L’accordo con l’Albania sui migranti e quei numeri sulle domande d’asilo che non tornano
L'accordo siglato tra Giorgia Meloni ed Edi Rama fa acqua da tutte le parti, a cominciare dagli aspetti umanitari fino a quelli economici. I dubbi riguardano soprattutto la convenienza per l'Italia del protocollo firmati, i cui costi finali per il nostro Paese non sono calcolabili al momento. Ma c'è una questione che il governo dovrebbe spiegare: i tempi preventivati per l'esame delle domande d'asilo all'interno dei centri che dovrebbero sorgere, a spese dell'Italia, in Albania, proprio non tornano.
Il problema è stato messo in evidenza oggi da La Repubblica, da Tito Boeri e Roberto Perotti. Durante una conferenza stampa la presidente del Consiglio ha detto che ci saranno 36mila richiedenti asilo, salvati in mare dalle unità della Guardia costiera e della Guardia di Finanza, che saranno portati ogni anno nel Paese extra Ue. La cifra deriva in particolare dall'articolo 4 del protocollo recita infatti:
La Parte italiana può realizzare nelle Aree le strutture indicate nell'Allegato 1. Le Parti concordano che il numero totale di migranti presenti contemporaneamente nel territorio albanese in applicazione del presente Protocollo non potrà essere superiore a 3.000 (tremila)
Quindi la previsione dei 36mila richiedenti asilo all'anno nasce dal fatto che il governo Meloni prevede di esaminare la domanda d'asilo per ogni migrante in un mese – viene fatta una semplice moltiplicazione, 3mila per 12 – come prevede appunto la legge italiana in materia (e le due strutture in Albania saranno sotto la giurisdizione italiana). Il punto però sollevato da Boeri e Perotti è che questa tempistica non viene quasi mai rispettata. Anche se non ci sono dati ufficiali sui tempi dell'esame delle domande di asilo, perché il Viminale non li diffonde, i due economisti hanno interpellato degli operatori del settore in Veneto. È emerso che i tempi medi per valutare la domanda sono di almeno 12 mesi, se le domande vengono accolte dalla commissione territoriale. Ma in caso di diniego il richiedente asilo può presentare ricorso, e il responso non arriva prima che siano trascorsi due anni.
I due economisti quindi ipotizzano che in Albania la commissione territoriale deputata all'analisi delle domande lavori speditamente come in Veneto, e che chi fa ricorso venga riportato in Italia, non rimanga nel Paese extra Ue: significa che in un anno potranno transitare nei due centri 3mila persone al massimo, e non 36mila, perché come dicevamo la risposta della commissione territoriale sull'accoglimento o meno della domanda non avviene in genere prima di un anno. Ma 3mila è comunque una cifra ottimistica, fanno notare, perché il 30 per cento delle domande riceve una risposta negativa, e dunque il migrante può avviare un ricorso. Quindi ai famosi 3mila, dopo il primo anno bisognerebbe sottrarre il 30 per cento (900), che appunto a quel punto potrebbe fare ricorso: quindi potrebbero transitare in media 2100 persone all'anno, non 3mila.
E tutto questo porta a una considerazione: i costi stimati non sembrano proprio un affare per l'Italia. Da quanto sappiamo il nostro Paese dovrà versare all’Albania 16,5 milioni di euro a titolo forfettario entro 90 giorni dall'entrata in vigore del protocollo. Considerando che l'accordo ha una durata di 5 anni, questa somma potrebbe ammontare a 82 milioni di euro nel corso di questi 5 anni, con la possibilità di rinnovo per ulteriori 5 anni. È previsto poi un fondo di garanzia di 100 milioni di euro da versare su un conto corrente. Questo fondo potrebbe essere utilizzato per coprire varie spese o come garanzia per eventuali costi aggiuntivi. Ma tutto questo non servirà a gestire 36mila migranti ogni anno, ma come vi abbiamo spiegato, la gestione è molto più complicata degli annunci ottimistici della premier. Anche perché è prevista la costruzione, a nostre spese, anche di strutture sanitarie e di abitazioni per il personale italiano che dovrà lavorare nei centri. Senza considerare il fatto che chi lascerà l'Albania dovrà comunque essere trasferito a spese nostre.