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Cambiamenti climatici

Le auto elettriche serviranno a qualcosa solo se le utilizzeremo di meno

Mettiamo subito le cose in chiaro: le auto elettriche sono meno inquinanti e più efficienti di quelle a combustione interna. Ma non sono una panacea.
A cura di Fabio Deotto
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Lo scorso 29 giugno la Commissione Ambiente dell'Unione Europea ha confermato il blocco della produzione di autoveicoli a combustione interna a partire dal 2035. Una notizia che arriva dopo un mese di vistosi smottamenti nel mondo dell'automobile. Da quando a inizio giugno il Parlamento Europeo si è pronunciato positivamente sulla proposta della Commissione Europea, infatti, sembra essere partita una gara a chi arriva primo. Non passa giorno senza che un'altra grande casa automobilistica sbandieri la propria agenda virtuosa ai quattro venti. Audi ha annunciato che dal 2026 introdurrà solo nuovi modelli full-electric e anticiperà lo stop ai motori convenzionali al 2033; Ford ha promesso di anticipare il passaggio alla spina entro il 2030; Honda già nel 2022 venderà varianti elettriche di ogni suo modello; mentre Jaguar addirittura immagina un passaggio completo all’elettrico a partire dal 2025.

Non c’è da stupirsi se in Europa sia cominciata la corsa all’elettrico: nel momento in cui si intravede la fine di un percorso, chi ha basato un business miliardario su quel percorso ha tutti gli interessi a tracciarne uno nuovo ed egualmente profittevole il prima possibile. Ma se la prospettiva di sostituire, di qui ai prossimi 13 anni, tutti i veicoli a combustione interna con vetture elettriche può rivelarsi vantaggioso per il settore automobilistico, questo non significa che lo sarà necessariamente anche per gli obiettivi finali della transizione ecologica.

Le auto elettriche non sono una panacea

Mettiamo subito le cose in chiaro: le auto elettriche sono meno inquinanti e più efficienti di quelle a combustione interna, e prima di procedere è bene soffermarsi su questo. Innanzitutto, un’auto elettrica nel corso del suo ciclo di vita produce in media tre volte meno emissioni di un’auto a combustione interna, e poiché un motore elettrico è 3-4 volte più efficiente di uno a combustione interna, un’auto elettrica risulta più “pulita” anche se l’energia che sfrutta viene prodotta da centrali a gas o a carbone. Nel caso in cui l’alimentazione avvenga con energia prodotta da rinnovabili, le uniche emissioni sono quelle legate alla produzione delle varie componenti, in particolare delle batterie. Bisogna però tenere conto che una volta esaurito il suo ciclo di vita, la batteria di un’auto elettrica può cominciarne un secondo: può essere sfruttata per l’accumulo statico in supporto alla rete elettrica, ad esempio. E anche una volta che non sia più utilizzabile, possono essere riutilizzati fino al 95% dei suoi materiali (dati: Eurac, 2021).

Oggi in Europa il settore dei trasporti rappresenta la principale fonte di emissioni di CO2, con le auto che rappresentano il 60,7% del totale, inoltre è responsabile del 65% del petrolio consumato (dati: Agenzia Europea dell’Ambiente, 2022). Il processo di decarbonizzazione della nostra economia dovrà necessariamente affrontare questo problema, e le auto elettriche avranno sicuramente un ruolo. Ma non è detto, come si sente sempre più spesso dire in questo periodo, che sarà un ruolo centrale.

Le città sono progettate a misura d’automobile

Basta fare una passeggiata in un quartiere di Milano, di Roma, di Torino, o di una qualsiasi metropoli italiana per rendersene conto: le auto parcheggiate occupano buona parte della visuale; siamo così abituati a considerarle parte della tappezzeria urbana, che nemmeno le vediamo, ma sono ovunque. Non stupisce allora scoprire che i veicoli privati rimangano fermi per il 95% del loro ciclo di vita. Le 43 milioni di autovetture oggi presenti in Italia vengono utilizzate in media un’ora al giorno, che diventano due quando vengono impiegati per raggiungere il posto di lavoro. Come fa notare Andrea Coccia nel pamphlet Contro l’automobile (Eris, 2020): “In Italia, 30 milioni di persone si muovono ogni giorno per andare al lavoro o a scuola. Di questi, il 70% lo fa da solo.” Questo significa che se le città sono congestionate dal traffico non è tanto perché ci sia troppa gente in movimento, quanto perché si muovono tutti dentro veicoli che occupano più di dieci volte lo spazio necessario a una singola persona.

Insomma, abbiamo un parco macchine nettamente sovradimensionato rispetto alle reali esigenze. Questo è un problema, in un mondo dove l’inquinamento urbano provoca 7 milioni di vittime ogni anno. Ma lo è anche in vista di una futura transizione all’elettrico. In primo luogo perché, in attesa di una decarbonizzazione del comparto energetico, i veicoli elettrici saranno alimentati principalmente con energia prodotta anche da fonti non rinnovabili, e in secondo luogo perché produrre un’automobile è un’operazione che determina un grande consumo di risorse e un'ingente emissione di gas serra. In quest’ottica sostituire decine di milioni di veicoli nei prossimi 10 anni significherebbe immettere nell’atmosfera enormi quantità di CO2, e innescare un enorme consumo risorse non rinnovabili: in parole povere, esattamente quello che stiamo cercando di evitare.

Gli italiani sono dipendenti dalle automobili, ma vorrebbero guarire

Una ricerca condotta da Findomestic nel 2021 ha rivelato come il 90% degli italiani dichiari di sentirsi “dipendente dall’automobile”, una locuzione che ha sia un’accezione pratica, sia una psicologica: se è vero infatti che da un lato siamo dipendenti dall'automobile perché siamo messi nelle condizioni di doverla usare per molti spostamenti, dall’altro c’è una componente culturale innegabile, legata a decenni di narrazioni che hanno dipinto le macchine come  uno strumenti di libertà personale, come status quo, come protesi irrinunciabili della nostra quotidianità.

È allora più facile capire perché oggi il nostro paese sia ancora indietro sul fronte elettrico: mentre in Europa nei primi tre mesi del 2022 la percentuale di auto a batteria è arrivata a raggiungere il 10% del totale, in Italia questa percentuale è diminuita. E non importa che il nostro paese sia tra i più virtuosi nell’installare colonnine di ricarica, la recente decisione di firmare insieme a Bulgaria, Portogallo, Romania e Slovacchia, una proposta per spostare la data ultima di addio ai motori endotermici al 2040, tradisce una diffusa ritrosia ad abbandonare il vecchio sistema.

E dire che gli italiani, almeno a parole, si mostrano tutt’altro che restii a cambiare abitudini: la stessa ricerca Findomestic rivela che l’88% (contro una media mondiale dell’82%) si dichiara disposto a usare meno l’auto in città e a optare per biciclette, monopattini e mezzi pubblici, per questioni climatiche, certo, ma anche per ridurre lo stress legato al traffico e alla carenza di parcheggi.

Guidare (molto) meno, guidare meglio

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato che ogni città avrebbe bisogno di predisporre almeno nove metri quadrati di spazi verdi per ogni suo residente. Nella maggior parte delle grandi metropoli siamo molto lontani da questa quota, che in media non supera i 2 metri quadri. Non si tratta solo di una questione estetica: gli spazi verdi servono a ridurre l’effetto “isola di calore” e a preservare la biodiversità urbana, oltre ad avere un effetto lenitivo sulle ricadute psicologiche che una città cementificata inevitabilmente produce sui suoi abitanti.

Alla luce di quanto abbiamo visto fino a qui, è chiaro che l’auto elettrica potrà aiutarci nella transizione ecologica, ma fino a un certo punto. Perciò, invece di immaginarci città piene zeppe di auto elettriche, dovremmo immaginarci città sgombre di auto, città dotate di mezzi pubblici articolati ed efficienti, di piste ciclabili sicure e capillari, città che releghino l’automobile privata a mezzo di emergenza, ad appannaggio di chi non ha altro modo per spostarsi, città che reclamino gli enormi spazi sottratti dai parcheggi e dai viali multi-corsia per trasformarli in occasioni di incontro e interazione per la comunità del quartiere. Esperimenti come quelli in corso a Oslo, a Madrid, a Amburgo e a Chengdu dimostrano che si tratta di una prospettiva molto meno utopistica di quanto possa sembrare; anzi, è una prospettiva più ragionevole rispetto a quella di mantenere le città così come sono. Ma perché sia realizzabile c’è bisogno di una trasformazione trasversale, che al potenziamento del trasporto alternativo all’automobile affianchi un potenziamento dello smart-working, una riduzione drastica del pendolarismo, un incentivo alla diffusione di spazi di lavoro da remoto e di co-working.

“Consumare meno, consumare meglio” è il ritornello che sta andando di moda in questo periodo, e sarebbe anche un buon ritornello, se solo non venisse quasi sempre cantato a metà. Se l’obiettivo davvero è quello di ridurre il nostro impatto sul clima e sull’ambiente, allora non basterà consumare meglio, bisognerà prima di tutto consumare di meno. E questo, con buona pace delle case automobilistiche, significherà comprare meno auto.

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Fabio Deotto è scrittore e giornalista. Laureato in biotecnologie, scrive articoli e approfondimenti per riviste nazionali e internazionali, concentrandosi in particolare sull’intersezione tra scienza e cultura. Ha pubblicato i romanzi Condominio R39 (Einaudi, 2014), Un attimo prima (Einaudi, 2017) e il saggio-reportage sul cambiamento climatico “L’altro mondo” (Bompiani, 2021).  Insegna scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Vive e lavora a Milano.
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