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Le sei promesse dimenticate nel primo anno di governo Meloni, che anche voi avevate scordato

Non solo il mancato blocco navale o l’austerità dei conti pubblici. Nel primo anno di governo, Giorgia Meloni ha ‘scordato’ più di un provvedimento, tra quelli che aveva annunciato di voler realizzare in campagna elettorale e ancor prima, negli anni all’opposizione. Abbiamo messo in fila sei dimenticate della leader di Fratelli d’Italia, ripetute a tambur battente prima di arrivare a palazzo Chigi e ora completamente sparite dai radar.
A cura di Marco Billeci
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Nei giorni dell'anniversario della vittoria elettorale, le analisi e  i bilanci sul primo anno di governo di Giorgia Meloni si concentrano ovviamente sugli snodi più complicati del cammino dell'esecutivo, dall'aumento degli sbarchi alle ristrettezze della manovra economica. Ma la strada di Meloni verso palazzo Chigi è stata lastricata di molti altri annunci e promesse, di cui poi nei suoi dodici mesi alla guida del Paese si è persa traccia.

Refrain ripetuti a tambur battente negli anni di opposizione e ancora in campagna elettorale, poi accantonati, proprio nel momento in cui la leader di Fratelli d'Italia avrebbe avuto il potere per farli diventare realtà. Abbiamo provato a mettere in fila alcune delle promesse fatte in passato da Meloni – ora completamente sparite dai radar, tanto che ormai, forse, nemmeno chi l'ha votata (anche) per quei motivi se ne ricorda più.

La super-deduzione del costo del lavoro per i neoassunti

‘Più assumi meno paghi' è stato lo slogan con cui Meloni ha riassunto la sua ricetta economica, nel corso di tutta la campagna elettorale. "Ci impegniamo da subito a introdurre un meccanismo di super-deduzione del costo del lavoro, per chi aumenta il numero degli occupati rispetto agli anni precedenti", spiegava l'allora candidata alla presidenza del Consiglio, in una delle pillole di programma, pubblicate sui social, durante la campagna elettorale.

Un taglio degli oneri per le aziende dal 120 fino al 150 percento sul costo delle nuove assunzioni, con un guadagno di spesa tale, da far impallidire il tanto criticato 110 percento del Superbonus. Il costo dell'operazione era stimato in circa 10 miliardi. Evidentemente, solo una volta arrivata al governo, la premier si è accorta che i soldi per realizzare il suo progetto non c'erano. Risponderebbero i meloniani: "Però abbiamo rafforzato il taglio del cuneo fiscale". Vero, ma era la stessa Meloni a dire che: "Il taglio del cuneo fiscale non basta". Serviva la super-deduzione, di cui adesso nessuno parla più.

Il disaccoppiamento del costo del gas da quello dell'elettricità.

Questo provvedimento, Meloni lo aveva addirittura annunciato come il primo che avrebbe preso una volta al governo. Si tratterebbe, in breve, di correggere una stortura del funzionamento del mercato dell'energia – resa evidente dalla crisi del 2022 -, per cui un aumento del prezzo del gas trascina verso l'alto il costo dell'elettricità, prodotto con altre fonti. "Se l'Europa non si muove, possiamo separare i due mercati con una norma italiana, che costa tra i 3 e i 4 miliardi", spiegava la leader di Fdi prima del voto, dall'autorevole proscenio di Porta a Porta.

L'Europa su questo punto non si è mossa, ma l'intento di separare il prezzo del gas e quello della altre fonti di energia a livello nazionale non è mai diventato realtà. L'ultima volta che Meloni ne ha fatto cenno è stato a dicembre 2022, dicendosi disponibile ad ascoltare le proposte del segretario di Azione Calenda sull'argomento. Poi più niente. E a maggio scorso, il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica Pichetto Fratin ha ammesso che, se mai verrà realizzato, il disaccoppiamento dei prezzi si farà solo a livello Ue.

La battaglia contro i colossi del web.

Era il 2019, dai banchi dell'opposizione alla Camera, l'allora deputata di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni irrideva il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sulla web tax, l'imposta a carico delle big company digitali. "Gli facciamo pagare solo il tre percento – accusava Meloni -. Non volete andare a pestare i piedi ai grandi colossi del web.  Noi proponiamo una tassa sulla base del numero degli accessi".

L'attacco riecheggiava uno dei must del Meloni-pensiero all'epoca: nella lotta all'evasione fiscale non bisogna concentrarsi su imprenditori o commercianti, ma sulle grandi compagnie multinazionali. Dopo dodici mesi di governo, la presidente del Consiglio ha sicuramente confermato un atteggiamento benevolo verso la ‘piccola evasione', tra sanatorie e condoni. Riguardo ai giganti del digitale, invece, l'unica proposta che si ricordi è quella fatta Elon Musk e Mark Zuckerberg, per far svolgere un loro possibile combattimento di boxe, sul suolo di una delle grandi meraviglie dell'Italia antica.

Tetto agli stipendi e stop ai dividendi per imprese e banche aiutate dallo Stato.

Sempre in tema di ‘lotta ai poteri forti', inun'altra delle sue pillole di programma sui social, durante campagna elettorale, Meloni tuonava: "In un'azienda in crisi che ricorre alla cassa integrazione, lo stipendio dei manager deve essere sottoposto allo stesso tetto, vigente per i dirigenti pubblici. E nell'anno successivo non ci devono essere dividendi da spartire". Stesso discorso per le banche salvate con i fondi  dello Stato. Nel primo anno di governo, queste parole non hanno avuto alcun seguito. In compenso, l'esecutivo ha proposto diverse deroghe, per sforare il limite di 240mila euro di compenso ai vertici di organi e imprese pubblici, da ultimo per i dirigenti della rinata società dello Stretto di Messina.

Indennità di disoccupazione per i lavoratori autonomi

Alla pagina 17 del programma elettorale di Fratelli d'Italia, si trovava la proposta di "istituire una indennità di disoccupazione per gli autonomi che segua le stesse regole dell’indennità prevista per il lavoro dipendente". L'idea – come spiegava Meloni– era quella di fissare un sussidio di disoccupazione, in caso della chiusura di una partita Iva, basato sulle stesse regole della Naspi. Un primo passo verso l'obiettivo finale, cioè un sistema universale di ammortizzatori sociali. Nel programma dei Fratelli d'Italia, il progetto andava sotto il capitolo dal titolo: "Per un vero Stato sociale che non dimentichi nessuno". Dodici mesi dopo, i primi a dimenticarsene sembrano essere stati loro.

L'impignorabilità della prima casa

Per concludere, torniamo a pescare dalla florida fonte di promesse disattese, che sono le pillole video del programma meloniano, distribuite sui social, prima del voto. Il 29 agosto 2022, Giorgia Meloni se la prendeva con la sinistra che "in tanti anni di governo ha aggravato la crisi economica, con politiche distanti anni luce dai bisogni delle persone". E annunciava che Fratelli d'Italia al governo avrebbe approvato una norma per l'impignorabilità della prima casa. "Se hai piena proprietà della tua abitazione, non ti verrà più sottratta", diceva Meloni. In realtà, la legge già fissa paletti molto stringenti, per circoscrivere i casi in cui è possibile sottrarre la prima casa al proprietario. Regole che – arrivata alla guida del Paese – la premier non ha a oggi ritenuto di dover cambiare.

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