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Opinioni

Le cinque cose da sapere sulla riforma del Senato

Tra dubbi, polemiche e controsensi, la riforma del Senato potrebbe arrivare in Aula nei prossimi giorni; Renzi assicura: “Faremo le riforme”. Ma il sospetto è che a credere in questo progetto siano in pochi…
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Anche questa settimana ad occupare interamente o quasi il dibattito politico è la questione della "riforme", tanto della legge elettorale che dell'architettura istituzionale. Nello specifico, è intorno al progetto di ridefinizione di composizione e ruoli del Senato che si gioca la partita principale; non è un caso che solo poche ore fa Renzi si sia spinto fino ad un "penultimatum": "La riforma sarà approvata con 190-200 voti a favore. Tutti devono sapere che o passano le riforme o si torna a votare. Se invece il percorso va a buon fine, la legislatura arriva in fondo". Una minaccia a salve, sembra scontato, dal momento che anche la revisione della legge elettorale sconta ritardi e controsensi (ricordiamo solo l'eliminazione dell'intero articolo 2 dell'Italicum dal testo del Governo, col risultato di aver approvato in prima lettura una legge per la sola Camera dei deputati). Ma in ogni caso, l'ennesima conferma del fatto che il Governo si giochi molto sulla riforma Renzi – Boschi.

Di che stiamo parlando? Della riforma abbiamo parlato nel dettaglio qui, ma un breve riepilogo è sufficiente: "L’impostazione del disegno di legge costituzionale “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione” è abbastanza chiara: una Camera dei deputati con 630 membri, unica titolare del rapporto di fiducia con il Governo, con funzioni di indirizzo, controllo e legiferazione; un Senato della Repubblica di 100 membri, composto da Sindaci, consiglieri regionali e Governatori (più una piccola quota indicata dal Capo dello Stato), che rappresenta le istituzioni territoriali, esercita funzioni di “raccordo”, “concorre nei casi e secondo modalità stabilite dalla Costituzione” alla funzione legislativa e controlla e valuta la politica (e le nomine) del Governo"

A che punto siamo? La relatrice Anna Finocchiaro ha confermato che il disegno di legge costituzionale sulle riforme arriverà nell'Aula di Palazzo Madama questa settimana, con l'esame in Commissione Affari Costituzionali che sarà ultimato in queste ore (con uno slittamento dovuto al malore che ha colto l'altro relatore, il leghista Roberto Calderoli). Le operazioni di voto dovrebbero dunque cominciare martedì prossimo, anche se non è possibile prevedere la tempistica della definitiva approvazione (c'è la data del 20 luglio ipotizzata dai renziani, ma molto dipenderà dal numero degli emendamenti e dal comportamento dell'opposizione). La Commissione ha poi modificato alcuni punti del provvedimento, dalla reintroduzione dell'immunità all'aumento del numero di firme necessarie per le proposte di legge di iniziativa popolare e per l'indizione di un referendum abrogativo (contemporaneamente però dovrebbe essere approvato anche un odg che determini un diverso calcolo del quorum, non più sugli aventi diritto ma sui partecipanti alle ultime elezioni politiche). Vale la pena di ricordare che nel caso in cui il disegno di legge costituzionale non dovesse essere approvato in doppia lettura con una maggioranza di almeno i due terzi delle due Camere, sarà necessario un referendum confermativo senza quorum.

Chi sostiene il ddl Renzi – Boschi? La riforma, con le successive modifiche, è frutto dell'accordo fra Forza Italia e Partito Democratico, impostato dall'incontro fra Renzi e Berlusconi al Nazareno e poi riveduto e corretto nel confronto Romani – Boschi di qualche settimana fa. Alla maggioranza di Governo dovrebbero dunque aggiungersi i voti di Fi e della Lega Nord, ma solo in teoria, dal momento che la questione sembra molto più complessa. Alla "fronda" interna al Pd (che dovrebbe essere più ampia dei soli firmatari della proposta Chiti), bisogna aggiungere il consistente gruppo di senatori forzisti contrari al principio della "elettività di secondo livello" e qualche malpancista dell'area centrista. Insomma, eventuali problemi su emendamenti specifici non sono affatto da escludere, anche considerando la linea dei dissidenti Pd (che citano ormai a memoria il passaggio della direzione in cui Renzi considera "legittimo" il voto in dissenso in Aula).

Quali sono i dubbi più rilevanti rispetto all'impostazione del Governo? Gli elementi di contestazione sono tanti e variamente articolati. C'è prima di tutto la battaglia per l'elettività dei senatori, legata a doppio filo con le funzioni assegnate al Senato che verrà. Come scrive Bordignon su LaVoce, è evidente che "se il nuovo Senato si occupasse di tutto, non avrebbe senso avere parlamentari di serie A (eletti dai cittadini) e parlamentari di serie B (eletti dai consigli regionali); se invece come prevede la proposta – si occupa solo delle funzioni svolte dagli enti territoriali, non ha senso che venga eletto direttamente dai cittadini ed è del tutto naturale invece che vi siedano solo rappresentanti di quest’ultimi". Va detto che sulle funzioni c'è ancora una evidente confusione, legata ai nodi irrisolti della riforma del Titolo V della Costituzione e ai tanti compromessi fatti in sede di discussione preliminare.

Dubbi anche sulla composizione dell'organismo, sia per quel che concerne la presenza di 21 Sindaci (che valore e ruolo avranno? come saranno indicati?), sia per il rischio concreto di trasformare l'Assemblea in un dopolavoro per consiglieri regionali e Governatori, sia infine per l'assenza di un meccanismo sensato di attribuzione proporzionale dei membri in base al numero di abitanti. Altri elementi critici sono poi il ripristino dell'immunità (qui il nostro approfondimento), l'aumento del numero di firme per le proposte di legge di iniziativa popolare, la corsia preferenziale per i disegni di legge considerati "essenziali" dal Governo e infine la persistenza pressocché integrale dei costi della struttura (qui un calcolo dettagliato).

Che c'entra l'Italicum? Nel pieno della discussione sulla riforma del Senato è entrata anche la revisione della legge elettorale. Il teatrino di questi ultimi giorni fra Pd e M5S è determinato in gran parte dalla volontà del Presidente del Consiglio di non aggiungere un ulteriore elemento di tensione nei rapporti con Forza Italia (che non accetterà mai una convergenza sul Democratellum e che in ogni caso non può che guardare con preoccupazione all'eventuale asse Pd – M5S). Chiudere un accordo sulla legge elettorale tenendo fuori Fi, mandando in soffitta l'Italicum e immettendo elementi di novità come l'assenza di sbarramenti o addirittura le preferenze, significherebbe far crollare i precari equilibri su cui si regge il patto con Fi. E quella di trovarsi senza l'abolizione del Senato, con l'Italicum (che per ora varrebbe solo per la Camera) comunque in alto mare, con un fragile accordo con i grillini, con un partito spaccato (a livello parlamentare) e con i mal di pancia dei centristi (che al Senato contano ancora…), non è precisamente la prospettiva migliore per Matteo Renzi. Che continua ad aver bisogno di correre.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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