"Prima gli italiani, in questo momento storico l'emergenza lavoro, sicurezza, futuro riguarda tutta Italia, quindi prima gli italiani. Per tutto: lavoro, case popolari, legittima difesa". Con queste parole Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, margine del congresso federale del partito, ha chiarito una volta per tutte qual è la destinazione finale del cammino su cui da tempo ha dirottato il Carroccio. Un percorso che mira all’occupazione dello spazio politico a destra, con un soggetto sovranista, populista, nazionalista e identitario che sia la declinazione italiana del Front National di Marine Le Pen.
Un concetto ripetuto anche dal palco, di fronte a una platea piuttosto “interessata” all’argomento: “Penso che l'Italia stia insieme se rispetta le sue identità e le sue diversità in senso federale: io sono federalista, non voglio dividere, ma voglio unire. L'emergenza è il lavoro. La Lega è il movimento del futuro, la Lega della speranza del lavoro di chi non vuole scappare all'estero, quindi se Calabria e Sicilia hanno il 60% di disoccupazione giovanile, vuol dire che tutti gli altri da destra a sinistra hanno fallito. Si può cambiare e bisogna esportare il buon governo di Lombardia, Veneto e Liguria a livello nazionale”.
Che la dimensione regionale stesse stretta a Salvini è cosa nota ed è fin troppo evidente che "di fatto" la proposta politica del Carroccio fosse molto diversa da quella ereditata dalla precedente gestione. La sterzata operata dal segretario leghista è stata talmente netta da creare un nuovo dualismo all'interno del campo del centrodestra, spingendo Berlusconi a rimettere in discussione l'alleanza nella considerazione che, per dirla con le parole di Ferrara, "una coalizione liberale e popolare vuol dire sostituire la sinistra democratica al governo del paese, non abbattere alla cieca il suo governo e i suoi simboli alleandosi con la peggiore demagogia nazionalista, antieuropea, etnicista e una punta razzista”. Dal canto suo, Salvini stesso sta da tempo "valutando" la convenienza di una intesa con Berlusconi, che avrebbe senso solo se fosse aperta la partita per la leadership, proprio per i contorni del suo progetto politico, che è personale e individuale, proprio nella misura in cui c'è identificazione fra leader / partito / progetto politico.
È una partita interessante, quella della riorganizzazione (e trasformazione) dello spazio politico a destra, proprio perché potrebbe cambiare gli equilibri politici. Salvini ha fatto una nuova mossa, cancellando per sempre la vecchia base ideologica della Lega, oltre che ridisegnandone il gruppo dirigente. Lo ha fatto certo operando una svolta netta in tema di politiche economiche (dal federalismo al nazionalismo autarchico), ma anche interpretando prima e meglio di altri il nuovo tempo della politica.
Come vi spiegavamo qui, “dall’immigrazione al furore antieuropeista, dalla polemica anti – rom fino all’uscita dall’euro: Salvini colpisce tanto più duramente dove gli altri evitano di metterci la faccia, per paura di perdere consensi o per semplice incapacità […] Per la prima volta, poi, una comunicazione di questo tipo è completamente "interclassista" e fa presa indifferentemente sul proletariato urbano (sui cambiamenti in corso, da tempo, in particolare in periferia, converrà ragionare seriamente), su ciò che resta del "ceto medio", tra i piccoli e medi imprenditori provati dalla crisi, tra le vittime della fine dello statalismo e tra vecchi e nuovi nostalgici della soluzione pragmatico – autoritaria”.
Salvini parla a un universo “figlio della crisi ma anche del fallimento delle politiche europee degli ultimi 20 anni”, che rappresenta un bacino enorme e su cui fa facilmente presa un messaggio netto e divisivo: “quello che fa leva sul disagio, sulla “democrazia rubata”, sullo strapotere delle lobby e sulle trame oscure degli eurotecnocrati, ma soprattutto quello che costruisce muri e barriere, che agita lo spauracchio delle invasioni, dell’insicurezza, che prospetta scenari apocalittici e che “gioca” sulla perdita di certezze, sul disorientamento”.
È questa la nuova Lega, quella con cui la politica “tradizionale” avrà a che fare nei prossimi anni.