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Le conseguenze dei decreti sicurezza: a rischio il futuro anche di 480 funzionari statali

Sono 480 i profili altamente qualificati, tra neo laureati e giovani esperti che ora, a causa della riorganizzazione dettata dalla stretta all’immigrazione attuata dal decreto sicurezza, non hanno alcuna certezza sul loro futuro. Un ulteriore problema che incide sull’operatività delle Commissioni territoriali, che in teoria avrebbero un ruolo cruciale. È l’ennesima falla nell’impianto dei decreti sicurezza di Matteo Salvini.
A cura di Barbara D'Amico
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C’è un secondo e più insidioso effetto collaterale del decreto sicurezza sul lavoro nel settore accoglienza e tocca direttamente il livello più alto, statale, della gestione dei flussi migratori. Tutto ruota attorno al ruolo delle Commissioni territoriali, istituite nel 2017 dal decreto Minniti con il compito di valutare e decidere in merito alle domande di riconoscimento per la protezione internazionale di persone in fuga da guerra, povertà, disastri ambientali.  Sono 20 in tutta Italia e inizialmente prevedevano 55 sezioni distaccate necessarie per eseguire la prima fase di analisi delle richieste dei migranti. Un lavoro delicato e fondamentale  per decidere sulla concessione dei permessi. Così cruciali che, per farle funzionare al meglio e direttamente sotto i controllo delle prefetture, il Governo aveva assunto, previo concorso pubblico, 480 profili altamente qualificati allo scopo: neo laureati e giovani esperti che ora, a causa della riorganizzazione dettata dalla stretta all'immigrazione attuata dal decreto sicurezza, vivono nell’incertezza di sapere che fine farà il loro ruolo.

Lo spiega bene Florindo Oliviero, coordinatore nazionale per il fenomeno immigrazione della Funzione Pubblica Cgil che sta seguendo il caso dei neo assunti. “Si tratta di un ruolo riconosciuto a livello europeo, di funzionari specializzati con percorsi di laurea e post laurea specifici in diritto internazionale, sociologia, giurisprudenza, scienze politiche e non solo con il compito di fare colloqui molto mirati e approfonditi. Per intenderci sono coloro che poi stilano le relazioni tecniche su cui l’autorità giudiziaria si baserà per esprimere o meno lo status di rifugiato politico del richiedente".

Ma con il calo dei flussi e la stretta sulle concessioni dei permessi ai richiedenti, il lavoro di questi giovani e preparati funzionari viene messo in discussione. Il caos scoppia quando tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 il Ministero dell’Interno decide per la riorganizzazione delle Commissioni che al loro interno prevedono la presenza di un rappresentante dell’Unchr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

All’Unhcr abbiamo chiesto conto dell’effettivo smantellamento delle funzioni delle commissioni e l’organizzazione risponde che “nel 2019 alcune sezioni sono state chiuse, principalmente a seguito della riduzione delle domande di protezione internazionale. Al momento non siamo informati di eventuali ulteriori chiusure di sezioni. Risultano quindi attive 20 Commissioni e 21 Sezioni”. Solo tra giugno e novembre dello scorso anno, riporta l'agenzia a Fanpage.it, sono state destituite due sezioni permanenti a Catania, una a Reggio Calabria, Napoli, Ancona, Bergamo, Latina, Campobasso e Roma e le sezioni temporanee di Firenze, di nuovo Roma, Genova e Milano. A fine settembre la Cgil apre una vertenza nei confronti del Ministero dell’Interno perché da funzionari con uno specifico compito, i 480 profili vengono considerati idonei ad essere riassegnati ad altro ruolo o trasferiti in altre sedi delle prefetture di competenza, anche oltre i 50 km dal luogo inizialmente individuato per il lavoro. Inoltre, poiché parte dello stipendio dei neoassunti è  legato al numero di colloqui effettuati, calando il numero di interviste i giovani funzionari si ritrovano decurtata anche la parte integrativa del salario.

Questo elemento è confortato dal calo degli sbarchi e quindi delle richieste delle persone arrivate in Italia. Nel periodo compreso tra gennaio e settembre 2019, l'Italia ha ricevuto 31 mila 440 domande d'asilo, oltre il 35% in meno rispetto allo stesso periodo del 2018 (fonte Eurostat/Unhcr).  La precarizzazione di personale così altamente qualificato non significa automatica perdita del posto ma uno stato di incertezza legato al ruolo e alle mansioni, ora confermate solo a seconda dei casi e delle necessità organiche.  Al momento a una delle commissioni  più importanti, quella di Bari, il Ministero ha confermato con decreto il proseguimento dell'attività, almeno per quest’anno, compresa anche quella della sezione. Ma per la Cgil si naviga a vista ed è assurdo che personale inserito con concorso pubblico debba subire gli umori dei cambi di politica operati dall’alternanza governativa. Il fatto che non ci sia ancora un’effettiva chiusura delle Commissioni fa però sperare gli addetti in un rilancio del programma di accoglienza.

C'è poi un aspetto più sostanziale del lavoro affidato a questo pool di esperti. Rinunciare alle mansioni di controllo approfondito sulle richieste dei permessi per chi arriva in Italia comporta un effetto domino che rischia di limitare le chance degli aventi diritto e di ingolfare la macchina amministrativa. Solo pochi giorni fa la Cassazione si è pronunciata su un caso di richiesta negata da prefettura e tribunale a un migrante togolese perché il suo racconto per ottenere il riconoscimento dello status sarebbe risultato del tutto illogico e “stereotipato” e quindi impossibile per un giudice da valutare come veritiero.

Cosa vuole fare il ministro Lamorgese

Che le risorse umane nel comparto accoglienza siano cruciali lo conferma indirettamente la stessa ministra dell'Interno,  Luciana Lamorgese, nelle risposte fornite durante l'interrogazione parlamentare del 15 gennaio (qui la trascrizione integrale). Rispondendo al deputato di Più Europa Riccardo Magi, la ministra chiarisce che già dal 23 dicembre il Governo si è impegnato a valutare “un provvedimento che, a fronte dell'immediata disponibilità di un contratto di lavoro, consenta la regolarizzazione di cittadini stranieri irregolari già presenti in Italia, prevedendo, all'atto della stipula del contratto, il pagamento di un contributo forfettario da parte del datore di lavoro e il rilascio del permesso di soggiorno per il lavoratore”.

La proposta è dunque quella di allargare la platea degli aventi diritto al permesso di soggiorno per motivi di lavoro, per evitare che a giugno – periodo in cui orientativamente scadrà il primo scaglione di permessi concessi – in migliaia si ritrovino senza rinnovo e quindi di fatto in regime di irregolarità. Una misura che richiederà un grande sforzo amministrativo su tutto il territorio nazionale. Ma Lamorgese aggiunge anche un altro elemento. Dopo aver ricordato “come la materia delle cosiddette regolarizzazioni sia di particolare complessità”, avverte che per toccare il decreto sicurezza bisogna tener conto di molteplici profili, “sia dal punto di vista tecnico che politico, peraltro riconducibili a competenze attribuite a diverse amministrazioni pubbliche, tra i quali non secondaria rilevanza riveste la determinazione degli oneri connessi e il reperimento delle relative risorse”. Tradotto: mancano al momento sia gli impegni economici sia i profili lavorativi in grado di garantire almeno il primo livello di accoglienza e smistamento per circa 100 mila immigrati a rischio di irregolarità secondo i dati riportati in quella stessa interrogazione.

Quella di Lamorgese è chiaramente un’apertura, una modifica iniziale rivolta a uno specifico target di persone e che però aprirebbe le porte a un intervento più strutturato e invasivo delle norme introdotte dal precedente governo che hanno fatto crollare la concessione dei riconoscimenti dal 28% al 3-4% circa. Per questo lo stato di agitazione che anima parte della commissioni territoriali, e quindi delle prefetture, è indicativo di quanto problematica sarà la ripartenza del sistema accoglienza rimettendo mani al decreto Salvini. Lo ricorda anche l'Unhcr secondo cui le commissioni e le sezioni svolgono un ruolo fondamentale e di avamposto. "Tutti i territori sono importanti, anche quelli meno esposti a flussi di migrazione forzata diretti (rispetto ad esempio a Sicilia, Calabria, Puglia e Nord-Est), anche in considerazione del fatto che chi arriva via mare in genere è ripartito su tutto il territorio nazionale e che è quindi necessario garantire una procedura di asilo efficiente e tempi scorrevoli ovunque".

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