Per prima cosa: Giorgia Meloni avrebbe dovuto ringraziarci per l'inchiesta su Gioventù Nazionale, se davvero pensa che “chi ha sentimenti razzisti, antisemiti o nostalgici semplicemente abbia sbagliato la propria casa” iscrivendosi a Fratelli d’Italia. Così fosse, l’avremmo aiutata a fare pulizia, e un attestato di gratitudine – anche solo un messaggino privato – sarebbe stato gradito.
Così non è stato, invece. Giorgia Meloni ci ha attaccato duramente. Ha detto che “nella storia della Repubblica italiana non è mai accaduto quello che Fanpage ha fatto con Fratelli d'Italia”. Che “in altri tempi questi sono i metodi che usavano i regimi". Che spaventiamo i giovani “dall’idea di fare politica”. E che tutto questo si traduce in “un condizionamento della democrazia”.
C’è una ragione eminentemente tattica in questa risposta, ed è sempre la stessa: Meloni, così come Donzelli, Bocchino, Gasparri, Giubilei prima di lei, vuole spostare l’attenzione dal merito al metodo. Perché il merito della questione, la natura di Gioventù Nazionale come fabbrica di estremisti di destra, è evidentemente un problema talmente grande per la presidente di Fratelli d’Italia, che le conviene esca dalla discussione pubblica quanto prima.
Anche perché, a differenza di quanto dicono Meloni e Donzelli, non è una questione di poche mele marce e di quattro giovani militanti, ma un problema sistemico di formazione politica che coinvolge il primo bacino di formazione della classe dirigente presente e futura del primo partito d’Italia. E che pone seri dubbi sulla capacità di chi governa il partito di arginare queste derive, ammesso e non concesso che non le approvino.
Non è solo tattica comunicativa, tuttavia: non è la prima volta che Meloni, il suo governo e il suo partito attaccano frontalmente la stampa e la sua libertà, e probabilmente non sarà l’ultima. L’attacco frontale di Giorgia Meloni al metodo del giornalismo sotto copertura, metodo usato da secoli in tutto il mondo e che nessun governo democratico ha mai nemmeno lontanamente provato a mettere in discussione, non è che l’ultimo di una lunga serie.
Per dirla semplice: sono le parole di Giorgia Meloni che ci portano in uno scenario da regime, non certo le inchieste giornalistiche. Perché sono parole – non ci vuole uno scienziato della politica per capirlo – che pongono le basi per un intervento legislativo che tuteli i partiti da inchieste giornalistiche come quella che abbiamo condotto all’interno di Gioventù Nazionale. Di fatto, andando a limitare ulteriormente la libertà di stampa in Italia, aggiungendo bavaglio a bavaglio ai giornali che vogliono fare il loro mestiere di illuminare su ciò che accade dietro nel quinte del potere.