Quella che vede protagonisti il ministro Gennaro Sangiuliano e la dottoressa Maria Rosaria Boccia è una storiaccia, da qualunque parte la si guardi. Su questo possiamo essere più o meno tutti d’accordo, politici, giornalisti e opinione pubblica. Sul piano per così dire personale è una storia di piccole miserie, di inganni incrociati, di gioie e dolori privati che diventano di dominio pubblico, di furbizie e ingenuità. Su quello comunicativo è il racconto di un disastro totale, di una gestione dilettantistica da parte di chi pure dovrebbe sapere come utilizzare tv, giornali e social. Su quello politico, infine, è un caso di specie, una manifestazione lampante di come la gestione del potere debba accompagnarsi sempre a criteri di trasparenza, responsabilità e accortezza. Qualità che, come dimostrano le tante vicissitudini di questi mesi, non sempre guidano le scelte di ministri del governo e fedelissimi di Giorgia Meloni.
Le dimissioni di Gennaro Sangiuliano, probabilmente tardive e certamente discutibili per tono e forma, non cambiano il quadro di fondo: una storiaccia gestita male e comunicata peggio, che però non è mai stata una vicenda soltanto privata. Perché se la sfera personale e affettiva dell'ex ministro ora non deve più riguardarci ed è legittima e rispettabile la sua volontà di dedicarsi alla famiglia e alla tutela della sua onorabilità, sul piano politico la questione è molto diversa e sono tanti i tasselli del puzzle che ancora mancano.
Perché Gennaro Sangiuliano si è dimesso solo ora
Solo due giorni fa, il ministro era andato in televisione, in un contenitore ovattato e protetto, e aveva difeso la sua posizione, ringraziando la presidente del Consiglio per avergli rinnovato stima e fiducia. La strategia, evidentemente concordata con Meloni, era apparsa subito chiara: archiviare l’intera vicenda come “gossip”, incassando un piccolo danno d’immagine ma conservando la poltrona. Del resto, la linea difensiva verteva intorno a tre punti: mai un euro di soldi pubblici era stato speso, direttamente o indirettamente, per la “relazione affettiva” tra i due e mai Boccia aveva avuto accesso a informazioni riservate o delicate, né aveva mai ottenuto quel titolo di consulente che tanto bramava.
Certo, non parliamo di una difesa solidissima: c’erano diverse crepe nella ricostruzione del ministro (le tempistiche strane, con la mail di “disdetta” dell’incarico mandata poche ore prima che Dagospia lanciasse il pezzo; alcune discrepanze con il racconto della donna; la possibile esistenza di altro materiale fotografico; le mancate spiegazioni su come Boccia avesse “carpito” una delicata conversazione privata eccetera), ma tutto sommato l’impalcatura poteva reggere. Anche la prima intervista della donna non l’aveva fatta crollare. Anzi, diciamocelo, era stata un po’ deludente nei contenuti: Boccia denunciava un possibile utilizzo disinvolto della scorta (non proprio una novità per chi bazzica i palazzi del potere), smentiva qualche passaggio marginale ed era piuttosto generica sull'accesso a materiale riservato o a documentazione sensibile. Chiaramente non è normale che una perfetta sconosciuta si interessi dell'organizzazione del G7 o entri ed esca da un ministero senza controlli, ma, insomma, nulla che non si sarebbe risolto con una ramanzina a qualche funzionario/capro espiatorio o con un'ammissione di superficialità.
Eppure, già dalla mattinata si era cominciato a parlare di dimissioni imminenti, con l'ipotesi che potessero arrivare subito dopo la trasmissione di una nuova intervista alla donna, stavolta a In Onda su La7. Perché mai? Cosa avrebbe convinto Sangiuliano a dimettersi? Cosa è cambiato in meno di due giorni? Inutile cercare risposte nella lettera dell'ormai ex ministro, che contiene solo auto-elogi, autocommiserazione e vittimismo. Converrà provare a leggere tra le righe di una vicenda che è anche, anzi soprattutto, politica.
Cosa non sappiamo su Maria Rosaria Boccia
Alla luce degli sviluppi recenti, sono due i passaggi dell'intervista a La Stampa che assumono un valore particolare. Boccia conferma di avere altro materiale sensibile, spiegando di aver registrato con continuità i suoi incontri e lasciando intendere di aver avuto accesso ad altre informazioni più o meno private. Di cosa parliamo? Non è semplice dirlo, alcuni retroscena sui giornali parlano di chat private compromettenti (lei conferma che non si tratti solo di emoticon e messaggi d'affetto), altri ipotizzano che vi siano audio in cui il ministro fa considerazioni più strettamente politiche, addirittura su membri del governo.
È dunque questa la goccia che ha fatto propendere il ministro per le dimissioni? Possibile. Fonti solitamente bene informate spiegavano che Sangiuliano avesse tranquillizzato Meloni nei giorni scorsi, dicendo che Boccia non avesse nulla di concreto in mano. E se invece così non fosse stato? Se Boccia avesse cominciato a diffondere magari stralci di conversazioni o qualche documento riservato di cui era venuta in qualche modo in possesso? Quanto sarebbe andato avanti questo stillicidio, con l’opposizione in tumulto, i giornali scatenati (anche quelli amici) e l’opinione pubblica divisa tra l’indignato e il divertito?
In tal senso, le dimissioni potrebbero servire a calmare le acque e depotenziare le possibili “rivelazioni” di Boccia. Ma ugualmente resterebbero tante domande in sospeso, che chiamano in causa responsabilità diffuse. Cosa può aver registrato Boccia? Cosa avrebbe potuto mettere in imbarazzo ministro e governo al punto da portare alle dimissioni? Ma soprattutto, cosa è cambiato in questi ultimi due giorni? Il ministro o la presidente del Consiglio hanno ravvisato un qualche pericolo nelle insinuazioni e nelle dichiarazioni sibilline della donna? Perché i casi sono due: o Sangiuliano si è accorto solo oggi dell’inopportunità di proseguire nel suo incarico per ragioni private e personali, oppure le sue dimissioni sono conseguenza di riflessioni sulla stabilità e rispettabilità dello stesso governo.
Poi c’è un secondo elemento. Boccia lancia un’accusa che, se confermata, sarebbe gravissima: un ministro della Repubblica sarebbe sotto ricatto o comunque in rapporti ambigui con personaggi cui ha fatto dei favori. Sangiuliano ha annunciato querela, promettendo di difendersi con forza in ogni sede, e non ci sono riscontri sulla consistenza delle accuse nei suoi confronti. Ma è evidente che qualcosa non torni, se è portato a dimettersi dopo aver assicurato di "non essere ricattabile" e dopo aver ricevuto solidarietà e fiducia dalla presidente del Consiglio. Ed è un punto centrale: Giorgia Meloni deve spiegare cosa è cambiato. Perché, dopo aver derubricato l'intera vicenda a "gossip" (cit. anche della sorella Arianna ai nostri microfoni), ha puntato su Alessandro Giuli, che aveva evidentemente già incontrato nei giorni scorsi. Cosa l'ha spinta a scaricare Sangiuliano? L'esistenza di materiale imbarazzante per il governo o la consapevolezza di non potersi fidare fino in fondo di un membro della sua squadra?
Sono risposte che la presidente del Consiglio dovrebbe dare agli italiani, che hanno il diritto di capire se è davvero possibile che una vicenda "di puro gossip" possa cambiare gli equilibri di un intero governo.