La diffusione su scala globale della variante Omicron sta causando un deciso aumento dei contagi in gran parte del pianeta. Le caratteristiche intrinseche della nuova variante, la sua elevatissima trasmissibilità e la capacità di eludere parzialmente la copertura vaccinale, hanno di fatto già ridefinito l’approccio dei governi occidentali alla pandemia. In queste settimane, infatti, stiamo assistendo a una specie di lenta rivoluzione fatta di piccoli passi, aggiustamenti e riposizionamenti, che sta determinando un sostanziale cambio di paradigma nella lotta al virus. Volendo essere approssimativi, diremmo che i governi occidentali si sono arresi al virus e si stanno dirigendo spediti verso l’infezione di massa. Volendo essere meno drastici, dovremmo constatare come Omicron abbia cambiato il concetto di “rischio calcolato” e forse la storia stessa della pandemia. Andiamo con ordine.
Omicron ha fatto crollare ogni modello sulla diffusione del contagio da SarsCov2 elaborato sulle caratteristiche di Delta e sul livello di copertura vaccinale raggiunto da alcuni Paesi. Nessuno si aspettava così tanti casi in così breve tempo, nessuno aveva previsto un calo della copertura vaccinale contro l’infezione così importante (qui un ragionamento più approfondito). La nuova variante ha avuto un impatto deflagrante sui casi anche perché è diventata dominante in un contesto “modellato” su Delta e soprattutto dalla convinzione che le vaccinazioni fossero la garanzia di una nuova normalità. Il dibattito pubblico è stato egemonizzato dal dualismo fra vaccinati e non vaccinati, lentamente si è fatta strada la narrazione della “pandemia dei non vaccinati” e della libertà riacquistata solo grazie ai vaccini. In Italia l’allentamento dell’attenzione da parte dei vaccinati, l’utilizzo del green pass come “scudo protettivo” e la scelta di non applicare restrizioni per contenere la risalita dei casi sono stati il brodo di coltura perfetto per Omicron, con i risultati che stiamo osservando in questi giorni.
Quasi costretto a intervenire, il Governo decideva per l’approccio morbido: dopo giorni di riflessioni e un incomprensibile ritardo persino nella convocazione della cabina di regia, si sceglieva di affrontare la curva dei contagi semplicemente imponendo l'utilizzo delle mascherine all'aperto e le Ffp2 sui mezzi pubblici (senza prevedere controlli stringenti), allargando l'utilizzo del super green pass e diminuendo l'intervallo di tempo per il booster. Mentre ad esempio la Germania, l'Olanda e altre nazioni europee, optavano per scelte più radicali, il governo Draghi sceglieva di spingere sui booster (operazione fondamentale) ma di non intervenire su dinamiche che notoriamente incidono sulla crescita dei casi. Nessun ritorno allo smartworking, nessun prolungamento delle vacanze natalizie per gli studenti, nessuna limitazione agli spostamenti o alle occasioni di socialità tipiche dei periodi festivi.
Ora, alla soglia dei 100mila casi al giorno e con dati in crescita in tutte le Regioni per quanto concerne morti, ricoveri in terapia intensiva e in area medica, arriva anche la decisione di modificare la durata della quarantena sia per i casi che per i contatti. Una scelta simile a quella del CDC americano, criticata ferocemente da epidemiologi ed esperti, che è destinata senza alcun dubbio ad accentuare la circolazione del virus, causando un ulteriore aumento dei casi.
I vaccinati con tre dosi o quelli con super green pass da meno di 120 giorni non dovranno più sostenere periodi di quarantena dopo un contatto stretto con positivi al virus, avranno solo come indicazione quella di "autosorvegliarsi" e di fare un tampone dopo 5 giorni. Solo i non vaccinati dovranno continuare a osservare un periodo di quarantena di 10 giorni. Lo si fa per impedire che milioni di persone in quarantena blocchino i servizi essenziali, dicono. Ma di analisi con dati chiari e proiezioni verificabili sull'impatto dei quarantenati non ne abbiamo e, ancora, non sappiamo quale sarà la ricaduta in termini di crescita del contagio.
La strategia contro la variante Omicron
Riduzione della durata della quarantena, riapertura delle scuole, rinuncia allo smartworking obbligatorio, nessuna chiusura di attività o centri di aggregazione sociale, niente limitazioni agli spostamenti a livello regionale o comunale, conferma del sistema a “colori” malgrado sia stato svuotato di senso (di fatto, con l’obbligo ovunque delle mascherine all’aperto, non ci sono differenze fra zone bianche o gialle e pochissime con quelle arancioni): non è difficile rintracciare il filo conduttore delle scelte operate dal governo Draghi nel pieno dell’aumento dei contagi. È la resa alla variante Omicron, la rinuncia a qualsiasi tentativo di contenimento della diffusione e l’accettazione dell’infezione di massa come esito possibile, non da scongiurare a ogni costo. Di nuovo, c'è solo l'ampliamento del super green pass, che ora servirà anche per i trasporti e per altre attività non essenziali: il tutto, attenzione, dal 10 gennaio, quando Omicron avrà avuto il tempo di infettare altre centinaia di migliaia di persone.
Una scelta che si basa su alcuni assunti che meritano particolare considerazione. In primo luogo, si confida nel fatto che Omicron produca casi più lievi e che le ospedalizzazioni siano più brevi e in numero contenuto. È la riproposizione del tentativo del Regno Unito nella prima fase della pandemia, ovvero provare a reggere l’urto dell’ondata di casi con la forza del sistema sanitario. Alcuni studi evidenziano come effettivamente il tasso di ospedalizzazione dei casi Omicron sia nettamente più basso di quello causato da Delta; alcuni report mostrano un calo dei ricoveri e dei decessi in rapporto ai casi tutt’altro che trascurabile; un’analisi sui dati degli ospedali di Londra, inoltre, suggerisce come il ricorso alla ventilazione assistita sia sensibilmente meno frequente anche tra coloro che sono ricoverati. Altri approfondimenti segnalano come la curva dei contagi cali molto rapidamente con Omicron, lasciando intendere che potremmo trovarci di fronte a un’ondata “breve”. In generale, va poi ricordato che i vaccini sembrano fornire una protezione adeguata rispetto al rischio di malattia severa, sebbene non siano efficaci come in passato nel contrastare l’infezione.
Volendo essere tranchant, il ragionamento è: ci sono più casi, ma gran parte di essi presenta sintomi lievi e le ospedalizzazioni sono gestibili a livello sanitario; i vaccini funzionano bene nel prevenire ricoveri e morti, inoltre sembrano molto efficaci anche i nuovi farmaci per combattere l’infezione; gli interventi di contenimento sono molto costosi e non sembrano risolutivi di fronte a una variante con questo livello di contagiosità. Insomma, non si può bloccare tutto, chiudere le persone in casa (a maggior ragione dopo aver detto per mesi che con il vaccino sarebbe stato tutto risolto) o cambiare il nostro modo di vivere, bisogna entrare nell’ottica della convivenza con il virus e questa “versione” sembra tutto sommato meno problematica della precedente.
Una strategia, oseremmo dire quasi una filosofia, che però presenta diverse falle, che la realtà si sta incaricando di disvelare giorno dopo giorno. Il primo problema è che non sappiamo ancora con certezza come si comporta Omicron, abbiamo studi preliminari, ricerche ancora da confermare e semplici tendenze: poco, troppo poco, per piazzare la scommessa e poi lanciare i dadi. Lo ha spiegato anche Michael Ryan, direttore esecutivo del programma per le emergenze sanitarie dell’Oms: “Ora dobbiamo essere attenti nel cambiare tattiche e strategie immediatamente sulla base di dati iniziali di Omicron. È consigliabile non avere enormi cambiamenti, movimenti nel ridurre le misure di controllo del Covid sulla base di studi iniziali e preliminari”.
In queste condizioni, assieme alle percentuali andrebbero guardati i numeri assoluti: come vi abbiamo spiegato, una variante più trasmissibile è paradossalmente molto più pericolosa di una più letale. Nessun sistema sanitario, per quanto affidabile, può reggere la crescita esponenziale dei casi. Nessun sistema può affrontare un'impennata di ricoveri senza esserne travolto o quantomeno diminuire la capacità di assistere tutti i malati. È vero che la stragrande maggioranza degli italiani è vaccinata, ma ci sono comunque milioni di persone scoperte perché o non vaccinate o in attesa del booster (il che è sostanzialmente lo stesso): come pensiamo di gestire casi del genere senza rallentare la trasmissione del virus? La risposta standard è: vaccinando tutti il prima possibile, anche attraverso l'obbligo vaccinale. Ma anche ammesso che ciò fosse accettato dalla popolazione, parliamo di tempi per forza di cose molto lunghi, durante i quali avremmo comunque a che fare con ricoveri, morti e una pressione su ospedali e personale medico difficilmente sostenibile.
Non andrebbero sottovalutati gli allarmi sulla durata della protezione vaccinale, anche dei booster, che arrivano da alcuni studi pubblicati recentemente. L'efficacia dei vaccini e dei booster contro Omicron sembra calare progressivamente e scendere sotto il livello di sicurezza in poche settimane, eventualità che aprirebbe un nuovo ordine di problemi: davvero è pensabile un richiamo ogni due o tre mesi? Quanto tempo ci vorrebbe per perfezionare e produrre un vaccino specifico per la variante Omicron? Come gestire le infezioni dei vaccinati con booster?
L'infezione di massa non è e non dovrebbe essere un'opzione con Omicron, a maggior ragione perché non c'è alcuna immunità di gregge da raggiungere. Far circolare senza controllo un virus come il SarsCov2 è sempre un colossale errore. Finché non avremmo trovato una strategia globale, implementato le vaccinazioni in ogni angolo del pianeta, il rischio della nascita e diffusione di nuove varianti sarà sempre alto. Potremmo, in sostanza, trovarci ogni volta al punto di partenza. E ricominciare da capo, dopo aver contato decine e decine di migliaia di morti.