Uno si paragona a Silvio Pellico e organizza lo sciopero della fame contro il suo processo, dopo aver chiesto ai suoi senatori di mandarlo a processo solo per raccattare qualche voto in più alle Regionali. Un altro finge di dimenticare di aver sostenuto e rivendicato tutte le scelte di quello che fino a qualche mese fa era il suo vice e ministro dell'Interno. Un altro ancora vuole processarlo, ma non vuole deciderlo subito per il timore di perdere qualche voto e rinunciare al penultimo bastione della sua resistenza. Un altro non si sa che cosa voglia, ma comunque è sempre in mezzo a marcare la sua diversità. Infine un altro, amico fraterno fino a qualche mese fa è ora pronto a votare nel modo opposto a quanto fatto in un caso praticamente identico. Il tutto mentre chi dovrebbe garantire la correttezza delle regole del gioco fa l'ennesimo favore a quello che ritiene possa vincere alle prossime elezioni.
Ecco, se volete una impietosa fotografia di cosa è la politica italiana al tempo del governo prima giallo-verde poi giallo-rosso-arancione-misto, non dovrete far altro che raccontargli il caso Gregoretti, in cui si sono sfidati politici inadeguati, incapaci di una visione che vada oltre il prossimo appuntamento elettorale, che non hanno remora di speculare sui diritti delle persone nella spasmodica e cieca rincorsa al consenso.
Stavolta a finire completamente in secondo piano sono i diritti di 140 persone, calpestati, secondo i giudici del Tribunale dei ministri, da una decisione dell’allora ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, che aveva immotivatamente negato loro lo sbarco sulle coste italiane. Qualche mese prima era toccato ai 177 migranti a bordo della Diciotti, bloccati per giorni e giorni a bordo di una nave militare per un “atto politico, dunque insindacabile” di cui non solo i 5 Stelle si erano autoaccusati, ma che addirittura avevano rivendicato. Già, perché pur di non aprire una crisi di governo, i 5 Stelle avevano abiurato a principi cardine della storia del Movimento, sancendo prima con le parole di Conte, Di Maio e Toninelli, poi con un vergognoso voto in Parlamento, che l’arrivo di qualche centinaio di disperati sulle nostre coste fosse un attacco alla patria da cui occorreva “difendersi”, con una azione politica che si inseriva perfettamente nel processo di criminalizzazione dei salvataggi in mare e di lotta senza quartiere alla solidarietà. Il caso Gregoretti è la conseguenza di quel processo e quelle 140 persone tenute per giorni a bordo di un’altra nave militare italiana meritano giustizia, non l’ennesima strumentalizzazione. E tutti noi meritiamo politici in grado di assumersi la responsabilità di consentire ai giudici di fare il loro lavoro, senza stare a fare improbabili calcoli e giocare agli apprendisti stregoni delle consultazioni elettorali.
Il teatrino che abbiamo visto in questi giorni è semplicemente indecoroso. Legare la necessità di fare chiarezza su una pagina nerissima della nostra storia recente al voto delle elezioni Regionali in Emilia Romagna e Calabria è una vergogna. Di cui tutti dovrebbero assumersi la responsabilità. Dopo le elezioni, ovviamente.