spiegato perché le modifiche alla riforma del Senato (che lui stesso definisce "dettagli" e "tecnicismi") debbano essere scavalcate con un compromesso da un parte sola, non ci ha detto perché i "diktat della minoranza" che non molto tempo fa usava come teste d'ariete per avere spazio televisivo (ed era lui, la minoranza) oppure non si capisce perché le primarie che sono state il feticcio delle sue diverse Leopolde ora dovrebbero essere abolite.

Insomma: il problema principale di Renzi è che con un segretario di partito come lui non sarebbe mai diventato Renzi. E questo è il paradigma di una rinnovamento e una meritocrazia che gli sono state utili solo per innestarsi al posto di comando. Se un Presidente del Consiglio avesse dichiarato le stesse cose che si sono ascoltate ieri durante la direzione del PD (trasmessa in uno streaming che costringe tutti ad assumere pose da reality politico e trasformando un assemblea di partito in una lunghissima conferenza stampa di niente ma il nuovo niente 2.0) oggi tutti i giornali lo vedrebbero tuonare contro una "classe dirigente che irride la minoranza", che "è scollegata dalla realtà" e che "non riesce più a parlare al Paese", tanto per prendere alcune su antiche dichiarazioni, pescate a caso. Se oggi Renzi fosse il Renzi rottamatore aspirante premier riderebbe di questo mantra della "speranza che ci salverà" e sicuramente chiederebbe i fatti, le riforme, le azioni così come fece per sbriciolare il precario equilibrio del governo Letta. Se oggi Renzi fosse il Renzi di qualche anno fa piuttosto che presentarsi in una direzione in cui avrebbe perso si sarebbe fatto fotografare in posa da aperitivo con qualche esponente a caso del "giovanilismo democratico". Lui che, ieri, cercava conferma e conforto nello sguardo di quel Lorenzo Guerini che si ispira a Fanfani.

Il problema quindi non è solo di un premier che non ha la cura di usare parole adatte al proprio ruolo (la polemica con Grasso e la figura barbina rimediata con Varoufakis nella sostanza sono uguali alle corna in fotografia di quell'altro) ma soprattutto di un politico abilissimo nella fase critica (destruens, si direbbe) e che si rivela un inetto nel momento in cui si devono costruire le relazioni (costruens, apppunto). Lo strano senso delle trattative di Matteo Renzi (che ieri abbiamo potuto gustare in tutta la sua patetica muscolarità) si riduce ad una dicotomia continua, un duello tra galli che divida quelli che sono con lui e quelli che sono contro di lui. Il "partito più grande d'Europa" non esiste più, nonostante si continui a citarlo, dal momento in cui la classe dirigente viene scelta semplicemente per comunanza di posizione e di interessi piuttosto che per vivacità intellettuale o acume politico. Vicino a Renzi ci sono i renziani, in un partito in cui la vastità di posizioni è sempre stata la forza trainante (nonostante i dissidi interni). Ora ci sono i renziani e gli antirenziani. Come alle partitelle dell'oratorio. Come quei mondi in cui conti in base non a chi sei ma a chi ti manda e a chi ti apparitene. Quei mondi da cui Renzi ci prometteva di liberarci. E poi ci ha messo il suo.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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