“Le parole più difficili della mia vita”: il discorso di Roberto Saviano al funerale di Michela Murgia
Pubblichiamo di seguito il testo integrale del discorso pronunciato da Roberto Saviano durante il funerale di Michela Murgia nella Chiesa degli Artisti a Roma. Un ultimo saluto celebrato come atto politico, come voleva la scrittrice: "Roberto ha esaudito un desiderio fortissimo di Michela, addirittura un mandato", hanno commentato dalla famiglia di Murgia dopo gli attacchi subiti da Saviano per le sue parole di addio all'amica.
di Roberto Saviano
Sono le parole più difficili della mia vita. Michela voleva che questa giornata fosse per tutti. Tutti coloro che hanno percorso la sua strada, leggendola, ascoltandola, trovandosi nelle stesse lotte. Mettere insieme tutti coloro che hanno avuto il suo sentire. Me l’aveva detto esplicitamente: "Cosa mi perderò immagina che gran casino di bene…" Vedendo tutto l’amore che riempie questa chiesa Michy aveva ragione.
Michela aveva un talento magnifico che permetteva di ribaltare le cose, era questo che la rendeva così pericolosa ai poteri, sapeva mostrarti velocemente come dietro l’accusato c’era innocenza, come dietro un colpevole c’era una manipolazione del carnefice, come dietro un aggettivo c’era un intero modo di criminalizzare una libertà. Capivi con lei che l’ombra è data dalla luce che non c’è abisso senza superficie. Il conforto non era edulcorare il dolore, il conforto è indicare un sentiero che attraversa il dolore e ti permette di uscirne fuori.
Scrivere era questo per Michela Murgia, la strada che attraverso il dolore porta fuori alla ricerca della felicità. La scrittura per Michi era una grande fatica, anche se mangiava la tastiera a velocità impressionante, sembrava suonasse quando batteva i tasti, eppure le faceva fatica scrivere perché impiegava troppo tempo da sola forse per questo le piaceva scrivere nei ristoranti e nei bar. Per Michela è la condivisione il senso di tutto, ma spesso per ottenerla devi passare per la solitudine. Quando le cose non andavano ti rispondeva sempre: "Non stare solo, vieni qui".
Era la prima cosa che sentivi come risposta quando al telefono sfogavi dolore, rabbia o tristezza: "Dove sei? Non stare solo". Le scelte di Michela possono essere sintetizzate in questo “non essere soli” “non far sentire soli” e “riconoscere le differenze è il primo atto per capire che non siamo soli”.
Ha reso pubblica la sua malattia per mostrare e difendere la dignità possibile sempre, così come diceva che "il tuo valore non si esaurisce in quanto vieni pagato", allo stesso modo la malattia non ti fa smettere di essere quello che sei anzi la prospettiva della fine intensifica la possibilità di reinventare la vita. Perché l’ha reso pubblico? Per non sentirsi sola e non far stare soli chi vive nella stessa condizione.
Eppure sappiate che Michela ha protetto tutti fino alla fine, persino nei suoi ultimi, dolorosissimi, atroci momenti, non voleva nemmeno per un attimo che qualcuno portasse su di sé la sua sofferenza, perché quella poteva invece isolare, far sentire impotenti. E lei è stata abile a non farvi sentire il dolore delle sue scelte di lotta, delle sue scelte pubbliche che le hanno fatto pagare un prezzo altissimo di sofferenza.
Io e Michela ci siamo conosciuti e ci siamo uniti non per quello che abbiamo fatto ma per quello che ci hanno fatto. Noi ci siamo incontrati in questo spazio. In una delle rare confessioni pubbliche su questo Michy raccontò di continue crisi di vomito. Non era nessuna malattia ad innescarle erano le conseguenze dei continui attacchi organizzati, il dossieraggio, la pressione mediatica, l’orrore delle destre populiste (e non solo) che si accanivano. Giornali infami, siti immondi, con il solo compito, anzi mandato, di pestare e intimidire. Insinuare che dietro l'impegno c'è la furbizia del profitto, dietro la denuncia c'è l'accordo, dietro la solidarietà la perversione.
Non provavano negli attacchi a Michela nemmeno a smentire ciò che diceva era solo un dire questi "non sono migliori di noi siamo tutti la stessa munnezza". E la vita tutta di Michela è la prova finale che si sceglie per essere differenti. E Michela per anni, per anni, è stata bersaglio e ha nascosto questo dolore dentro di sé non voleva che nessuno scudandola si prendesse i proiettili diffamatori destinati a lei, pativa però il silenzio degli amici.
In questo Paese è stato possibile che si considerasse una scrittrice, una intellettuale, una attivista come rivale politico, un nemico politico. Ma tra chi ha potere e un intellettuale non c’è reciprocità al contrario c’è sproporzione. Un parlamentare ha l’immunità e un potere reale, ha il Parlamento stesso a disposizione della propria protezione, l’intellettuale ha invece solo la sua voce, può offrirla o sottrarla, nient’altro che le sue parole e il suo corpo. Attaccare sistematicamente Michela aveva ed ha il solo scopo intimidire chiunque decida di esporsi, mostrare cosa ti aspetta se attacchi i poteri. E vi hanno fatto credere, spargendo infamia, che fossimo noi a diffondere odio, noi che avevamo invece deciso, con fermezza, di reagire a tutto questo orrore.
Uso il plurale in questo momento perché mi da l’illusione di non essere solo perché Michela è voluta stare accanto a me nei processi in cui sono finito e qui dinanzi a quest’ultimo saluto non posso che darle tutta la mia gratitudine che non sono riuscito a compensare e mai riuscirò. Perché durante le notti e i pomeriggi più difficili Michela c’era. E quando qualcuno ci riportava l’infamia degli attacchi lei era abilissima come al solito nel ribaltare:
"Non sei contento?"
"Ma in che senso contento? Questi ci stanno riversando tutti gli haters possibili..."
"Beh, innanzitutto non sei solo, siamo io e te, già in due ci smezziamo tutta la merda, tutto l’orrore… e poi lo vedi, ci stanno venendo dietro siamo noi a dettare l’agenda delle cose di cuoi parlare, perché, Robi, il racconto della realtà stiamo riuscendo a farlo noi, devi avere fiducia in chi legge sa distinguere".
Ma a farle più male non sono stati gli squadristi dell’informazione, quelli che hanno fatto davvero del male a Michela quelli che avevano un piede qui e un piede lì, quelli che non hanno preso posizione e non perché spaventati lei lo ribadiva: "Dobbiamo rispettare la paura", non a tutti possiamo chiedere di esporsi e pagare. Ma i pavidi per interesse, quelli che erano, sono e saranno a metà per convenienza: sono loro, con il loro opportunismo che spacciano per moderazione, con la loro mancanza di orizzonti, con il loro pantano, ad aver reso la vita di Michela difficilissima. Solo loro che hanno più fatto male a Michela e sono questi mezzi, né contro né a favore, quelli che scelgono di non schierarsi tramutando l’ignavia in una posizione superiore verso l’agone ma di fatto complice verso chi risulta vincitore dall’agone.
Michela ha saputo lottare e lottare significa avere sempre nuovi orizzonti di felicità. E lei sceglieva di prendere parte, perché il silenzio dinanzi all’orrore l’avrebbe resa infelice, sapeva perfettamente che prima o poi avrebbe pagato un prezzo. Lo sapeva. Ma scegliere di battersi per i diritti, di smontare le menzogne, di parteggiare per una possibilità di realizzare percorsi politici giusti, era l’unico modo per sentirsi in asse con se stessa.
Il percorso di Michela è sempre andato nella direzione della libertà, di tutti anche e soprattutto di chi viveva e pensava diversamente da lei, perché i diritti moltiplicano le libertà. I diritti non impongono ad altri di agire, permettono a chi vuole scegliere, semplicemente, di avere riconosciuta la possibilità di vita. E alla vita che Michela ha dedicato ogni energia: “perché strade sicure le fanno le persone che le attraversano, le case sicure le fanno le luci dentro accese, i Paesi sicuri li fanno i popoli che rispettano i diritti degli ultimi, e un mare è sicuro non quando un confine lo divide ma quando una nave lo attraversa da sola.
Buona traversata, Michela mia.