Il senatore della Lega Simone Pillon pensa che la scelta dell'Università di Bari di incentivare lo studio delle materie scientifiche da parte delle ragazze sia un riflesso dell'"ideologia Gender", un modo per forzare un individuo ad uscire dai normali binari per cui è stato progettato. Binari stabiliti da chi? Dalla natura ovviamente…
Se anche voi provate un senso di disagio davanti ad affermazioni di questo tipo è perché trovate che frasi come "È naturale che i maschi siano più appassionati a discipline tecniche, tipo ingegneria mineraria per esempio, mentre le femmine abbiano una maggiore propensione per materie legate all'accudimento, come per esempio ostetricia", siano solo l'ennesima manifestazione di sdruciti stereotipi sessisti, tante volte ascoltati, magari dalla bocca di ignari e innocenti padri, nonni, zii, insegnanti.
Ci era arrivato il sociologo Robert K. Merton già nel 1948 a teorizzare il ‘Self fulfilling prophecy', la profezia che si autoavvera, quel fenomeno sociale che si verifica quando un fatto, che in origine non esiste, per il solo fatto di essere considerato vero alla fine si realizza. Lo psicologo Robert Rosenthal estese poi questo concetto al mondo dell'insegnamento: percepire aspettative più elevate su di sé genera un aumento delle prestazioni.
Se dico a una bambina che la matematica non fa per lei se ne convincerà
Se insegno a una bambina che le materie scientifiche non sono adatte a lei alla lunga se ne convincerà. Certi giudizi lapidari si sedimentano nella nostra memoria, vengono assorbiti e introiettati, per poi diventare del tutto normali. E ben si accompagnano ai luoghi comuni più diffusi sulle donne, la cui piena realizzazione non può che avvenire con la maternità, come ci ha ricordato qualche giorno fa il numero due di un importante partito della maggioranza, secondo cui "La donna non è una fattrice, ma si realizza totalmente con la maternità". Così siamo state considerate per secoli e così dobbiamo essere: madri prima di tutto, negli ultimi decenni ‘anche' lavoratrici. Del resto il binomio madre-lavoratrice è l'unico tollerato (in alcuni casi tollerato a stento o mal tollerato) ma guai a omettere il primo termine di questa coppia. Al massimo, se non si diventa madri per disgrazia, per limiti fisici o per gli sfortunati casi della vita, ci si aspetta che comunque la donna accudisca la famiglia allargata o la casa…
Pillon lo ha scritto a chiare lettere nel suo post: "Ovviamente ognuno è libero, e ci sono le sacrosante eccezioni, ma è naturale che le ragazze siano portate verso alcune professioni e i ragazzi verso altre. Imporre ai maschi di pagare più delle femmine per orientare la libera scelta di un percorso universitario è un modo di fare ideologico, finalizzato a manipolare le persone e la società". Tralasciamo il fatto che l'Università di Bari non intende certo accanirsi contro gli studenti maschi, imponendo loro tasse più alte. La proposta riguarda invece l'iscrizione delle studentesse a determinati corsi di laurea tecnico-scientifici, che hanno fatto registrare un tasso di frequenza femminile sotto il 30%: l'idea è quella di abbassare le tasse per le ragazze che vogliono studiare discipline di solito predilette dagli uomini.
Pillon se la prende con "i cultori del Gender, secondo i quali ci DEVONO essere il 50% di donne nelle miniere e il 50% di uomini a fare puericultura". Quello che però Pillon non sa, o più probabilmente finge di non sapere, è che l'Università di Bari non ha lanciato quest'iniziativa in nome di un'astratto bisogno di parità di genere, per fare uno sgambetto ai maschi, o per fare un piacere ai sostenitori dell'ideologia Gender, che vorrebbero eliminare le differenze tra uomo e donna.
In Italia solo il 16% delle donne studia materie STEM
In Italia lavora meno di una donna su due e il 49,8% delle lavoratrici ha contratti part-time. Mentre solo il 28% dei manager nelle posizioni apicali è donna. L'Ateneo pugliese probabilmente ha ben presente le disparità tra uomo e donna, il gender pay gap, che però non inizia nei posti di lavoro, negli uffici, ma comincia molto prima.
Secondo il Global Gender Gap report del World Economic Forum la pandemia ha accentuato il divario che separa le donne dagli uomini nel lavoro: a questi ritmi per eliminare il gap saranno necessari ben 267,6 anni. Ma se l'industria e il progresso tecnologico richiedono laureati sempre più specializzati in materie scientifiche è evidente che le donne saranno sempre più ai margini di questo processo evolutivo, visto che nel mondo meno di 4 laureati su 10 nelle materie STEM (cioè scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) sono donne. In Italia solo il 16% delle donne sceglie per il suo percorso di studi discipline STEM, contro il 34% degli uomini.
Come mostrano i dati rielaborati quest'anno dal Think Tank ‘Orizzonti Politici', anche se ci sono più studentesse iscritte all'università, le ragazze tendono a intraprendere percorsi umanistici. Inoltre anche se le donne che completano la carriera universitaria ottengono in media voti più alti (103,7 contro il 101,9 degli uomini), e nei tempi previsti, non riescono comunque a raggiungere gli stessi risultati dei colleghi uomini nel mondo del lavoro.
Infatti il tasso di occupazione ad un anno dalla laurea dei ragazzi laureati in discipline STEM è più elevato di quello femminile (il 91,8% contro l’89%). Secondo AlmaLaurea (i dati sono relativi all'anno accademico 2018/2019), la forbice si allarga a cinque anni dal conseguimento del titolo: le donne occupate sono l’84% contro il 91% degli uomini. Una distanza che rimane anche nelle retribuzioni: cinque anni dopo la fine degli studi le donne laureate in queste materie hanno in busta paga circa 300 euro mensili in meno rispetto ai colleghi maschi.
Gli stereotipi di genere, ancora una volta cavalcati da Pillon nel suo post, impattano in modo considerevole su queste dinamiche e disparità. Oltre al gender pay gap infatti le donne che vogliono far carriera incontrano anche un altro ostacolo: la convinzione diffusa che le donne siano le figure naturalmente destinate ad occuparsi della famiglia riduce il loro potere contrattuale. Le lunghe pause dal lavoro durante una gravidanza rischiano di metterle in una posizione di svantaggio rispetto agli uomini (che in molti casi magari vorrebbero anche dedicarsi di più ai figli ma i congedi parentali previsti dalla legge non lo permettono) e bloccano possibili occasioni di crescita professionale prima ancora che queste possano prendere forma.