L’autunno dei metalmeccanici, De Palma (Fiom): “Per ridare dignità al lavoro serve aumentare i salari”
Che autunno sarà quello della Fiom, con di fronte tanti rinnovi contrattuali importanti e la manovra economica in discussione? Che fase è per i metalmeccanici?
Sarà un autunno difficile e complicato. Perché nonostante siamo riusciti a proteggere il salario delle lavoratrici e dei lavoratori con il contratto nazionale, oggi abbiamo di fronte la scadenza del contrattuale e quindi dovremo costruire la piattaforma per il rinnovo. Contrariamente a quello che diceva la presidente del Consiglio abbiamo il valore meno davanti al prodotto interno lordo e nel Nord del nostro Paese cominciano ad arrivare le prime richieste di cassa integrazione ordinaria. Qualche mese fa il governo raccontava che avevamo il Pil più forte d'Europa, come se le catene di fornitura per esempio dell'industria metalmeccanica non andassero dalla Germania all'Italia e viceversa, la crisi c'è e si sente. I segnali che arrivano sono di un rischio per l'industria metalmeccanica di un rallentamento. Significa evidentemente, con l'inflazione che c'è, con l'aumento del costo del denaro deciso dalla Banca centrale europea di vedere nuove situazioni di crisi industriale sommarsi a quelle in essere.
Salario minimo, reddito, potere d'acquisto e salari. La questione sociale è tornata al centro del dibattito politico. Per il sindacato che vuol dire?
La contrattazione ha una nuova centralità. In questo momento c'è una parte dei lavoratori italiani che non ha visto rinnovati i contratti nazionali, sia nel pubblico impiego che nei servizi, e ci sono invece quelli che hanno conquistato degli aumenti salariali. Parto da noi da metalmeccanici. Noi abbiamo recuperato una parte del potere d'acquisto con 123 euro di aumento. Una parte del potere d'acquisto significa che anche i metalmeccanici non hanno recuperato pienamente il loro potere di spesa quando vanno al supermercato o prenotano una vacanza. Provo a pensare quelli che non hanno visto i rinnovi dei contratti nazionali, centinaia di migliaia di lavoratori per cui la situazione è drammatica. E per questo che ci sarebbe bisogno, più che delle parole e degli spot come i bonus fiscali, di un intervento vero sugli aumenti dei contratti nazionali. Questa è la vera priorità del paese.
Il salario minimo, sul quale le opposizioni hanno trovato una proposta unitaria, è in contraddizione con la contrattazione nazionale come vorrebbero molti dei detrattori?
Il salario minimo non è in contraddizione con la contrattazione, ma esattamente il contrario. Se uno ha un salario minimo e poi c'è un erga omnes dei contratti nazionali, questo rafforza la contrattazione laddove i rapporti di forza dei lavoratori sono più deboli.
Sono centinaia di migliaia i lavoratori e le lavoratrici che nel nostro Paese che lavorano tutto il giorno, torna a casa e quando va a dormire lo fa con la preoccupazione che faticherà a pagare l'affitto e le bollette nonostante un lavoro ce l'abbia. Il lavoro povero è una grande questione. Come se ne esce?
Innanzitutto aumentando, evidentemente, i salari. Noi dovremmo presentare una piattaforma che ovviamente deve andare a recuperare tutto il potere d'acquisto dei lavoratori e redistribuire il valore. Perché quello che non si dice è che la crisi prima del 2008 e poi negli anni del Covid non l'abbiamo pagata tutti nello stesso modo.
C'è una chi ha fatto profitti e se li è messi in tasca. I manager delle grandi multinazionali delle grandi aziende si sono visti aumentare del 600% o dell'800% i propri profitti. Il problema è che invece i lavoratori non hanno neanche recuperato la parte di salario che gli permetteva di poter avere un potere d'acquisto che era quello di qualche anno prima. Ecco perché la stagione dei rinnovi contrattuali, non soltanto in Italia ma in giro per il mondo, diventa un banco di prova importante per il sindacato e anche per la politica.
Venerdì 22 settembre sarete in piazza del Popolo a Roma con migliaia di delegati Fiom. Un incontro che sarà a metà tra la manifestazione e una grande assemblea…
Esattamente. L'incontro manifestazione si chiamerà "I sentieri della dignità". Non vogliamo più lamentarci, non vogliamo più piangere sul latte versato, come spesso accade nel dibattito pubblico. Noi invece vogliamo provare a dire come si fa a cambiare, e chi è che può dare lezioni su come si può cambiare? I metalmeccanici possono sicuramente farlo, dall'informatica alla cantieristica agli appalti e così via. La contrattazione, come ha difeso il lavoro, ha difeso il salario, ha difeso la salute e la sicurezza. Insieme a loro ci saranno donne e uomini della società civile che con le loro pratiche concrete, hanno mostrato cosa vuol dire la dignità. Il 6 ottobre poi torneremo in piazza con tutto la Cgil e centinaia di gruppi e associazioni per una manifestazione che riempirà piazza San Giovanni.
Va bene l'assemblea in piazza. Ma lo sciopero?
I metalmeccanici hanno già fatto uno sciopero, unitario, lo scorso luglio sulle questioni che riguardano le politiche industriali e l'occupazione. Se il governo non aprirà a una vera trattativa con le organizzazioni sindacali, credo che bisognerà arrivare allo sciopero. Ma questo lo decideremo ovviamente a livello confederale della Cgil, ma spero anche insieme a Cisl e Uil.
Che vuol dire ridare dignità al lavoro? Proprio perché diceva poco fa "andiamo oltre gli slogan"…
Non è un caso che in questo momento si stia imponendo il tema della casa e degli affitti. Con l'inflazione e l'aumento dei tassi che stanno facendo salire gli affitti, mentre le persone non comprano più le case, perché oggi non è più nelle condizioni di poter fare un mutuo. Faccio un esempio che conosco bene, visto che anche io sono meridionale. Se uno vince un concorso a Milano piuttosto che a Brescia, oggi, con il salario che percepirà, farà fatica a potersi trasferire per andare a lavorare in una regione del Nord, perché non c'è una casa accessibile dove poter andare a vivere. Ecco, è per questo che il tema fondamentale per noi è come ridare dignità al lavoro. E per farlo dobbiamo anche ricorrere agli strumenti di lotta, come per esempio lo sciopero generale.
Negli Stati Uniti il sindacato del settore automobilistico sciopera mettendo all'ordine del giorno il tema della riconversione ecologica, in Germania abbiamo visto i sindacati scendere in piazza con Fridays For Future con una piattaforma comune. Qualcosa è cambiato nella cultura del sindacato sui temi dell'ambiente e della riconversione ecologica anche in Italia?
Noi sono più di dieci anni che diciamo che senza gli investimenti nell'innovazione e nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni, ci saremmo trovati in una situazione di difficoltà perché il vento non si ferma con le mani. E quindi il punto vero è che si è puntato in Italia più sulla rendita e sulla conservazione che non invece sul piano dell'innovazione. È un'illusione pensare che uno conserva quello che ha se il mondo va avanti e noi corriamo il rischio di perdere occupazione se non facciamo l'innovazione e gli investimenti necessari. Ecco perché quando dodici anni fa dicevamo alla FCA che bisognava produrre le auto elettriche, l'allora amministratore delegato ci diceva che costava 15.000 euro e che quindi in più, e che quindi in Italia non si poteva produrre. A distanza di anni, ironia della sorte, in Italia l'unica auto elettrica che si produce è la 500 elettrica a Mirafiori.