Chi dice che le ideologie sono morte o è poco informato o in malafede. Le ideologie in quanto complesso di valori che orientano un determinato gruppo sociale non sono finite. Sono finite le ideologie del ‘900, i blocchi massificati che hanno dominato la scena del XX secolo. Chi vi si aggrappa ancora è manchevole di visione, pigro o peggio ancora guidato da interessi personali.
Applicare la lente del secolo scorso all'epoca contemporanea è un errore che non possiamo più permetterci. Non possiamo più permetterci di prendere i paradigmi del passato e applicarli all'epoca contemporanea. E no, non basta neanche prendere un termine del ‘900 e anteporgli "post" per renderlo attuale.
Abbiamo sbagliato a credere nella fine della storia, a credere nella morte delle grandi narrazioni. No, la storia non è morta e non sono morte le grandi narrazioni, sono semplicemente state traslate in altre forme. E nemmeno le grandi narrazioni o le ideologie e men che meno le idee. Abbiamo creduto che la morte del contenitore fosse la morte del contenuto. Abbiamo confuso il mezzo con il messaggio, dimenticando che essi esistono solo in un rapporto osmotico.
Ed è in questo rapporto osmotico tra significante e significato che la destra ha saputo reinventarsi meglio e prima. Ha utilizzato l'emotività delle piattaforme sociali per cavalcare l'onda della nostalgia, quella nostalgia che ci fa condividere sui nostri profili le foto del passato o le canzoni della nostra adolescenza. Quella nostalgia che è alla base dei populismi e dei loro slogan: "Make America great again" oppure "Remettre la France en ordre". Concetti che guardano al passato come un momento glorioso al quale "tendere" piuttosto che a un futuro da costruire.
Dal canto suo, invece, la sinistra ha completamente abbandonato la ricerca di un nuovo sogno. Quando la "rossa primavera" non è arrivata non c'è stato un nuovo ideale da immaginare e da costruire. Per trovarlo la sinistra è obbligata ad abbandonare il tema della nostalgia. Il "pantheon", la "storia" in quanto elementi identitari, devono essere un divenire piuttosto che un monolite intoccabile. Per questo la sinistra deve abbandonare il terreno della destra (o meglio del conservatorismo) e scendere nell'agone del progresso. Del progresso in quanto mezzo per aiutare i più deboli, gli emarginati. La sinistra (o meglio il blocco che dovrebbe essere progressista) non può essere spaventata dai cambiamenti, non può opporsi alle trasformazioni sulla base di un conservatorismo, perché in quel caso è già destra.
Se la sinistra scende nel terreno della destra gli elettori tra la copia e l'originale sceglieranno sempre l'originale. Se le forze progressiste vogliono tornare a essere un attore culturale prima che politico devono mettere in discussione l'approccio adottato – fin qui – per affrontare il XXI secolo. La "terza via", le politiche giddensiane non sono più attuali perché il contesto storico è cambiato ma soprattutto perché non tengono insieme l'approccio sociologico, economico e profetico. Quell'approccio che è stato la pietra miliare della sinistra del ‘900.
Le nuove forze progressiste devono abbracciare il progresso come necessità per l'emancipazione dell'uomo. Le nuove forze progressiste devono rimettere al centro della propria agenda una cultura che porti all'emancipazione attraverso la cultura. Ma la cultura vive e si diffonde solo quando si relaziona al medium. Non esiste l'emancipazione tramite il paternalismo. Non esiste l'emancipazione che arriva dell'alto. Il progresso è questo. È il mezzo. Sta alla sinistra del futuro scriverne il contenuto.