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Le città dei beni comuni: da Napoli un nuovo modello di sviluppo contro il sistema capitalista [REPORTAGE]

Cosa sono i beni comuni? Diritti e servizi nella cui gestione non deve entrare la logica del profitto privato, ma anche spazi di democrazia partecipativa in cui il governo delle questioni cittadine viene esercitato in costante rapporto con la partecipazione dei cittadini. Reportage sul nuovo modello di sviluppo contro la logica del capitalismo fine a se stesso.
A cura di Alessio Viscardi
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Il Forum dei Comuni per i Beni Comuni, questo il nome dell’evento organizzato dall’amministrazione comunale di napoli e dal suo sindaco Luigi de Magistris che – assieme all’omologo barese Michele Emiliano, il cagliaritano Massimo Zedda e il governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola – mette in piedi un movimento con ambizioni nazionali per opporre all’avanzata di governi tecno-finanziari i valori della tutela e della difesa di diritti fondamentali. Ma cosa sono i beni comuni e in che modo le rivendizioni dei movimenti “occupy” possono proporre un’alternativa valida a questo lungo crepuscolo del capitalismo occidentale?

Le città dei beni comuni: un nuovo modello di sviluppo contro il capitalismo

Serge Latouche, filosofo della decrescita felice, rileva nella trasformazione dei beni comuni come terra, lavoro e moneta, la causa profonda della mercificazione del mondo – in un’ottica di crescita infinita e fine a sé stessa. Stessa teoria sostenuta da Ugo Mattei – docente di diritto civile all’Università di Torino e redattore del manifesto dei Beni Comuni del Teatro Valle di Roma – per cui bisogna abbandonare l’illusione di uno “sviluppo infinito in un mondo con risorse finite”. Bisogna trovare un nuovo modello visto che secondo Mattei non staremmo vivendo una semplice crisi finanziaria, ma una crisi ecologica causata dal raggiungimento dei limiti del nostro pianeta.

Se il sistema della crescita è ben rappresentato dal governo tecnico guidato da Mario Monti, un movimento di politici di sinistra si ripropone dal Sud di riaffermare i diritti fondamentali da tutelare attraverso la salvaguardia dei beni comuni. Luigi de Magistris, Nichi Vendola, Massimo Zedda, ma anche gli assenti Nicola Zingaretti, Giuliano Pisapia e Virginio Merola accomunati nella “rete dei Comuni per i Beni Comuni”. Cosa c’è dietro questa sigla: un movimento coeso che vuole un nuovo sistema di sviluppo, oppure un’alleanza che guarda alle elezioni del 2013?

Soprattutto, cosa sono i beni comuni? Il concetto è stato integrato all’interno delle costituzioni di Bolivia ed Equador: “Beni che appartengono alla pachamama e che non possono essere privatizzati” sottolinea Latouche. Il rettore dell’Università di Napoli Federico II, Massimo Marrelli ricorda come la teoria economica di base sia stata contraddetta dalla teroia dei commons, da cui deriva il concetto giuridico di bene comune che Alberto Lucarelli – assessore al Comune di Napoli e docente di diritto pubblico, nonché redattore dei quesiti referendari sulla privatizzazione del servizio idrico – ha compilato in un recente libro. “Secondo la teoria economica, in un villaggio ogni individuo avrebbe tagliato legna o pescato pesce in un lago senza alcun limite, perché interessato soltanto al proprio bene individuale. In realtà, la teoria dei commons dimostra come questo non si verifichi perché esistono beni comuni il cui consumo è limitato dal benessere altrui”. Il preside della Facoltà di Giurisprudenza della Federico II, Lucio De Giovanni, ricorda l’elenco di beni comuni stilato dalla Commissione Rodotà nel 2007: sorgenti, laghi, fiumi, flora, fauna, riserve ambientali, coste, parchi, beni culturali e archeologici – sono tutti elementi di cui l’appartenenza è pubblica e che assolvono un ruolo sociale fondamentale.

La questione della “proprietà del bene comune” è fondamentale, come sottolinea il filosofo Roberto Esposito: “I beni comuni appartengono ai cittadini, a tutti e nessuno” per questo non si tratta di “beni pubblici” che appartengono al demanio, ma di una categoria di risorse nella cui gestione non deve entrare nessuna logica di profitto e tutti gli introiti devono essere investiti per migliorare il servizio. Il prof. Mattei – recentemente nominato da Luigi de Magistris come membro del CDA dell’Abc Napoli (Acqua Bene Comune), società pubblica che sostituirà l’Arin spa nella gestione del servizio idrico in ottemperanza degli esiti referendari – sottolinea anche come il “bene comune” sia uno spazio in cui l’amministrazione deve fare un passo indietro e lasciare che le comunità si auto-gestiscano, attraverso processi di partecipazione attiva e democratica.

Il tema della democrazia partecipata è strettamente connesso a quello dei beni comuni, come ricorda il rettore Marrelli: “La questione dei commons riguarda i limiti allo sfruttamento delle risorse, che possono essere imposti soltanto attraverso processi di democrazia diretta e non con formule economiche”. A Napoli, il sindaco de Magistris e l’assessore ai Beni Comuni, Alberto Lucarelli, hanno dato il via a un laboratorio di democrazia partecipata composto da consulte cittadine sui temi dell’ambiente e della gesione amministrativa. Ogni consulta, come sottolinea il primo cittadino, avrà “poteri deliberativi” – tanto che la Giunta non può prendere decisioni immotivate contrarie ai voleri delle consulte composte dai cittadini.

Riuscirà l’amministrazione di Napoli a cogliere la sfida? L’Italia è pronta ad un’economia dei beni comuni? Cercheremo di scoprirlo nelle prossime puntate della nostra inchiesta incentrate su cultura, acqua pubblica e recupero dei luoghi.

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