Le dichiarazioni di Bruno Vespa e Roberto Vannacci non sono scivoloni. Sono le parole spontanee ma ragionate di due uomini che hanno semplicemente dato il meglio di loro, ed è stato proprio questo il loro limite più grande. Vespa e Vannacci non potevano fare meglio di così, perché non lo sono. Il loro stupore per le contestazioni alle loro parole, lo dimostra.
Bruno Vespa voleva fare loro un complimento e ha parlato di Paola Egonu e Myriam Sylla come un esempio di "integrazione vincente". Tra l'altro, scrivendo, Vespa ha sbagliato il cognome dell'atleta veneta, scrivendo "Enogu" al posto di "Egonu". Poca cosa, si dirà, ma se fosse solo quella.
L'errore non emendabile di Bruno Vespa è questo: le due atlete sono già italiane, non soltanto dunque non era necessaria la sottolineatura della parola "integrazione", ma è stato proprio scorrettissimo il suo utilizzo. La parola "integrazione", in quel modo, è decontestualizzata e mostra tutti i suoi confini culturali. Una parola utilizzata da un uomo bianco di terza età che ha ancora il colore della pelle, bianca o nera, come riferimento e discrimine fra poter essere definiti italiani oppure no. Perciò, quando una persona nera fa qualcosa di buono, pensando magari di essere progressista, afferma con soddisfazione "che bella integrazione". Eppure – ehi, bello, ascoltami! – quella persona nera è italiana quanto te e quanto me, e in più è pure una campionessa sportiva.
Sottolinearne il colore, come ha fatto Bruno Vespa, oppure farle i complimenti un attimo prima di ribadire che "i suoi tratti somatici non rappresentano l'italianità", come ha fatto il generale Roberto Vannacci, significa contribuire alla costruzione dello stesso recinto in cui i coloni americani cavalcavano in Alabama.
Facciamo un passo avanti. A volerla dire proprio tutta, la parola "integrazione" andrebbe estromessa dal contesto della positività in ogni caso, perché l'integrazione ha sfrantumato la pazienza. Non abbiamo necessità di una società che integri, ma di un contesto ampio in cui le persone possano stare bene. Integrare fornisce l'idea di qualcosa che – quando va bene – ne ingloba un'altra. È sbagliato. Non ci deve essere un contenitore più ampio che, sacrificando le differenze, ne ingloba un altro. Perché amputare la diversità per raggiungere l'omologazione non è una strada in cui si incontra la sorella civiltà, che invece cammina per i sentieri del vocabolario ampio.
"Integrazione" funziona esattamente come un'altra parolaccia che tutti abbiamo sentito pronunciare, ed è "inclusione". La nostra società non deve essere inclusiva, ad esempio con le persone transgender, semplicemente perché quelle persone sono già società, ne fanno parte a pieno titolo e la caratterizzano esattamente come le persone cisgender. Perciò non deve esserci nessuna maggioranza che – bontà sua, signora contessa – a un certo punto decide di poterne sopportare un'altra numericamente più piccola e così acconsente alla sua inclusione, inglobandola. Le parole hanno un significato, e se si usano quelle sbagliate cambia il senso e si perdono le ragioni.
Ehi, ribadiamolo, non dovete inglobare nessuna persona, loro sono già società! Al limite è la società civile che prima o poi deciderà di svegliarsi e comprenderà che non è più possibile spezzare il pane e collocare nei posti chiave dell'informazione e della politica personaggi che affondano i loro saperi nel pregiudizio.
Le reazioni alle parole di Vespa e Vannacci sono state per fortuna molte: i dichiaranti non se lo aspettavano, a riprova del fatto che il mondo nel quale nuotano o sguazzano ha perso i riferimenti anche minimi di società civile. Sono rimasti esterrefatti. Si sono sconcertati. Ovvio, erano in buona fede. Almeno fossero stati coscienti delle bischerate scritte, avrebbero potuto correggersi. Invece Vespa e Vannacci, i fratelli VV, sono strabiliati, non si aspettavano il clamore. Vespa, poi, è rimasto allibito e – povero novello dell'informazione Rai – ha cercato di rimediare con un secondo post in cui ha scritto che lui, quando ha parlato di "integrazione", si stava riferendo alla necessaria integrazione "in un mondo più razzista di quanto s'immagini". Senza comprendere che il razzismo è quello delle sue parole. Come il tizio che dopo una puzzetta incolpa il vicino sul treno. Il mondo poco accogliente, spaventevole, è quello in cui si usa il rispetto per marcare una distanza, in cui anche il centro di un apprezzamento ruota intorno al colore della pelle. Come se la sottolineatura fosse necessaria, come si trattasse davvero di un elefante nella stanza, come se il colore dominante fosse il proprio, e come se questo fosse importante.
E invece, questa è la notizia: non ce ne frega niente del colore della pelle, se non per difendere chi ne è vittima. Abbiamo imparato dalla scuola primaria che si può essere italiane e italiani in tanti modo diversi, e che è proprio questa diversità a definire la ricchezza delle persone e di un Paese. Non lo abbiamo imparato sui libri, ma semplicemente vivendo e poi imparando con il tempo a divellere le recinzioni che qualcuno ha sempre costruito nel frattempo, ed evidentemente il lavoro non è ancora terminato.
Ah, quasi dimenticavo: complimenti alla nazionale italiana di volley, medaglia d'oro alle Olimpiadi di Parigi 2024!