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Pensioni

Le promesse sulle pensioni che il governo Meloni non ha mantenuto nel Def

Il primo Documento di economia e finanza del governo Meloni ha tracciato la linea sugli interventi più importanti che si vogliono portare avanti. Un punto che è praticamente assente, però, è la riforma delle pensioni.
A cura di Luca Pons
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Il governo Meloni ha pubblicato il suo primo Def, o Documento di economia e finanza. È uno degli atti più importanti nell'attività economica di un governo, dato che traccia il quadro della situazione e delinea quante risorse ci sono per gli interventi da portare avanti. Annunciando il Def, il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti ha insistito molto su una misura in particolare: 3 miliardi di euro saranno dedicati al taglio del cuneo fiscale, con un piccolo aumento in busta paga per i dipendenti. Un tema che nel testo ufficiale del Def sembra sparito, invece, è quello delle pensioni.

Una riforma dei trattamenti pensionistici, infatti, è annunciata solo in un passaggio del documento, quando si parla dei disegni di legge che saranno proposti da qui al 2025: "Interventi in materia di disciplina pensionistica", si legge. Non ci sono altri dettagli, e nelle oltre 400 pagine di documenti che costituiscono il Def non si trova nessuna indicazione più precisa su una eventuale intenzione di riforma.

La ministra del Lavoro, Marina Calderone, oggi ha commentato: "Abbiamo sempre detto che gli interventi sulle pensioni dovevano essere contemperati con le disponibilità di bilancio", e "gli interventi devono essere progressivi", ma "confido che subito dopo l'estate ci sia la possibilità di aprire invece un primo approccio di una riforma che vedrà la luce in tempi più lunghi". Insomma, per adesso non ci sono soldi e se ne riparla fra qualche mese, ma allora la situazione non sarà molto diversa, secondo le stime del Def stesso.

Cosa dice il Def: per le pensioni si spende già tanto e costeranno sempre di più

La spesa per le pensioni è aumentata parecchio nell'ultimo triennio, dai 281 miliardi di euro del 2020 (16,9% del Pil, che è stato molto basso nel primo anno di pandemia) ai 296 miliardi nel 2022, pari al 15,6% del Pil. Nei prossimi anni, il costo aumenterà ancora: +7,1% nel 2023 e 2024, +3,1% nel 2025 e 2026. In termini assoluti si parla di 317 miliardi di euro nel 2023 che diventeranno 361 miliardi nel 2026. In termini di rapporto con il Pil, dato che è prevista una crescita economica più o meno costante, si salirà dall'attuale 15,6% al 15,8% nel 2023 e poi al 16,1%.

L'aumento sarà in gran parte causato dall'adeguamento al "notevole incremento del tasso di inflazione", che ha toccato l'apice a fine 2022 e resterà sopra il 2% per almeno i prossimi due anni. Nella spesa in più, quindi, non è considerato l'effetto di una riforma delle pensioni, probabilmente perché il governo Meloni non ha ancora chiaro in che modo possa essere formulata questa riforma.

Anche perché l'esecutivo è obbligato a rispettare certi paletti di bilancio: nel Def si ribadisce che, "con immutata coerenza", il governo intende ridurre il debito pubblico e il deficit, cioè la differenza tra entrate e spese in un anno. Il deficit in particolare sarà al 4,5% del Pil quest'anno, al 3,7% nel 2024, al 3% nel 2025 e al 2,5% nel 2026. Per quanto ci sia anche la stima che il Pil crescerà costantemente in quel periodo, queste cifre non lasciano grandi margini di spesa.

In passato l'esecutivo si è difeso dalle accuse dicendo che la riforma pensionistica è un "obiettivo di legislatura", da completare entro la fine del mandato nel 2027 e non subito. Tuttavia, si potrebbe obiettare che il Def fa un quadro fino al 2026, quindi sarebbe esattamente il tipo di documento in cui includere – o almeno citare con qualche indicazione di massima – un obiettivo da realizzare sul lungo periodo.

Ci sono anche previsioni per un periodo di tempo molto più ampio, come da prassi per il Def. Secondo queste stime, che si basano sull'andamento della popolazione e altri fattori macroeconomici, la spesa per le pensioni in rapporto al Pil continuerà ad aumentare per i prossimi vent'anni.  Nel 2019-2022 è aumentato il numero di persone andate in pensione, a causa delle varie forme di pensionamento anticipato e dell'invecchiamento della popolazione, e questo trend è destinato a continuare. "Dal 2030 in avanti", si legge, il rapporto spesa/Pil aumenterà "fino a raggiungere il 17% nel 2042", a causa dell'aumento "del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati". Solo dopo, con il calo della popolazione pensionata, il rapporto con il Pil tornerà a scendere.

Cosa ha fatto finora il governo Meloni sulle pensioni

Nella legge di bilancio per il 2023, approvata lo scorso dicembre, gli interventi principali in materia pensionistica sono stati quattro. Due riguardano gli assegni: da una parte l'aumento temporaneo, solo nel 2023 e 2024, delle pensioni pari o inferiori al trattamento minimo Inps; dall'altra la revisione del meccanismo di indicizzazione, sempre per due anni, per cui le pensioni più alte sono state aumentate di meno, in proporzione, rispetto alla crescita dei prezzi. Le altre due misure intervengono sull'accesso alla pensione: sono la possibilità (molto ridotta) di opzione donna e l'introduzione della cosiddetta quota 103.

Quota 103, cioè l'accesso alla pensione per chi ha almeno 41 anni di contributi e almeno 62 anni di età, causerà nel 2023 un passivo di 572 milioni di euro, che diventeranno 1,1 miliardi nel 2024. Non un costo particolarmente alto, considerando che la precedente quota 100 è costata 7,2 miliardi di euro nel 2022 e 6,8 miliardi nel 2021. La spesa così bassa, che indica che poche persone hanno approfittato di quota 103, è dovuta ai "più elevati requisiti", alla "limitata durata temporale di questa misura" e al fatto che negli scorsi anni molte persone interessate da quota 103 hanno "già goduto dell’accesso anticipato al pensionamento proprio grazie a quota 100", come spiegato nel Def.

Gli interventi hanno avuto un impatto ridotto, quindi. L'aumento delle pensioni più basse, che quest'anno costerà 480 milioni di euro, è temporaneo, così come il cambio nell'indicizzazione che ha tagliato gli assegni al di sopra di una certa soglia facendo risparmiare 2,1 miliardi di euro nel 2023. Quota 103 è stato uno strumento che ha interessato poche persone, e sembra difficile – stando alle previsioni economiche del Def – che ci saranno i soldi per misure più ambiziose a breve.

Cosa aveva promesso il centrodestra in campagna elettorale

Quota 103 è stata, di fatto, un compromesso al ribasso rispetto alla proposta portata avanti dalla Lega, cioè quota 41: pensionamento per tutti con 41 anni di contributi, a prescindere dall'età. Nei mesi in cui si preparava la legge di bilancio, sia il ministro leghista dell'Economia Giancarlo Giorgetti sia il sottosegretario, sempre leghista, allo stesso ministero Federico Freni avevano parlato della possibilità di realizzare quota 41. Lo stesso Matteo Salvini, poco prima delle elezioni, aveva parlato della riforma Fornero: "Sarà la prima legge che cancellerò, in caso di vittoria del centrodestra", aveva affermato. Quota 103 non cancella la riforma Fornero, ma si limita ad aggirarla permettendo un anticipo pensionistico a una ristretta categoria di persone.

Nel suo programma elettorale la Lega ha puntato molto sulle pensioni. Nel testo si affermava: "Puntiamo a riformare e a stravolgere in meglio tutto il comparto pensionistico nazionale", inserendo misure come quota 41 ("i lavoratori raggiungono il diritto alla pensione anticipata di anzianità con 41 anni di contributi") e anche rendendo opzione donna "strutturale".

Fratelli d'Italia, invece, era stato più cauto, pur senza smentire gli alleati leghisti: nel programma elettorale (dove si parlava comunque del rinnovo di opzione donna) c'era un riferimento a alla "flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e accesso alla pensione, favorendo il ricambio generazionale". Una formula poi ripresa anche nel programma condiviso da tutto il centrodestra. Insomma, mentre la Lega prometteva la pensione anticipata per tutti, il partito di Giorgia Meloni si è accodato in parte su opzione donna e si è tirato indietro sul resto, guardandosi bene dal far notare che i conti non avrebbero permesso di varare quota 41. Con il primo Def, però, i nodi sono venuti al pettine, e sulla riforma delle pensioni la strada sembra più che in salita.

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