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Opinioni

L’arresto dei tre attivisti per il clima di Ultima Generazione dipende da un’aggravante del decreto Salvini bis

Dopo la protesta con il lancio di vernice lavabile contro la facciata del Senato, tre manifestanti di Ultima Generazione sono stati arrestati: per capire perché bisogna tornare all’estate 2019, quando il governo gialloverde cambiò il codice penale.
A cura di Roberta Covelli
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Nella mattinata di lunedì 2 gennaio, alcuni attivisti di Ultima Generazione hanno lanciato della vernice lavabile sulla facciata di Palazzo Madama. Si è trattato di un’azione di protesta contro gli investimenti pubblici in combustibili fossili e, più in generale, verso la mancata presa di coscienza delle istituzioni sul tema del cambiamento climatico. Oltre alle reazioni sdegnate della politica, l’iniziativa ha avuto come effetto l’arresto di tre attivisti: la ragione per cui sono stati arrestati, per danneggiamento aggravato, dipende da una modifica del codice penale introdotta tre anni e mezzo fa da Matteo Salvini.

Tra porti chiusi e Papeete, il decreto Salvini bis cambiò il codice penale

L’accusa mossa agli attivisti è infatti il reato di danneggiamento aggravato, uno dei reati modificati dal cosiddetto Decreto sicurezza bis, ossia il decreto legge 53/2019, varato dal governo gialloverde nell’agosto 2019. Era l’estate del caso Sea Watch e di Salvini al Viminale che prometteva porti chiusi, come ultimo atto prima della pretesa di pieni poteri e della crisi del Papeete. Con la scusa di chiudere i porti, però, quel decreto toccò anche il codice penale, con un approccio repressivo rispetto alle manifestazioni. Con il Decreto sicurezza bis, infatti, la manifestazione diventa un’aggravante generale per reati contro pubblici ufficiali, per cui le pene vengono aumentate fino a essere superiori a quelle previste per crimini di maggior allarme sociale.

Che cosa si intende per danneggiamento

Oltre all’aggravante generale, poi, vengono introdotti inasprimenti delle pene per singoli reati, tra cui anche il delitto di danneggiamento, quello attribuito agli attivisti di Ultima Generazione. Secondo l’articolo 635 del codice penale, "chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui con violenza alla persona o con minaccia" è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La stessa pena, pur senza violenza o minaccia, è prevista per il danneggiamento di edifici pubblici o situati nei centri storici, ed è questo il caso di Palazzo Madama, la sede istituzionale del Senato. Gli attivisti, quindi, vengono incriminati per danneggiamento, pur in assenza di violenza o minaccia, per via dell’importanza dell’edificio colpito.

L’aggravante aumenta la pena, la pena aumentata permette l’arresto

L’accusa, però, è di danneggiamento aggravato, perché ricorre il comma introdotto dal decreto Salvini bis: se infatti il reato è compiuto "in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico", la pena non è più da sei mesi a tre anni, bensì da uno a cinque anni di reclusione.

Questo aumento della pena non ha effetto solo sulla (eventuale) condanna, ma già immediatamente dopo il fatto, per l’eventualità (o meno) di arrestare gli accusati. Perché si possa arrestare qualcuno in flagranza di reato, è infatti necessario che il delitto sia sufficientemente grave. L’articolo 381 del codice di procedura penale prevede quindi la facoltà di arresto in flagranza per i delitti non colposi per cui sia prevista una pena superiore nel massimo a tre anni: prima dell’aggravante Salvini, allora, i tre attivisti non sarebbero stati arrestati.

La repressione penale deve essere proporzionata

L’arresto in flagranza non è una misura qualunque: è una seria privazione della libertà personale, che avviene prima ancora che si esprima un giudice, su iniziativa cioè delle forze dell'ordine. Per questo non basta essere "colti sul fatto", ma occorre che il fatto in questione meriti una misura tanto grave. Era davvero questo il caso?

Il gruppo Ultima Generazione dichiara di ispirarsi a metodi nonviolenti e di attuare forme di disobbedienza civile. Questo implica che non temono di violare la legge, ma decidono di farlo senza commettere violenza sulle persone e senza sottrarsi alle conseguenze, anche penali, delle proprie azioni. E infatti così sembra essersi svolta la protesta: gli attivisti hanno scelto un giorno e un’ora in cui non erano previsti lavori al Senato, hanno macchiato la facciata di Palazzo Madama con vernice lavabile e hanno atteso le forze dell’ordine, senza opporre resistenza. L’arresto è davvero una misura proporzionata, in questo caso?

Per capirci con un esempio, picchiare qualcuno al punto da provocargli lesioni personali non prevede l’arresto in flagranza, perché la pena non è superiore, nel massimo, a tre anni di reclusione. Spruzzare vernice su Palazzo Madama durante una manifestazione richiede invece una repressione più severa da parte delle forze dell’ordine e del sistema penale.

Il problema non sono solo i processi, ma soprattutto la gestione dell’ordine pubblico

Si potrà obiettare che i tre attivisti arrestati saranno comunque interrogati da un giudice e, in caso, subiranno un processo nel quale avranno diritto e occasione di difendersi. Il problema, però, come si è visto, non è tanto nell'eventuale procedimento penale, davanti a un giudice, ma nelle scelte di ordine pubblico da parte di funzionari che dipendono, in maniera più o meno diretta, dal governo. Il problema delle aggravanti penali introdotte dal decreto Salvini bis (con tutte le contraddizioni e i vizi segnalati a suo tempo), insomma, risiede nell'anticipazione della repressione e nel rischio che questa si traduca in intimidazione.

Se infatti una manifestazione pubblica è automaticamente un'aggravante per determinati tipi di reati, e se un'aggravante si traduce nella facoltà di arresto, quanti dissidenti avranno ancora la forza di protestare? E quanto potere in più finisce nelle mani di chi gestisce l'ordine pubblico, o, in altri termini, di chi dipende dal Viminale e dal Governo?

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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