La versione di Pechino: intervista all’ambasciatore cinese su guerra in Ucraina, Taiwan e via della Seta
Di Davide Falcioni e Annalisa Cangemi
La guerra in Ucraina e la questione Taiwan, la lotta al Covid e quella al cambiamento climatico, passando per la Via della Seta e la promozione del multipolarismo. La Cina, con i suoi 1,4 miliardi di abitanti, si sta ritagliando da tempo un ruolo di sempre maggiore centralità nello scacchiere globale.
Merito del suo soft-power, agito facendo leva su un immenso potere economico. Ma merito anche di una visione del futuro che considera Pechino uno dei poli di riferimento: la Cina non vuole più essere la "Cenerentola" del mondo e gli eventi degli ultimi mesi dimostrano il ruolo crescente della diplomazia guidata da Xi Jinping. Non ci riferiamo solo ai negoziati di pace tra Russia e Ucraina, ma anche ad altri dossier; è di pochi mesi fa, infatti, la mediazione cinese di successo che ha portato alla conclusione del dialogo tra l’Arabia Saudita e l’Iran, potenze rivali nel Golfo Persico. E continua ad essere attuale la questione Taiwan, isola che secondo molti analisti potrebbe essere il cuore di uno scontro anche militare tra Washington e Pechino.
Insomma, la Cina è uno dei Paesi protagonisti delle vicende mondiali ed ignorarne il ruolo, e soprattutto gli obiettivi, oggi non è più possibile né saggio. Fanpage.it ha realizzato una lunga intervista a Jia Guide, ambasciatore della Repubblica Popolare Cinese in Italia, affrontando alcuni dei temi principali degli ultimi anni.
Lotta ai cambiamenti climatici
Negli ultimi 30 anni il reddito pro capite della Cina è quintuplicato. Tuttavia la rapida industrializzazione, l'urbanizzazione e la conversione a un'agricoltura di tipo intensivo esercitano una pressione sempre più forte sull'ambiente. La Cina si è impegnata a ridurre le emissioni entro il 2060. In che modo intende raggiungere questo obiettivo?
La Cina, con la comunità internazionale, ha assunto l'impegno di raggiungere il picco delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030 e la neutralità carbonica entro il 2060. Definiamo questa strategia "politica del doppio carbonio". Non è facile conseguire questo risultato in pieno processo di industrializzazione: dal carbon peaking alla carbon neutrality, il compito è estremamente arduo. Gli Stati Uniti si sono posti questo obiettivo nel 2007 e si impegnano a raggiungerlo entro il 2050, con un intervallo di 43 anni; l'intervallo dell'Italia è di 45 anni, l'Unione Europea necessita di 71 anni. La Cina ha solo 30 anni di tempo. Questo significa che il più grande Paese in via di sviluppo del mondo realizzerà la più alta riduzione al mondo della quantità delle emissioni di carbonio, raggiungendo il picco e in seguito la neutralità carbonica, nel più breve tempo della storia globale.
Raggiungere il picco di emissioni di CO2 e la neutralità carbonica rappresenta un cambiamento sistemico socioeconomico ampio e profondo. Per questo la Cina rafforza la progettazione di alto livello, promuove la trasformazione e lo sviluppo, implementa l'obiettivo del "doppio carbonio" e ha già raggiunto importanti risultati visibili, incorporando il cambiamento climatico nelle disposizioni generali relative alla costruzione della civiltà ecologica. Il nostro Paese sta accelerando l'adeguamento e l'ottimizzazione della struttura industriale, della struttura energetica e di quella dei trasporti, intraprendendo con decisione il percorso di sviluppo che dà priorità all'ecologia e alle basse emissioni.
Tra il 2012 e il 2022, la quantità di carbonio emessa in atmosfera dalla Cina è scesa del 34,4% e con un tasso di crescita del consumo energetico medio pari al 3% annuo ha sostenuto una crescita economica media del 6,5%, diventando uno dei Paesi al mondo con la più rapida riduzione delle emissioni di gas climalteranti. La Cina ha promosso attivamente lo sviluppo di nuove energie pulite, costituendo la catena industriale alimentata a energie rinnovabili più completa al mondo. L’installazione di impianti di produzione di energia eolica, solare, idroelettrica e da biomassa ha continuato ad essere al primo posto a livello globale, con la capacità installata di energie rinnovabili superiore a 1,2 miliardi di kilowatt, pari al 47,3% della capacità totale di produzione di energia a livello nazionale. La Cina, inoltre, ha costruito attivamente nuovi sistemi di alimentazione elettrica e di trasporto verde, ha promosso vigorosamente veicoli "green", ha continuato ad installare infrastrutture di ricarica e i marchi e le batterie correlate sono molto apprezzati in tanti Paesi del mondo.
Il mercato dello scambio di emissioni di carbonio cinesi copre 4,5 miliardi di tonnellate di emissioni annuali di gas serra e rappresenta il maggiore mercato mondiale del carbonio, mentre l'assorbimento di carbonio da parte delle foreste ha raggiunto l'equivalente di 839 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, compensando le emissioni annuali di carbonio delle automobili di tutta la Cina. A partire da questo secolo, poi, la Cina ha contribuito al 25% delle nuove aree verdi del mondo, assumendo un ruolo guida nel raggiungimento della "crescita zero" del consumo del suolo a livello globale, nella "doppia riduzione" della desertificazione e nella "doppia crescita" del tasso di copertura e conservazione forestale. Ci sono molti altri esempi simili. Nell'attuazione dell'obiettivo del "doppio carbonio", la Cina mantiene la parola data e agisce di conseguenza con risolutezza. Su questo sono pienamente fiducioso.
Quello del cambiamento climatico è un tema di cui in Occidente c'è oggi una crescente consapevolezza. Qual è la situazione in Cina? Esistono anche lì movimenti ambientalisti? E quali richieste fanno al governo?
La consapevolezza delle persone sul cambiamento climatico è in crescita in tutti i Paesi del mondo. Durante lo sviluppo della Cina, alcuni luoghi hanno sperimentato il fenomeno che chiamiamo "prima l'inquinamento, poi il trattamento". Con il continuo miglioramento degli standard di vita delle persone, i bisogni materiali di base sono stati soddisfatti e la richiesta dei cittadini di un buon ambiente con "cielo blu, nuvole bianche, acqua azzurra e montagne verdi" è diventata sempre più forte. Per questo negli ultimi anni il governo cinese ha intensificato gli sforzi per promuovere la costruzione di una civiltà ecologica.
Il presidente Xi Jinping ha proposto il concetto secondo cui "l'acqua limpida e le montagne verdi sono come miniere d'oro e d'argento", prestando ascolto alle aspettative delle persone, combinando in modo organico la protezione ecologica con lo sviluppo verde, a basse emissioni e sostenibile. Allo stesso tempo, il governo cinese difende i diritti delle persone a riunirsi, marciare, manifestare in conformità con la Costituzione e la Legge, nonché promuovere leggi per lo sviluppo verde e la convivenza armoniosa tra uomo e natura. La Cina tutela e migliora l'ambiente vitale ed ecologico secondo il suo ordinamento giuridico, attraverso la Costituzione, la legge sulla protezione ambientale e le singole norme sull'inquinamento. I rappresentanti dell'Assemblea Nazionale del Popolo e i membri della Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese, che rappresentano tutte le regioni, i gruppi etnici e i settori lavorativi, offrono consigli e suggerimenti, raccogliendo le proposte avanzate dalla maggior parte della popolazione e monitorandone l'attuazione da parte del governo. È stato creato lo strumento dei ‘punti di contatto legislativi’ che permette ai cittadini di trasmettere direttamente ai massimi organi legislativi le loro opinioni riguardanti il risparmio energetico e la riduzione dell'inquinamento.
Grazie agli incessanti sforzi del governo, allo stato attuale in Cina l’opinione della società sul rispetto e la tutela della natura e la risposta attiva ai cambiamenti climatici è entusiasta; l'intera società sta accelerando la formazione di metodi di sviluppo e stili di vita verdi. Secondo un rapporto dello scorso aprile dell'Università Tsinghua rispetto ai cambiamenti climatici, la popolazione cinese mostra un "alto sostegno", generalmente si fida dei processi decisionali governativi, presta grande attenzione e sostiene le politiche del governo in materia di risparmio energetico, trasformazione industriale e sviluppo tecnologico. Oltre il 97% dell'opinione pubblica appoggia l'obiettivo del "doppio carbonio" e circa il 90% desidera avere maggiori informazioni sui cambiamenti climatici. Questo dimostra che le misure adottate dal governo cinese sono efficaci, le persone di ogni ambito hanno a disposizione canali per esprimere le proprie idee e nel complesso sono soddisfatte del lavoro del governo.
Affinché vengano ridotte le emissioni di CO2, chi dovrebbe sostenere con più vigore gli investimenti economici correlati? Secondo lei dovrebbe essere l'Occidente – che ha emesso più CO2 dal 1850 – a pagare il costo più alto della decarbonizzazione? O quel costo dovrebbe essere sostenuto dalla Cina, che oggi emette in atmosfera il 33% dell’anidride carbonica?
Il cambiamento climatico è una sfida comune per la comunità internazionale e affrontarla è un compito di tutti. Pertanto, è ancora più urgente e importante che la comunità internazionale si unisca e lavori insieme per affrontare questa sfida. La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottata nel 1992, è ancora il canale principale della cooperazione internazionale per affrontare i cambiamenti climatici. La comunità internazionale dovrebbe continuare a rispettarla, sostenendo l'equità e il principio di responsabilità comuni ma differenziate in base alle rispettive capacità. Va rafforzato il coordinamento delle politiche, aumentato il sostegno finanziario e tecnologico ai Paesi in via di sviluppo, attuata pienamente ed efficacemente la Convenzione ONU e l’Accordo di Parigi, ma vanno anche promossi nuovi progressi nella governance globale del clima.
Va sottolineato che il consenso di base chiaramente affermato nella Convenzione è che i Paesi sviluppati hanno la responsabilità storica dei cambiamenti climatici globali. Il fatto storico che i Paesi sviluppati abbiano emesso più CO2 dalla rivoluzione industriale non può essere cambiato, e sappiamo bene che l'anidride carbonica rimane nell'atmosfera per centinaia di anni. Ciò significa che le emissioni storiche dei Paesi sviluppati sono una causa importante del cambiamento climatico odierno. I Paesi sviluppati dovrebbero assumere un ruolo guida riducendo significativamente le emissioni e raggiungendo prima di tutti la neutralità. Purtroppo, dall'anno scorso, alcuni Paesi sviluppati hanno aggiornato le loro politiche energetiche e aumentato il consumo di energia fossile e le emissioni di anidride carbonica. Questa non è stata una scelta saggia.
I Paesi sviluppati, inoltre, hanno molti debiti accumulati in merito al finanziamento della decarbonizzazione, devono colmare il prima possibile un divario di 100 miliardi di dollari e formulare nuovi obiettivi di finanziamento collettivo dopo il 2025. Il Fondo per perdite e i danni è stato istituito alla Conferenza sul clima di Sharm El Sheikh (COP27) lo scorso anno e i Paesi in via di sviluppo si aspettano che esso sia operativo il prima possibile.
Allo stesso tempo, anche la Cina sta dando un grande contributo alla lotta al cambiamento climatico. L’obiettivo del "doppio carbonio" comporta di per sé un grande investimento di capitale. Negli ultimi anni, il governo cinese ha anche istituito il Fondo per la Cooperazione Sud-Sud sui Cambiamenti Climatici per sostenere altri Paesi in via di sviluppo nell'affrontare il cambiamento climatico, nella transizione verso uno sviluppo a basse emissioni di carbonio e nella costruzione della resilienza agli impatti climatici. Tuttavia, va sottolineato che la natura giuridica degli sforzi della Cina è completamente diversa dagli obblighi rilevanti che i Paesi sviluppati devono soddisfare.
Multipolarismo e guerra in Ucraina
Cosa intende il presidente Xi Jinping per multipolarismo?
Il fondamento del multilateralismo è l'uguaglianza sovrana e la non interferenza negli affari interni. I Paesi, indipendentemente dalle loro dimensioni, forza, ricchezza o povertà, sono tutti membri sovrani e uguali della comunità internazionale; i Paesi grandi e piccoli dovrebbero rispettarsi a vicenda e non possono imporre la loro volontà agli altri, né possono sostituire i diritti internazionali generalmente accettati dalla comunità internazionale con "gang rules" di piccoli gruppi.
Il presidente Xi Jinping ha sottolineato che l'essenza del multilateralismo è che gli affari internazionali dovrebbero essere discussi e gestiti da tutti, in quanto il futuro e il destino del mondo sono nelle mani di ogni Paese. La Cina difende il vero multilateralismo e sostiene fermamente che esiste un solo sistema al mondo ed è il sistema internazionale che pone al centro le Nazioni Unite; esiste un solo ordine ed è l'ordine internazionale basato sul diritto internazionale; esiste un solo insieme di norme e sono le norme fondamentali delle relazioni internazionali basate sugli scopi e sui principi della Carta delle Nazioni Unite. In quanto membro permanente del Consiglio di sicurezza e maggiore Paese in via di sviluppo, la Cina continuerà a sostenere il vero multilateralismo, a salvaguardare gli scopi e i principi della Carta dell'Onu, ad assumere un ruolo guida nell'attuazione dello Stato di diritto internazionale, a tutelare l'equità e la giustizia internazionali, a difendere i valori comuni a tutta l'umanità e, al fine di promuovere lo sviluppo della governance globale in una direzione più giusta e ragionevole, faremo sforzi incessanti per costruire un futuro comune, mantenere la sicurezza comune e promuovere lo sviluppo collettivo.
La Cina svolge un importante ruolo di mediazione nei confronti di Russia e Ucraina? Qual è la posizione di Pechino sul conflitto?
La Cina si è sempre schierata dalla parte della pace; la nostra posizione fondamentale è persistere nella persuasione alla pace e nella promozione dei negoziati. La Cina non sapeva in anticipo del conflitto tra Russia e Ucraina, né ha fornito armi a nessuna delle parti in guerra, nell’auspicio che la crisi venga risolta quanto prima attraverso lo strumento della politica. A febbraio, la Cina ha pubblicato il documento sulla "Posizione cinese sulla soluzione politica della crisi ucraina", in cui ha sollevato 12 punti tra i quali il rispetto della sovranità di tutti i Paesi, il cessate il fuoco e lo stop ai combattimenti, l’opposizione all’uso di armi nucleari, l’avvio di colloqui di pace e la risoluzione della crisi umanitaria ecc., sottolineando che "deve essere rigorosamente osservato il diritto internazionale universalmente riconosciuto, compresi gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite". La sovranità, l'indipendenza e l'integrità territoriale di tutti i Paesi devono essere efficacemente sostenute. Insieme al "Global Security Initiative Concept Paper" precedentemente pubblicato, questo documento spiega in modo completo e sistematico l'iniziativa di sicurezza globale della Cina e indica il percorso corretto per promuovere una soluzione politica alla crisi ucraina e risolvere pacificamente i problemi dei punti caldi che il mondo deve affrontare oggi.
La crisi ucraina si protrae da oltre un anno e il desiderio di pace da parte della popolazione si fa sempre più forte. Molti personaggi hanno sottolineato che l’invio di armi potrebbe non servire ad avvicinare la pace e potrebbe solo esacerbare i conflitti e prolungare lo spargimento di sangue. Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi, ma non importa quanto sia difficile il problema, la porta alle soluzioni politiche non può essere chiusa. Tutte le parti dovrebbero lavorare affinché la Russia e l'Ucraina si incontrino a metà strada, riprendano il dialogo diretto il prima possibile, promuovano gradualmente la de-escalation e raggiungano infine un cessate il fuoco globale.
Il rapporto tra Repubblica Popolare Cinese e Taiwan
La One China Policy è la base della politica estera cinese e prevede l'unificazione tra la Repubblica Popolare Cinese e Taiwan. Nel frattempo Washington e il blocco occidentale chiedono il mantenimento dello status quo. Quali sono le intenzioni del governo cinese?
Lo "status quo" a Taiwan che alcuni Paesi richiedono di mantenere è essenzialmente lo "status quo" che promuove la "ricerca dell'indipendenza" di Taiwan. Ci troviamo quindi a dover ribadire in modo completo e integrale quale sia il vero status quo a Taiwan. In primo luogo, la Cina possiede un diritto di sovranità inconfutabile sulla regione di Taiwan. Nessuna divisione della sovranità e dell'integrità territoriale della Cina è stata e sarà assolutamente mai concessa e la questione di Taiwan è un affare puramente interno alla Cina. In secondo luogo, le due sponde dello Stretto appartengono a una sola Cina e il governo della Repubblica Popolare Cinese è l'unico governo legittimo che rappresenta l'intera Cina. Le autorità di Taiwan non possiedono diritto di rappresentanza. In terzo luogo, a causa dell'eredità della guerra civile e delle ingerenze di forze straniere, le due sponde dello Stretto sono entrate in una situazione di ostilità per un lungo periodo; le autorità di Taiwan sono soltanto un governo locale illegale che si contrappone al governo centrale.
In merito allo status quo a Taiwan ci sono delle divergenze profonde tra quello che intende la Cina e quello che diffondono alcuni media occidentali, tuttavia la posizione cinese al riguardo è basata su solidi pilastri storici e di diritto. Dopo le dinastie Song e Yuan (circa nella metà del 14° secolo), le diverse dinastie cinesi iniziarono a esercitare un potere di gestione amministrativa sull'isola di Taiwan e, nel 1885, questa venne riconosciuta come la ventesima provincia cinese. Nel 1894, il Giappone iniziò la guerra di aggressione contro la Cina e nell'aprile dell'anno successivo il governo di dinastia Qing sconfitto fu costretto a cedere Taiwan e le Isole Penghu. Tuttavia nel 1943 con la "Dichiarazione del Cairo" e nel 1945 con la "Dichiarazione di Postdam", si stabilì chiaramente che "tutti i territori cinesi che i Giapponesi hanno rubato (stolen), come la Manciuria (Cina nord-orientale), Taiwan e le Isole Penghu", saranno restituiti alla Cina. Queste dichiarazioni non sono solo un riconoscimento giurisprudenziale della realtà dell'appartenenza di Taiwan alla Cina, ma anche dei componenti per la costruzione dell'ordine internazionale alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1949 è stata proclamata la fondazione della Repubblica Popolare Cinese e del suo governo centrale che è andato a sostituire il vecchio potere politico, ovvero il governo della Repubblica di Cina, divenendo così l'unico governo legittimo rappresentante dell'intera Cina. Si è trattato di una successione di governo avvenuta senza cambiamenti nella Cina come soggetto di diritto internazionale e la sua sovranità e il suo territorio non hanno subito mutazioni. Una parte degli ufficiali del partito del Kuomintang (KMT) si sono ritirati sulla provincia di Taiwan, appartenente sempre al territorio cinese e, con il sostegno degli Stati Uniti, ne hanno preso il controllo instaurando un regime separatista. È evidente, quindi, che la questione di Taiwan sia un lascito della guerra civile e che sia una questione di pura politica interna cinese. Visto che il governo della Repubblica Popolare Cinese è l'unico governo legittimo che rappresenta l'intera Cina, allora è ovvio che esso eserciti la sovranità su tutto il territorio della Cina, Taiwan compresa, e che eserciti il diritto di indipendenza e di rappresentanza nella comunità internazionale. Nel 2005, la Cina nella "Legge anti-secessione" ha chiarito fermamente che le due sponde dello Stretto potrebbero condurre consultazioni e negoziati al fine di "porre formalmente fine alla situazione di forte ostilità tra le due sponde dello Stretto", ciò significa che i rapporti tra le due parti sono stati sino ad oggi, a livello legale, caratterizzati da una situazione di ostilità.
La Carta delle Nazioni Unite sancisce i principi fondamentali del diritto internazionale come l'uguaglianza sovrana e la non ingerenza negli affari interni. La "Dichiarazione relativa ai principi di diritto internazionale" del 1970 e il Diritto Internazionale consuetudinario regolano con chiarezza che le azioni di qualsiasi Stato di "interferire nel conflitto interno di un altro Paese" come sostenere fazioni interne ostili di un altro Stato o intromettersi nelle guerre civili di un altro Stato siano da considerarsi forme di ingerenza nella politica interna altrui. Più di 180 Paesi tra cui l'Italia e gli Stati Uniti hanno allacciato relazioni diplomatiche con la Cina e, attraverso documenti come i comunicati sull'instaurazione delle relazioni diplomatiche e le solenni promesse dei leader, si sono impegnati a riconoscere il governo della Repubblica Popolare Cinese come unico governo legittimo che rappresenta l'intera Cina. Ciò significa che tali Paesi hanno il dovere di non riconoscere le autorità di Taiwan come rappresentante della Cina. La risoluzione n. 2758 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite afferma chiaramente che Taiwan appartiene alla Cina e che il principio di Una Sola Cina è ampiamente riconosciuto dalla comunità internazionale.
In base a quanto appena esposto, lo "status quo" a Taiwan che alcuni Paesi richiedono a mantenere è, di fatto, l’ingerenza nella politica interna della Cina e il rifiuto il diritto della Cina di tutelare la sua unità nazionale. Le ragioni fondamentali che hanno generato le tensioni dell'ultimo periodo nello Stretto di Taiwan sono da ricercarsi nei separatisti "pro-indipendenza" presenti sull'isola che, con l'appoggio e la connivenza delle forze esterne, hanno promosso attività separatiste ricorrendo a ogni mezzo possibile. A violare i regolamenti internazionali, a modificare unilateralmente lo status quo e a distruggere la serenità nello Stretto di Taiwan non è stata la Cina continentale, ma sono state le forze separatiste "pro-indipendenza" di Taiwan e pochi Paesi che progettano di sfruttare "l'indipendenza di Taiwan" per i propri interessi personali. A parole affermano di sostenere la politica "di una sola Cina", ma con le azioni, aperte e meno aperte, appoggiano e sostengono le attività dei gruppi separatisti e indipendentisti, giungendo addirittura, con il pretesto della "libertà di navigazione", a fomentare problemi, creare provocazioni e a fare sfoggio di forza militare nello Stretto di Taiwan. Se questa non è ingerenza nella politica interna di un altro Paese, cosa lo è? L'impegno della Cina a tutelare lo status quo nello Stretto di Taiwan è parte del suo impegno per tutelare la sua sovranità e la sua integrità territoriale, riguarda anche il rispetto del principio di non ingerenza negli affari interni sancito dal diritto internazionale. Si tratta di un’importante questione di principio e non c’è nessuno spazio per ambiguità. Esortiamo che le parti coinvolte rispettino la storia e la realtà dei fatti, che persistano nel sostenere il principio di Una Sola Cina e tutelino la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan con azioni concrete.
È possibile il raggiungimento di un compromesso diplomatico? La Cina potrebbe valutare anche l'opzione militare?
La questione di Taiwan non è una questione diplomatica, ma è una questione di politica interna cinese ed è il fulcro dei suoi interessi fondamentali, per questo la Cina non scenderà ad alcun compromesso. "Riunificazione pacifica" e "Un paese, due sistemi" sono impegni che incarnano la massima buona volontà e flessibilità della Cina nel risolvere la questione di Taiwan. La montatura mediatica su una Cina che "cambia lo status quo con la forza" è un'interpretazione completamente errata del diritto internazionale ed è una essenziale negazione dell'esercizio di sovranità della Cina su Taiwan.
In primo luogo, secondo il diritto internazionale, difendere la sovranità nazionale e l'integrità territoriale con tutti i mezzi necessari costituisce l'autentico significato di sovranità nazionale e non è sottoposto ai divieti sull'uso della forza nelle relazioni internazionali sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite. Il terzo articolo del Secondo Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra relativo ai conflitti armati non internazionali riconosce che l'applicazione delle norme del Diritto Umanitario Internazionale non pregiudica il diritto innato di un Paese alla tutela della sovranità e dell'integrità territoriale e all'opposizione a ingerenze esterne.
In secondo luogo, Taiwan fa parte del territorio cinese e le autorità di Taiwan non godono della sovranità sull'area di Taiwan. Singoli stati e forze indipendentiste di Taiwan sostengono che Taiwan possa, secondo il "diritto di autodeterminazione dei popoli", organizzare un "referendum" per ottenere l'indipendenza: tali rivendicazioni sono del tutto infondate. L'autodeterminazione dei popoli nel diritto internazionale si applica solo a situazioni di non-colonialismo e di occupazione estera. Taiwan non rientra in questi casi e non esistono perciò le premesse per parlare di autodeterminazione dei popoli. Al contempo, la questione della possibilità e delle modalità di ottenimento dell'indipendenza tramite referendum per una parte del territorio di un Paese dovrebbe essere regolata dal diritto nazionale di quello Stato e la decisione spetta generalmente a tutti i suoi cittadini. La legislazione cinese, tra cui la costituzione, non hanno mai autorizzato alcuna parte del territorio nazionale a indire "referendum indipendentisti": le decisioni sul futuro di Taiwan spettano a tutti i cittadini cinesi, inclusi i compatrioti di Taiwan.
Vorrei sottolineare che "riunificazione pacifica" e "un Paese, due sistemi" è la politica fondamentale della Cina per la risoluzione della questione di Taiwan ed è anche la via migliore per l'unità nazionale. La riunificazione pacifica dei due lati dello Stretto darà vita a enormi opportunità per lo sviluppo sociale ed economico di Taiwan, con benefici tangibili per i nostri compatrioti di Taiwan. La Cina sostiene da sempre una prospettiva di raggiungimento di una riunificazione pacifica in buona fede e con il massimo impegno. Laddove vi sia una minima possibilità di risoluzione pacifica, ci adopereremo il più possibile per realizzarla. Tuttavia, nel caso in cui forze esterne o quei pochi gruppi di forze separatiste "pro-indipendenza" osino oltrepassare la linea rossa, noi abbiamo tutto il diritto di adottare le misure necessarie. Non dovrebbero mai essere sottovalutate la decisa determinazione, la ferma volontà e la forte capacità del popolo cinese di difendere la sovranità nazionale e l'integrità territoriale.
L'Italia e il memorandum sulla Via della Seta
L'Italia deve decidere entro dicembre se rinnovare o annullare il memorandum sulla Via Della Seta. In caso di interruzione dell'accordo quali ripercussioni potrebbero esserci sui rapporti commerciali Italia-Cina e quali conseguenze per l'Italia?
Il memorandum d'intesa tra Cina e Italia sulla "Belt and Road Initiative" è un accordo di cooperazione win-win, non un favore che una parte concede all'altra. Dopo la firma del memorandum, il profilo strategico delle relazioni sino-italiane è stato ulteriormente rafforzato: notevoli sono stati i miglioramenti della situazione dell'Italia tra i rapporti diplomatici cinesi e delle relazioni sino-italiane tra i rapporti sino-europei, con molteplici effetti positivi, sia diretti che indiretti. Negli ultimi quattro anni, l'interscambio commerciale sino-italiano ha raggiunto livelli record, registrando una crescita in controtendenza di quasi il 42% tra 2019 e 2022, con un volume di 78 miliardi di dollari lo scorso anno. Dal 2019 al 2021 le esportazioni italiane in Cina sono aumentate del 42% e nei primi mesi di quest'anno si è riscontrato un ulteriore incremento significativo. Qualche giorno fa è stata varata a Shanghai la prima grande nave da crociera costruita congiuntamente dai due Paesi. Ce ne sono altre cinque in programma di costruzione per il futuro, il cui valore si aggira sui 5 miliardi di dollari. Inoltre, la STMicroelectronics realizzerà in Cina una joint venture manifatturiera dal valore di 3,2 miliardi di dollari. L'Italia è stata invitata più volte a prendere parte a importanti fiere internazionali in Cina: è stata Paese ospite d'onore alla China International Import Expo e quest'anno è stato l'unico Paese ospite d'onore alla China International Consumer Products Expo. In quattro anni sono stati firmati sette accordi sull'esportazione di prodotti italiani in Cina, con quantità e tempistiche di esportazione tra i primi posti in Europa: anche le pere fresche italiane e la carne bovina entreranno presto sul mercato cinese. L'interesse del popolo cinese per l'Italia è sempre maggiore: mostre sull'arte e sulla cultura museale italiana godono di un enorme successo in Cina e il Bel Paese è ormai diventato la meta europea preferita dai cinesi. Inoltre, gli studenti cinesi che arrivano in Italia per motivi di studio hanno raggiunto le 29mila unità. Molti risultati e benefici della cooperazione non sono innati, ma sono piuttosto strettamente connessi all'atmosfera di entusiasmo e di aspettative sulla cooperazione scaturiti dalla firma del memorandum d'intesa. Nel caso di una piattaforma che accentua la fiducia politica e l'alto profilo strategico della cooperazione, decidere incautamente di ritirarsi certamente significherebbe smorzare l'entusiasmo della cooperazione in molti ambiti, tra cui quello politico, economico-commerciale e culturale. Temo che ciò avrebbe una ripercussione negativa sull'immagine del proprio Paese, sulla sua credibilità e prospettive di cooperazione.
Il governo italiano però deve tenere conto delle alleanze internazionali. Ritiene che la presa di posizione del G7, sulla strategia del de-risking, abbia allontanato ulteriormente le possibilità di consolidare le relazioni commerciali tra Cina e Italia e confermare l'accordo del 2019 sulla Belt and Road Iniziative firmato da Giuseppe Conte?
È stato dimostrato che il "De-coupling" contro le leggi economiche e l'ordine economico e commerciale internazionale è impossibile da realizzare. Alcuni esperti e studiosi hanno sottolineato che in questo contesto "de-risking" sembra diventare un'alternativa al "de-coupling" dalla Cina. I rischi che il "de-risking" porta con sé sono, molto probabilmente, di gran lunga maggiori a quelli che vengono ritenuti tali in partenza. È ancora più importante vedere chi è impegnato in guerre commerciali, abusando dell'egemonia economica e finanziaria, sconvolgendo l'ordine commerciale globale e il processo di ripresa economica, creando rischi reali.
Secondo un recente sondaggio pubblicato dal Consiglio europeo per le relazioni estere, la maggior parte degli europei considera la Cina un "partner necessario" piuttosto che un concorrente o un nemico. Dall'inizio di quest'anno, le imprese finanziate dall'estero hanno continuato ad aumentare i loro investimenti in Cina e la ripresa delle attività commerciali transfrontaliere è accelerata. Molti dirigenti di società multinazionali hanno visitato ripetutamente la Cina e hanno espresso un "voto di fiducia" in Cina con azioni concrete, comprese molte società di paesi europei come Francia e Germania. La cooperazione economica e commerciale Cina-Italia ha una buona base e ha ancora un grande potenziale. Le due parti dovrebbero cogliere congiuntamente le opportunità del nuovo ciclo di rivoluzione tecnologica e industriale, fare buon uso della piattaforma di cooperazione e garantire la direzione della cooperazione. Spero sinceramente e credo che anche la controparte italiana possa guardare e sviluppare le relazioni con la Cina in modo razionale e fattivo e che possa prendere le corrette decisioni in modo autonomo e indipendente e in linea con i propri interessi nazionali e con quelli fondamentali del popolo italiano.
Nel caso in cui l'Italia dovesse decidere di uscire dal memorandum sulla Via della Seta sarà possibile eventualmente negoziare un nuovo accordo economico?
Il memorandum sull'iniziativa Belt and Road è il risultato del rapporto di lungo termine tra i due Paesi basato su rispetto e fiducia reciproci, mutuo interesse e win-win ed è il segnale dell'elevazione strategica della cooperazione fattiva e dell'amicizia costruita congiuntamente nel corso del tempo, dunque il suo valore non è solamente legato alla sfera economica. Come dicevo, la Cina è un partner commerciale difficilmente sostituibile e, ancor più, rappresenta opportunità di sviluppo da non mancare. In un momento in cui tutti i Paesi del mondo stanno "premendo sull'acceleratore" per promuovere la cooperazione con la Cina, "premere sul freno" o "mettere la retromarcia" non sembrano scelte in linea con gli interessi nazionali dei due Paesi. In quanto partner naturali nell’iniziativa Belt and Road, Cina e Italia quest'anno devono ancor più lavorare per recuperare il tempo perduto durante i tre anni di pandemia, parlare di più forme di cooperazione, far bene un numero sempre maggiore di cose insieme e far sì che i cittadini dei due Paesi possano toccare con mano il benessere a cui la cooperazione conduce. Dobbiamo fare in modo che questa via di cooperazione fattiva, che questa via di amicizia e di comprensione divenga sempre più ampia, non il contrario.
Sono cambiate le relazioni tra la Cina e l'Italia da quando governa la destra di Giorgia Meloni?
Le relazioni tra Cina e Italia vantano un'amicizia che ha profonde radici storiche, possiedono una serie di piattaforme di dialogo efficaci e complete e la cooperazione bilaterale ha portato frutti proficui per entrambi le parti. Tutto questo non può essere messo in dubbio. Alla fine dello scorso anno, il presidente Xi Jinping e il presidente del consiglio Giorgia Meloni hanno avuto un primo incontro ai margini del vertice G20 di Bali e hanno settato la rotta per lo sviluppo delle relazioni bilaterali. La Cina ha apprezzato molto le parole della premier Meloni quando, durante il colloquio, ha parlato di "opporsi al confronto dei blocchi" e di "rafforzare la cooperazione e il dialogo", due affermazioni molto importanti. Il prossimo anno ricorrerà il ventesimo anniversario dell’istituzione del Partenariato Strategico Globale sino-italiano, spero che sapremo cogliere le opportunità, progettare al meglio le attività e tutelare gli interessi fondamentali e le principali preoccupazioni di ciascuno e che potremo promuovere insieme un saldo e duraturo sviluppo dei rapporti bilaterali.
Il vicepremier Salvini si è mostrato, al contrario di Meloni, molto favorevole a rinnovare il memorandum sulla Via Della Seta. Pensa che questa posizione possa avere un peso sulle scelte dell'esecutivo italiano e che questo possa in futuro garantire un asse tra Roma e Pechino?
Non voglio entrare nel merito della politica interna italiana. In merito alla questione del memorandum d'intesa sull'iniziativa Belt and Road, siamo contenti di notare come alcune personalità italiane coinvolte abbiano fornito pareri equi, oggettivi e costruttivi, utili alla progettazione di un sano sviluppo e di una cooperazione prospera tra i due Paesi. D'altro canto, noi siamo pronti a promuovere con forza tutto ciò che va a beneficio e arreca benessere ai nostri due Paesi e ai loro popoli.
Pochi giorni fa è venuto a mancare Silvio Berlusconi. Quali erano i rapporti tra l’ex Presidente del Consiglio e il governo cinese?
La parte cinese ha espresso le più sentite condoglianze per la scomparsa di Silvio Berlusconi e la vicinanza più sincera ai suoi familiari. Il Consigliere di Stato e ministro degli Esteri Qin Gang ha già inviato un messaggio di cordoglio al vice premier e ministro degli Esteri Antonio Tajani. Nel pomeriggio del 14 giugno, su invito della parte italiana sono andato a Milano per partecipare ai funerali di Stato di Silvio Berlusconi.
Berlusconi è stato un leader e politico italiano di prestigio internazionale, e ha dato importanti contributi allo sviluppo politico, economico e sociale dell'Italia. Ha promosso attivamente l’istituzione del Partenariato Strategico Globale sino-italiano e del meccanismo del Comitato Governativo Cina-Italia, ha sostenuto l'organizzazione dei Giochi Olimpici Estivi di Pechino del 2008 e ha portato importanti contributi allo sviluppo delle relazioni bilaterali tra i nostri due Paesi. Il prossimo anno ricorrerà il ventesimo anniversario dell’istituzione del Partenariato Strategico Globale sino-italiano. La parte cinese desidera approfondire, insieme al governo italiano e alle personalità di tutti gli amici sociali, la fiducia reciproca strategica, promuovere la cooperazione pragmatica e favorire un nuovo sviluppo delle relazioni bilaterali.
Pandemia: Covid zero e la condivisione dei dati da parte della Cina
Le autorità sanitarie cinesi hanno reso pienamente disponibili alla comunità scientifica dati e informazioni sulla tracciabilità globale dell’origine del Covid-19? Come è nata la strategia Zero Covid? E perché alcuni mesi fa quella strategia è stata abbandonata?
La tracciabilità dell'origine del Sars-Cov-2 è una questione scientifica seria e complessa, che dovrebbe e può essere condotta solo da scienziati di tutto il mondo. La Cina sostiene e partecipa da sempre alla tracciabilità scientifica globale, e allo stesso tempo si oppone fermamente alla politicizzazione del tracciamento dell'origine. Finora la Cina è l’unico Paese che ha invitato diverse volte gruppi di esperti internazionali dell’OMS nel proprio Paese per svolgere la cooperazione sulla tracciabilità e che ha organizzato esperti per condividere le informazioni sull’andamento della tracciabilità con il Gruppo Consultivo Scientifico per le Origini dei Nuovi Patogeni (SAGO) dell’OMS in molte occasioni. Sulla questione della tracciabilità dell'origine del Covid-19, la Cina ha condiviso il maggior quantitativo di dati e risultati scientifici, il che riflette pienamente l'atteggiamento aperto, trasparente e responsabile della Cina e dimostra anche il sostegno della Cina al lavoro dell'OMS e del SAGO. La ricerca dell'origine del Covid-19 è una responsabilità condivisa della comunità internazionale e gli indizi globali dovrebbero ricevere uguale attenzione. L’OMS e il SAGO dovrebbero inoltre cooperare efficacemente con i Paesi interessati e condividere i risultati delle loro ricerche con tutte le parti in modo tempestivo.
Di fronte all'improvvisa comparsa del virus, il governo cinese aderisce alla filosofia di governance "prima il popolo, prima la vita", quindi ha formulato la strategia di prevenzione e controllo di "azzeramento dinamico", basata sulla piena considerazione delle condizioni nazionali e dell'effettiva situazione epidemica. L'"azzeramento dinamico" non è il perseguimento dello "zero Covid", ma il controllo della diffusione dell'epidemia nel modo più rapido e al minor costo possibile. La Cina è un Paese in via di sviluppo, che ha una popolazione di oltre 1,4 miliardi di persone, di cui 267 milioni di età pari o superiore ai sessant'anni, uno sviluppo regionale non uniforme e risorse mediche meno abbondanti rispetto ai Paesi sviluppati. Secondo un'analisi della rivista Nature Medicine, se in quel momento la Cina avesse allentato frettolosamente le misure di controllo, ci sarebbero stati quasi 1,6 milioni di morti. Per usare una metafora, diciamo che "un foro piccolo come la punta di un ago avrebbe potuto far soffiare un vento forte quanto l’uragano".
Con l'indebolimento della virulenza delle varianti, la diffusione della vaccinazione, l'accumulo di esperienza nella prevenzione e nel controllo, il continuo miglioramento dell’assistenza medica primaria e delle cure, sulla base dell'esperienza di altri Paesi, tra cui l'Italia, il governo cinese ha naturalmente ottimizzato e adeguato le sue politiche di prevenzione e controllo adattandole alla situazione. La vita lavorativa e quotidiana del popolo è già tornata rapidamente alla normalità, il che dimostra che le nostre politiche sono scientifiche ed efficaci.
Di Davide Falcioni e Annalisa Cangemi