L’Autonomia differenziata spiegata semplice, i pro e i contro e le incognite sui costi
Da un lato le bandiere delle Regioni (quasi tutte del Nord) sventolate in Parlamento; dall’altro l’accusa di aver spaccato l’Italia e di aver legittimato per legge i divari territoriali. L’Autonomia differenziata questa settimana è stata approvata in via definitiva alla Camera e non è stato un iter semplice: lo scontro tra maggioranza e opposizioni è (e sarà) durissimo, con il centrosinistra unito che ha annunciato una raccolta firme per il referendum abrogativo.
Cerchiamo però di capire bene c’è nel disegno di legge, che porta il nome del ministro Roberto Calderoli, cosa dice chi è a favore e cosa dice chi è contro.
Cosa stabilisce il ddl Calderoli sull'Autonomia differenziata
L’Autonomia differenziata è una storica battaglia della Lega: nel 2017 Veneto e Lombardia hanno anche tenuto dei referendum per chiedere ai cittadini se fossero o meno a favore della possibilità di ottenere maggiore autonomia regionale: in entrambi i casi c’è stata una netta vittoria del Sì. Il ddl Calderoli non è una riforma costituzionale: è una legge ordinaria che prevede l’attuazione della riforma del Titolo V della Costituzione, un progetto avviato tra il 1999 e il 2001 da governi di centrosinistra e che ammette la possibilità di riconoscere diversi livello di Autonomia alle Regioni a statuto ordinario.
Il disegno di legge stabilisce che le Regioni che lo richiedono – quelle che desiderano farlo – possano acquisire, dopo un negoziato con il governo centrale, alcune delle competenze che fino a questo momento sono prerogativa dello Stato. In totale le materie che possono essere affidate alle Regioni sono 23.
Cosa sono i Lep e come funzionano
In 14 di queste – come istruzione, ambiente, salute, trasporti ed energia, per citarne alcune – l’elemento chiave sono i Lep. Che cosa sono? Sono i Livelli essenziali delle prestazioni. Nel testo del ddl si sottolinea infatti che diritti civili e sociali vadano sempre garantiti in modo uniforme su tutto il territorio e che i servizi erogati per assicurarli debbano rispettare degli standard sotto ai quali è impossibile scendere. In questo modo, secondo la maggioranza, non ci saranno divari e spaccature tra le Regioni. Un punto su cui le opposizioni non sono d’accordo, ma poi ci arriviamo.
Dal 2001 abbiamo già qualcosa si molto simile ai Lep: si tratta dei Lea, cioè i livelli essenziali di assistenza che vengono fissati per le regioni nell’ambito della Sanità: al momento non tutte riescono a garantirli e le disparità territoriali permangono.
Quali materie possono passare subito alle Regioni
Tornando all’Autonomia differenziata, il disegno di legge prevede che dalla sua entrata in vigore il governo abbia 24 mesi di tempo – quindi due anni – per definire questi Lep attraverso dei decreti. Non sarà possibile trasferire le competenze alle Regioni che lo richiedono prima che siano stati determinati i Lep e assicurati su tutto il territorio nazionale, anche quindi nelle Regioni che non richiedono maggiore autonomia.
I tempi, quindi non sono immediati. Almeno per quanto riguarda queste materie: ce ne sono infatti altre 9 – tra cui la protezione civile, il coordinamento del sistema tributario, l’organizzazione dela giustizia di pace e i rapporti internazionali e con l’Ue – che non sono subordinate ai Lep e che quindi possono essere richieste anche immediatamente dalle Regioni.
Cosa dice chi è a favore
Veniamo ai pro e contro. Per i suoi sostenitori, grazie all’Autonomia le amministrazioni regionali diventerebbero più efficienti nella gestione del loro territorio, erogando migliori servizi per i cittadini. Per dirla in altre parole, le Regioni conoscono meglio le particolarità locali e possono quindi rispondere in modo più efficace alle problematiche del territorio, rispetto a quanto non farebbe il governo centrale.
La questione principale, però, è di tipo economico: con l’Autonomia le Regioni riuscirebbero a trattenere sul territorio maggiore gettito fiscale per finanziare le proprie misure. Per tanti governatori del Nord questo significa riuscire a utilizzare le risorse raccolte e non vederle disperse.
Cosa dice chi è contro
Ma chi è contrario all’Autonomia ritiene invece che questo meccanismo non farà altro che aggravare i profondi divari che già esistono tra Nord e Sud. Consentendo alle Regioni più ricche di trattenere il gettito fiscale, invece di inviarlo a Roma e lasciare che venga redistribuito dal governo centrale, quelle più povere si troveranno con ancora meno soldi e di conseguenza avranno più difficoltà a garantire i servizi. A risentirne saranno i cittadini che, sottolineano dalle opposizioni, non hanno colpa se nascono in una Regione piuttosto che in un’altra.
Inoltre, sempre per i contrari, perdendo il controllo su voci importanti di spesa per lo Stato diventerebbe più complicato programmare le misure politiche nazionali e questo avrebbe un impatto sul generale sviluppo del Paese. Una normativa frammentata, inoltre, potrebbe pesare su investimenti e attività di impresa.
I nodi da sciogliere su costi e risorse
Al di là delle posizioni sul merito del principio di Autonomia, ci sono dei nodi e perplessità per quanto riguarda il progetto messo in piedi dal governo Meloni. Nel testo si stabilisce infatti, all’articolo 9, che dalla legge non debbano derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Ma all’articolo 4, quello sulla definizione dei Lep (senza la quale, lo ricordiamo non può avvenire il trasferimento di competenze alle Regioni) si ammette che nel determinare questi livelli essenziali delle prestazioni possano derivare nuovi o maggiori oneri finanziari. Si specifica comunque che i Lep vadano delineati, insieme a relativi costi e fabbisogni, nei limiti delle risorse rese disponibili dalla legge di bilancio.
Non è ancora chiarissimo, quindi, in che modo si risolverà concretamente la questione delle risorse per stabilire i Lep. I chiarimenti, forse, arriveranno con i decreti che il governo dovrà approvare da qui ai prossimi due anni.