La vendita delle navi militari all’Egitto è uno schiaffo alla famiglia Regeni. E riguarda tutti noi
Il governo italiano ha autorizzato la vendita di due fregate Fremm, tra le navi più moderne della marina militare, all'Egitto. Si tratta della Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi: una commessa da oltre 1 miliardo di euro, che però potrebbe fare parte di un accordo ancora più grande. Anche se non ci sono ancora informazioni ufficiali a riguardo, l'Italia potrebbe presto vendere ingenti forniture militari alle forze armate egiziane, tra velivoli, caccia e altre fregate, per un valore compreso tra i 9 e gli 11 miliardi di euro. La prima intesa sarebbe arrivata dopo la telefonata tra Giuseppe Conte e il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi. La notizia sarebbe anche stata confermata Fincantieri, già in trattativa con Il Cairo e in attesa del via libera per l'esportazione. Il tutto mentre l'Italia attende ancora la verità su Giulio Regeni. Così come aspetta risposte sulla vicenda di Patrick Zaki, lo studente dell'università di Bologna arrestato incarcerato nella capitale egiziana come detenuto politico. Tra i due Paesi pesa anche la questione libica, ma tutti questi elementi non sarebbero sufficienti a fermare l'accordo.
"Un oltraggio alla memoria di Giulio Regeni"
Intanto la Commissione d'inchiesta sulla morte di Giulio Regeni ha convocato "urgentemente" Conte in audizione "alla luce degli ultimi
rilevanti sviluppi in ordine alle relazioni bilaterali italo-egiziane". Lo ha confermato il presidente della Commissione, Erasmo Palazzotto. Anche la Rete italiana per il disarmo è intervenuta sulla questione, definendo l'ultima commessa come "oltraggiosa nei confronti della memoria di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano barbaramente assassinato in Egitto e sulla cui morte le autorità egiziane non hanno mai contribuito a fare chiarezza, ma anche nei confronti di tutti coloro – oppositori politici, sindacalisti, giornalisti, difensori dei diritti umani – che vengono perseguitati perché non sono graditi al regime imposto dal generale al-Sisi, come dimostra anche il caso di Patrick Zaki".
Ma la Rete aggiunge anche come sia inaccettabile rilasciare licenza ad esportare un arsenale militare a un Paese che da anni "destabilizza ogni negoziato per la pacificazione in Libia". Secondo i dati comunicati dagli attivisti, l'Egitto nel 2019 è stato il principale destinatario dell'export di armi da parte dell'industria bellica italiana, per un giro di affari da 871 milioni di euro. Fanpage.it ha fatto il punto della situazione con Francesco Vignarca, il coordinatore nazionale della Rete italiana per il disarmo, che ha spiegato come ci siano vari aspetti problematici sull'accordo in questione, anche al di là delle posizioni politiche e ideologiche in merito all'industria delle armi.
L'implicazione dell'Egitto in Libia
Vignarca spiega i vertici dell'Uama, l'Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento, dopo i rumors delle scorse settimane sulla commessa all'Egitto erano già apparsi davanti alla Commissione alla Camera. Ma ora gli attivisti vogliono promuovere una forte mobilitazione sui social network, a partire da domani mattina, che abbia come obiettivo il blocco della vendita di armi al Paese di Al Sisi. Il coordinatore sottolinea poi come in questo caso la vendita delle fregate all'Egitto rappresenti una grande preoccupazione anche considerato il coinvolgimento del Paese nelle partita libica. "Fondamentalmente noi stiamo andando a vendere armi all'Egitto e alla Turchia, che sono entrambi coinvolti in Libia ed entrambi sospettati di violare l'embargo delle armi imposto dalle Nazioni Unite verso Tripoli".
Inoltre, se Ankara supporta il governo di Fayez Al Sarraj, riconosciuto dalla comunità internazionale, Il Cairo supporta invece le milizie del generale Khalifa Haftar: "Quindi stiamo contribuendo a rendere ancora più complicato lo scacchiere libico, mentre da sempre tutti dichiarano che la stabilità in Libia sia fondamentale per l'Italia per una questione di risorse e di vicinanza. Facciamo tutti questi grandi discorsi di geopolitica, ma poi andiamo a vendere armi a tutti. Anche a quelli che sostengono Haftar, che solo qualche settimana fa ha portato avanti un attacco vicino all'ambasciata italiana", prosegue Vignarca. E ancora: "Il tutto avendo preteso, puntando anche i piedi, di essere a capo della missione Irini", promossa dall'Unione europea per il controllo dell'embargo sulle armi in Libia. Proprio oggi, inoltre, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, in conferenza stampa con il suo omologo greco, Nikos Dendias, ha annunciato che l'Italia metterà a disposizione della missione una fregata e due velivoli.
Il paradosso economico della vendita di armi all'Egitto
"Al di là di tutte le valutazioni che si possono fare sui diritti umani e sulle violazioni di un regime autoritario come quello di Al Sisi, è una pazzia dal punto di vista della logica e della coerenza", continua Vignarca, commentando la vendita delle due fregate alla Libia. C'è inoltre un'altra questione, messa in evidenza dal coordinatore della Rete italiana per il disarmo, di natura economica: "L'unico modo che hanno in mente alcuni esponenti della politica per uscire da problematiche economiche è il sostegno all'industria degli armamenti. Mentre ci sarebbero tanti altri comparti economici da favorire molto più remunerativi, importanti dal punto di vista dell'occupazione, e soprattutto senza le controindicazioni che si presentano con la vendita di armi in una regione così problematica". Vignarca parla quindi del rischio che una commessa di questo tipo, alla fine, comporti anche maggiore spesa militare per l'Italia: "La marina voleva due navi. Queste erano quasi pronte per andare a ruolo, ma le vengono tolte per essere inviate in Egitto. Ovviamente la marina vorrà ancora le sue navi, che saranno nuove, più potenti e più costose. Alla fine della fiera, per garantire una commessa a Fincantieri, peraltro in una situazione problematica del genere, ancora una volta il contribuente italiano dovrà tirare fuori i soldi".
Vignarca afferma anche che in questa partita tra Italia ed Egitto potrebbe essere coinvolta anche la Sace, la società pubblica controllata dalla Cassa di depositi e prestiti che durante l'emergenza coronavirus sta fungendo da garanzia per le imprese che richiedono investimenti alla banche per superare la crisi. E che ha anche un'importante ruolo come agenzia che sostiene il credito all'esportazione. "Non si capisce perché dovrebbero essere coinvolte delle banche, a meno che uno non sappia, come noi sappiamo, che l'Egitto è solito comportarsi in un certo modo, come ha già fatto con la Francia per una commessa su degli aerei: paga una parte dell'ordine e si fa finanziare da delle banche per l'altra parte. O addirittura dal credito all'esportazione italiana. Con il rischio poi che non solo l'Italia non veda quei soldi, ma si trovi anche a pagarli a caro prezzo perché il Paese è esposto con le banche e con la Sace: è assurdo", spiega Vignarca. Il coordinatore sottolinea che aspetti di questo tipo siano un dettaglio tecnico, in confronto alla questione sui diritti umani, ma comunque rilevanti: "Ci troviamo cornuti e mazziati: perché diamo armi a chi ci sta creando problemi in Libia, le diamo a chi insabbia le vicende di Giulio Regeni e di Patrick Zaky, a un regime autoritario, e alla fine dobbiamo pure tirare fuori i soldi per fargliele avere".
La legge 185 / 1990
La Rete italiana per il disarmo si appella anche alla legge 185 del 1990, che vieta la vendita di armi a quei Paesi i cui governi sono responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani o dove vige l'embargo delle armi proclamato dall'Onu o dall'Unione europea. Negli ambienti favorevoli all'industria bellica, racconta Vignarca, si può notare una certa insofferenza verso questa norma, che a detta di molti dovrebbe essere cambiata. "Non vorrebbero nemmeno questi pochi controlli che abbiamo e che spesso e volentieri non vengono neanche rispettati, come abbiamo visto. Peccato per loro che oltre la 185 ci sia anche la posizione comune dell'Ue e il trattato internazionale sul commercio di armi (Att): sono norme a cui l'Italia deve sottostare perché le ha ratificate", prosegue il coordinatore, aggiungendo che nell'Att si stabilisce addirittura il divieto di vendere armi anche solo in presenza del rischio di violazioni di diritti umani.
Il quadro normativo, sia nazionale che internazionale, quindi avrebbe tutti gli elementi a disposizione per vietare commesse di queste tipo. "Noi di Rete italiana per il disarmo chiediamo che ne discuta il Parlamento. Se vogliono eliminare alcuni criteri della legge 185 possono farlo solo in un modo: il Parlamento deve votare una risoluzione o una delibera del Consiglio dei ministri che affermi che in quel caso, per ragioni di Stato o di alleanze politiche, si superino i criteri della 185. Però vengano in Parlamento a dirlo e a spiegare perché bisogna sputare in faccia alla famiglia Regeni e a Patrick Zaky, o ignorare tutte le norme internazionali, solo per favorire i produttori di armi. Che vengano a dirlo in Parlamento", conclude Vignarca.