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Morte di Silvio Berlusconi

La Tv, la discesa in campo, il predellino, i cerchi magici: Paolo Romani racconta Berlusconi

Prima nelle Tv, poi in politica, Paolo Romani è stato per 30 anni uno degli uomini più vicini a Silvio Berlusconi. Con Fanpage.it, l’ex parlamentare e ministro ripercorre i ricordi che lo legano al Cavaliere, morto a Milano, all’età di 86 anni.
A cura di Marco Billeci
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Prima nel mondo della Tv, poi in politica, Paolo Romani è stato per molti anni  uno degli uomini più vicini a Silvio Berlusconi, morto il 12 giugno, all'età di 86 anni. Il rapporto tra i due è iniziato all'epoca della fondazione di Fininvest anche se, precisa Romani: "La storia per cui avrei inventato Colpo Grosso (noto Sexy Show degli anni '80), me l'hanno affibbiata,  ma per mia sfortuna non è vera".

Romani ha poi seguito l'avventura politica di Berlusconi, fin dalla nascita di Forza Italia, è stato parlamentare e ministro, prima di lasciare il partito nel 2020. Insomma, si tratta di una delle voci più autorevoli, per ricostruire la parabola umana e politica del Cavaliere.  "Per far capire chi è stato Berlusconi – dice Romani a Fanpage.it-, ricordo quello che diceva sempre Confalonieri. È  stato l'uomo che la mattina ha comprato il Milan e il pomeriggio è andato a inaugurare La Cinq, la prima Tv nazionale privata in Francia. Un'impresa ardimentosa, considerando il nazionalismo dei francesi".

Prosegue l'ex ministro azzurro: "Berlusconi è l'uomo che ha inventato la televisione commerciale in Italia, riuscendo a fare concorrenza alla Rai. E poi ha rivoluzionato il linguaggio della comunicazione politica. D'altronde, chi fa televisione deve capire la pancia del Paese e chi fa politica tutto sommato deve avere la stessa sensibilità, quindi sono mestieri che si assomigliano".

E infatti, dopo il successo di Fininvest, nel '94 arrivò la discesa in campo…

Appena vincemmo le elezioni andammo a Roma e Berlusconi convocò quattro o cinque giovani parlamentari, tra cui c'ero anche io.  Ci disse: fatemi le domande più difficili che vi possano venire in mente, perché io mi devo preparare alle risposte. Essendo lui un perfezionista assoluto, si sentiva forse ancora impreparato ad affrontare dibattiti televisivi . Quindi passammo due giorni a fargli domande, le più cattive, per stimolarlo a dare la risposta più sensata e intelligente.

Dal suo punto di vista, cosa sono  stato Berlusconi e il berlusconismo per il Paese?

Un'avventura politica straordinaria. Berlusconi ha portato in Italia il bipolarismo, ha segnato il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Ha introdotto  i criteri della leadership forte all'interno di un partito.

Una leadership che non ammetteva il dissenso?

Io che l'ho vissuto da vicino, so quanto fossero collegiali le decisioni che venivano prese. Difficilmente Berlusconi decideva da solo e difficilmente decideva in fretta. Aveva un pensiero "carsico":  quando gli veniva un'idea – per certi versi anche geniale o importante –  la sottoponeva alle persone che collaboravano con lui, dopodiché non ne ne parlava più. Tutti ne discutevano e a un certo punto, questa idea riappariva, più o meno simile a quella originale. Ma tutti nel frattempo, potevano dire: ho partecipato, ho discusso, ero d'accordo o no. Qualcuno arrivava anche a dire: ha fatto come dicevo io. Ma l'idea era sempre sua. Così si arrivava alla decisione.

Decisioni che molte volte hanno sorpreso l'opinione pubblica…

L'unica scelta improvvisa, ma geniale, è stata quella del predellino. E io lì ho un ricordo personale. La mattina sapevo che doveva andare a San Babila, l'ho chiamato e gli ho chiesto: cosa vai a fare oggi? Mi ha risposto: non lo so, ma qualcosa dirò.

Non aveva ancora scelto se compiere quel passo o no?

A mio avviso, non aveva ancora deciso se dirlo, anche se le circostanze  sembravano favorevoli alla creazione del partito unico di centrodestra. Alla fine lo ha fatto ed è stato un pezzo di storia di questo Paese. È  la stessa idea che per certi versi paventa oggi la Meloni, quando parla del nuovo partito conservatore.

Quali sono gli altri passaggi chiave, secondo lei, del percorso politico di Berlusconi?

Il più noto è Pratica di Mare, quando mise insieme Putin e Bush nel 2002. Ma io penso che il culmine del consenso, lo ottenne il 25 aprile del 2009, col discorso di Onna, mettendo il fazzoletto tricolore al collo, donato da uno degli ex partigiani presenti. Quello fu il vertice del suo ruolo istituzionale, che alle volte faceva un po' fatica a indossare.

Che eredità lascia?

Noi pochi che lo conoscevamo bene, abbiamo sempre detto che lui è un imperatore, non un re. I re hanno eredi, gli imperatori no.

È  stato un suo limite questo?

È stata una scelta, non avere eredi designati. Diciamo che negli ultimi anni, quando molti di noi si sono allontanati, c'è stato un eccesso di cerchi magici che lo hanno un po' blindato, chiuso, isolato dal resto del mondo. Noi ce ne siamo spesso lamentati, lui se ne rendeva conto, ma forse gli faceva anche comodo, per non avere tante rotture di scatole, visto che si può immaginare quante persone lo cercassero ogni giorno.

Forza Italia sopravviverà alla morte di Berlusconi?

Quelli che ci sono oggi – e io non ho capito esattamente chi siano – hanno una grossa responsabilità. È possibile che ci sia un'eredità politica, che prescinde dal fondatore e io mi auguro che questo accada, perché c'è bisogno di un partito liberale di centro, popolare e riformista, in un Italia governata dalla destra. La classe dirigente di Forza Italia ha la responsabilità di far tornare tutti quelli che sono andati, per motivi che non erano di responsabilità di Berlusconi.

E le sue televisioni, che fine faranno?

Il gruppo Mediaset continua a fabbricare utili, anche in presenza di nuove finestre di comunicazione. Ho l'impressione che sia una scommessa ancora tutta da giocare, c'è ancora tanto da inventare, che qualcuno possa dire: quel mondo è finito, penso non sia assolutamente vero.

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