Le ragioni dei dimaiani: “Il futuro è da costruire, ma restare con Conte ormai era impossibile”
La conferenza stampa con cui Luigi Di Maio ha annunciato l'addio ufficiale al Movimento 5 Stelle è finita da pochi minuti e le chat interne al Movimento iniziano a scoppiare di messaggi. Sono quelli dei parlamentari – 51 alla Camera, una decina in Senato – che hanno deciso di seguire l'ex capo politico nell'esodo e ora si congedano dagli ormai ex compagni di partito, gli attivisti locali, i gruppi di lavoro, prima di abbandonare i gruppi di comunicazione. Qualcuno si dilunga di più in ringraziamenti e saluti, altri sono più secchi. Qualcuno riceve risposte dispiaciute e rammaricate, molti altri raccolgono commenti assai meno carini.
Poi, nei ristornati intorno a Montecitorio, deputati e senatori Dimaiani possono finalmente lasciarsi andare, dopo una giornata passata al cardiopalma. Anche perché, giurano molti di loro, la spinta decisiva verso la scissione è arrivata solo nelle ventiquattro ore precedenti, quando il livello dello scontro tra Movimento e governo sulla questione delle armi all'Ucraina ha raggiunto quasi il livello di rottura. Altre fonti, in realtà, danno un'interpretazione diversa, spiegando che lo strappo era preparato da tempo, almeno da dopo l'elezione del Quirinale. Sia quel che sia, ai tavoli dei fedelissimi del ministro degli Esteri ora si respira soprattutto una sensazione di sollievo.
"Continuare così era impossibile, da mesi era più facile riuscire a parlare con i ministri e sottosegretari degli altri partiti, che con i nostri. Per non dire di Conte, che non rispondeva mai…", si sfoga un deputato. Le critiche al modo in cui l'ex premier sta gestendo il Movimento si sprecano, così come non mancano le risposte piccate a Di Battista che – pur in viaggio verso la Russia – ha trovato il modo di attaccare duramente la scelta di Di Maio. Su tutto, però, prevale un senso di euforia, l'entusiasmo per essere finalmente usciti da un recinto, ormai troppo stretto. "Non avete idea di cosa sono stati per noi questi mesi, finalmente ci siamo tolti un peso", racconta un big del gruppo dei Dimaiani.
Certo, i parlamentari fuoriusciti sono consapevoli che nelle prossime ore saranno oggetto di durissime accuse, da parte di chi è rimasto nel Movimento. Le conoscono bene, d'altra parte, sono le stesse che negli anni anche loro hanno mosso a chi se ne è andato prima. Si parlerà dei soldi che dovevano essere restituiti e non lo sono stati. E della volontà di aggirare la regola del doppio mandato, per provare a riconquistare un seggio alle prossime elezioni. Su questo punto, però, i Di Maio boys ribattono che "la maggior parte dei parlamentari al secondo mandato sono rimasti dentro al Movimento, con noi ci sono soprattutto persone alla prima legislatura". E gongolano all'idea che ora Conte si troverà a dover affrontare la spinosissima questione: "Se prova a parlare di deroghe, Beppe (Grillo) gli toglie il simbolo".
Poi, a tavola, il discorso gira sul futuro, che sta nel nome dei nuovi gruppi parlamentari che si formeranno su iniziativa di Di Maio – "Insieme per il Futuro" appunto -, ma che in realtà è ancora tutto da costruire. A cominciare dalle questioni pratiche: l'elezione del capogruppo, la divisione degli uffici, l'assunzione dello staff di comunicazione, la spartizione delle risorse economiche, che spettano al gruppo parlamentare.
Gruppo che – giurano i Dimaiani – è destinato ad allargarsi ancora. Tra i pesci grossi, si punta al presidente dei deputati M5S Davide Crippa e all'ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. "Alfonso oggi era devastato – racconta un parlamentare, che ha avuto modo di parlarci alla Camera -, con il cuore vorrebbe venire con noi, ma fatica ad abbandonare Conte, perché lo ha portato lui dentro al Movimento". Sembra invece affievolirsi l'ipotesi che alla nuova forza si unisca anche il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri.
Al di là delle contingenze, ci sono i temi di prospettiva. Il primo è blindare il governo Draghi, dato che dallo staff di Di Maio fanno trapelare il timore che a settembre Conte possa strappare davvero, per provare a rigenerarsi all'opposizione, in vista delle elezioni politiche del 2023. E a proposito di elezioni, l'altra grossa domanda è se e come Di Maio riuscirà a garantire la sopravvivenza del suo progetto nella prossima legislatura.
I suoi sostenitori ammettono che il consenso verso la nuova forza politica è da costruire quasi da zero. Ma come e con chi? Non con Calenda, né con Renzi, assicurano. Mentre, invece, il riferimento fatto dal ministro degli Esteri in conferenza stampa al ruolo dei sindaci viene letto come un preciso messaggio verso il primo cittadino di Milano Beppe Sala, che le cronache raccontano impegnato nella costruzione di un soggetto verde e liberale. L'altro punto fermo dei Dimaiani, oltre al sostegno a Draghi, è la collocazione nel campo del centrosinistra, anche perché, sostengono: "Oggi molti del Pd parlano più e meglio con noi che con Conte".
A tutto questo, però, si penserà da domani, o da oggi per chi leggerà questo articolo quando, dopo il giorno più lungo degli uomini di Di Maio, ormai le cene saranno terminate. Per adesso, l'unica vera preoccupazione è che l'acronimo che viene fuori dal nome della nuova formazione "Insieme per il Futuro" – e cioè "Ipif" – suona davvero male. "Sembra il nome di una tassa", scherza uno dei deputati dissidenti al tavolo. Gli altri ridono. Anche questo problema si risolverà, forse. O forse, no. Ma per stasera, intanto Di Maio e i suoi scudieri vogliono soprattutto respirare una boccata d'aria fresca.