Sono tornati in piazza sotto la grande sigla "Per la vita" e sono sempre loro: no alla possibilità di scegliere l'interruzione volontaria di gravidanza, no all'eutanasia, no a un orientamento sessuale che non sia quello etero, e poi la grande paura del gender (chissà cosa sarà, poi).
Sono gli stessi manifestanti che c'erano prima del Covid, tornati in piazza ma decisamente meno di due anni fa, probabilmente più per l'effetto Covid che per un cambio d'ideali dei partecipanti di due anni fa.
Nessuna bandiera di partito all'interno della manifestazione, ma la maggioranza si esprime chiaramente: destra, estrema destra e addirittura chi si autodefinisce fascista. Nessuno di sinistra. Sembra ovvio ma capire i partiti di riferimento di chi scende in piazza con slogan contro i diritti umani non è un esercizio stilistico, ma serve (a mio avviso) a capire la direzione della società e quali – probabilmente – saranno gli occhi con cui guarderà ai diritti il prossimo governo.
I manifestanti, più volte, avevano ricevuto dal palco un invito preciso: "Non parlate con i giornalisti". Gli unici deputati alla parola pubblica erano tre rappresentanti della manifestazione, che ho accuratamente evitato non per sfiducia ma perché quando entro in una manifestazione non cerco la dichiarazione dell'ufficio stampa, ma mi interessa capire il clima e i sentimenti fra le persone che partecipano, che sono poi il cuore pulsante di ogni marcia, anche di quella cosiddetta "per la vita".
Ho ricevuto un paio di spinte, un vaffancul* e qualche coro poco simpatico, ma sono stati episodi isolati. La stragrande maggioranza degli intervistati era poco disposta alle interviste ma assolutamente pacifica.
Rispetto alla contraddizione nel definirsi "per la vita" e poi parteggiare per i "porti chiusi" e il "respingimento immigrati", hanno confermato quella che a mio avviso rimane appunto la loro contraddizione più grande: voler salvare i feti e poi lasciare morire in mare (o torturate in Libia) persone che provano a fuggire dalla guerra e dalla fame per vivere.
Rispetto all'aborto la posizione comune è chiara: "Chi abortisce è un'assassina e la legge 194 dovrebbe essere abolita", nonostante sia proprio da quando è entrata in vigore quella legge che in Italia gli aborti sono in costante diminuzione.
Del problema della diminuzione di medici obiettori negli ospedali pubblici, arrivando spesso all'impossibilità di ricorrere all'interruzione volontaria di gravidanza – ricordiamo prevista dalla legge italiana – non solo non si preoccupano, ma si dichiarano contenti. Dal loro punto di vista è comprensibile, ma io rimango sempre interdetto di fronte alla felicità derivante dall'inosservanza di una legge che pone le donne in una condizione di difficoltà e di sofferenza.