Per capire cosa sia successo in questi giorni è opportuno mettere da parte i toni roboanti e i giudizi tagliati con l’accetta (“un trionfo”, “una vittoria epocale”, “game, set and match”, per capirci), per ancorarci invece ai fatti, a ciò che resta dopo il lunghissimo vertice europeo di Bruxelles. Al di là delle interpretazioni e delle necessarie precisazioni su quello che è comunque un compromesso, l’accordo sul Recovery fund è storico, proprio perché per la prima volta l’intera Unione Europea sceglie di indebitarsi per sostenere Paesi membri in difficoltà. È realtà il “debito comune”, ipotesi considerata irricevibile fino a qualche mese fa non solo dai frugali (anche dalla Germania), ma soprattutto si concretizza un pacchetto di risorse europee mai visto prima, arma essenziale per mitigare gli effetti della pandemia sull’intera area europea. I 750 miliardi di euro del Recovery Fund (di cui 390 a fondo perduto – 312,5 direttamente ai Paesi UE – e 360 in prestiti) si sommano ai 100 miliardi di euro della SURE (per il sostegno all’occupazione) e ai 200 della BEI (la banca per gli investimenti), cui affiancare nel caso anche i circa 240 miliardi di euro del MES; senza dimenticare che la Banca Centrale Europea aveva già messo sul piatto circa 1350 miliardi di euro per acquisti di debito per l’emergenza Covid-19. Certo, è un compromesso e tutti hanno lavorato per portare acqua al proprio mulino, ma si è trattato di un epilogo non scontato, di una risposta forte e si spera incisiva dell'intera UE a un problema epocale.
In questo contesto, l'Italia porta a casa un risultato ben più che soddisfacente, niente affatto scontato. Il problema è che la narrazione dello scontro fra i “frugali” cattivoni e affamatori di popoli e gli integerrimi Paesi mediterranei bisognosi di aiuto e solidarietà, con la bonaria supervisione di francesi e tedeschi, non aiuta a capire la complessità delle questioni sul tavolo e rischia di avere ripercussioni enormi e deleterie tra l’opinione pubblica degli Stati coinvolti. Perché se è vero che il nostro Paese è stato il primo dell’area UE a essere colpito con forza dalla pandemia e rischia di pagare il prezzo più alto in termini di crisi sistemica, allo stesso tempo bisogna considerare come da anni l’Italia sia “il malato d’Europa” per crescita, investimenti e riforme strutturali (certo, c’è da capire quali…), nonché uno dei meno trasparenti nello spiegare cosa voglia farci con le risorse europee (e questi primi mesi di gestione delle “risorse Covid-19” non sono stati proprio un esempio di efficienza ed efficacia). Ora toccherà capire come spendere questi soldi, ma anche quanto pressante sarà il controllo della UE e in che modo si concretizzeranno gli strumenti a disposizione dei "frugali" (e non solo) per bloccare eventuali scelte "non compliant".
L'accordo che blinda Giuseppe Conte
Detto ciò, è innegabile che questo accordo rafforzi la posizione di Giuseppe Conte, non solo e non tanto a livello europeo, quanto soprattutto sul versante interno. Anche volendo mettere da parte le ricostruzioni epiche e gli spin al limite dell’imbarazzante che circolano in queste ore, va rilevato come Conte abbia mostrato ancora una volta un approccio ragionevole e un’indole alla mediazione nel merito delle questioni, punti di forza in una trattativa lunga e complessa (cosa già emersa peraltro in occasione della chiusura del dossier Autostrade). Conte è stato in grado di mettere sul tavolo delle trattative le necessità, le rivendicazioni e il peso politico di un Paese intero, il più colpito dalla pandemia e uno dei più risoluti nell'affrontare un'emergenza globale, spingendo anche sul tasto della responsabilità comune dei leader UE nella costruzione di un futuro oltre l'emergenza, questione che si interseca in modo stringente con gli interessi dei singoli Stati. Inoltre, il Presidente del Consiglio ha potuto contare anche sul “non detto”: essere la sola alternativa alla vittoria dei populisti nel terzo Paese della UE, l’unico leader spendibile in funzione “anti-Salvini”, nonché un interlocutore affidabile per l’asse Francia – Germania. Fuori dai denti: non ci hanno fatto un favore e non abbiamo piegato nessuno, abbiamo lavorato a un accordo di compromesso che va incontro all'interesse delle parti in causa (si spera dei cittadini UE), ma che apre molti interrogativi per il futuro specie sulla direzione nella quale ci sarà concesso di utilizzare le risorse a disposizione.
Di riflesso, però, questo accordo blinda e rafforza il nostro Presidente del Consiglio, cancellando le suggestioni Draghi, governissimo, governo tecnico e via discorrendo. Non c’è alternativa a Giuseppe Conte, lo sanno in Europa, lo sanno in maggioranza e anche in parte dell’opposizione. Perché il Presidente del Consiglio non è solo l’interlocutore unico in Europa, ma anche colui che si è assunto la responsabilità della sfida dell’utilizzo di risorse che dovrebbero, o meglio devono, cambiare il corso della storia del nostro Paese (e toccherà esserne all'altezza). In poche parole, la UE si è assunta il rischio del debito comune, ma le chiavi dell'operazione in Italia le ha affidate a Giuseppe Conte. Una simile responsabilità è incompatibile con uno stato di precarietà, lo capiranno presto anche a Roma.
L’accordo rafforza il governo, insomma, nella misura in cui regala margini più ampi per le iniziative di sostegno all’economia (non deve sfuggire anche la possibilità di ottenere rimborsi per le misure coerenti adottate da febbraio 2020), ma anche perché taglia completamente gli spazi di manovra agli oppositori di Conte, dentro e fuori la maggioranza di governo. Chi immagina ribaltoni o clamorose fughe in avanti dovrà assumersi la responsabilità di tagliare un filo vitale tra il premier e la UE, ma soprattutto dovrà scontrarsi con la contrarietà del Colle, dell'asse Parigi – Berlino (che ha scommesso su Conte senza se e senza ma) e delle istituzioni di Bruxelles. Di contro, chi vorrà "mostrarsi responsabile" e far convergere i propri voti per sostenere il governo in caso di emorragia di voti dal Senato, ora ha una ragione in più per farlo. Insomma, win – win per Conte, lose – lose per gli altri.