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La sfida di Renzi è trasformare l’Italia in un Paese per giovani

L’Italia non è un Paese per giovani e a dirlo sono le statistiche che si abbattono sempre più impietose sulla nostra quotidianità.
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L’italia non è un paese per giovani, o meglio i giovani ci sono ma, spesso vanno via. A confermarlo sono i numeri  che raccontano un’emigrazione giovanile in aumento del 115% rispetto a 10 anni fa. Un numero enorme, una vera a propria fuga giustificata dalla mancanza di opportunità (e di innovazione) di cui è schiava l’Italia.

Ma cosa dovrebbe trattenere un giovane qui, oggi? Contratti precari? Mancanza di infrastrutture ferroviarie? Mobilità urbana imbarazzante? Assenza di banda larga? Istruzione scadente?

Come può un Paese che vuole rilanciare la sfida della crescita, deficitare lungo i tre pilasti che costituiscono la modernità di una nazione: istruzione, trasporti, internet.

Siamo il Paese che non riesce a piazzare nessuna università tra le prime 180 del mondo. Siamo il Paese con il minor numero di metropolitane nei centri urbani e, infine, un Paese in cui solo il 50% della popolazione può accedere alla banda larga. (Non staremo qui a discutere della salute delle Ferrovie dello Stato, soprattutto dopo la recente dichiarazione di Moretti).

Pertanto il dovere di Matteo Renzi non è quello di riformare i contratti, non è quello di tagliare la spesa dello Stato, il dovere di Matteo Renzi è quello di avere una visione del Paese che sia contemporanea.

La vera sfida del Presidente del Consiglio più giovane della storia è tutta qui: trasformare l’Italia in un Paese per giovani.

Un Paese dal quale non scappare, un Paese nel quale rimanere. Un Paese in cui è possibile imparare, crescere, fare. Un Paese fatto di opportunità e non di opportunità mancate. Ad un Presidente del Consiglio di 39 anni non si deve chiedere altro che avere questa visione. La visione di un Paese fatto per la generazione che oggi sta scappando. Un Paese che metta al centro del suo futuro non il mantenimento dello status quo di una classe dirigente anziana e inadeguata, ma un rinnovamento che parta dal basso.

Un rinnovamento che deve toccare la spina dorsale della nazione. Rinnovare l’Italia vuol dire favorire la mobilità al suo interno, vuol dire investire sull’istruzione e sulla ricerca, vuol dire permettere a tutti di accedere ad internet. E’ qui la sfida. La creazione di posti di lavoro deve partire da qui. Dalla possibilità di essere creatori di contenuto, non dipendenti.

La rivoluzione copernicana che si chiede ad un premier giovane, è quella d’istillare la cultura del fare e non dell’avere. Renzi dovrebbe decostruire culturalmente l’assistenzialismo che è stato il male peggiore dell’Italia di questi ultimi 50 anni. Assistenzialismo che – ad un certo punto – non è stato più volano per le classi meno abbienti ma un livellamento verso il basso della nazione. Un assistenzialismo che ha distrutto l’istruzione pubblica trasformando un titolo di studio in un viatico verso il lavoro.

Se la cultura del “ho un titolo di studio quindi devo lavorare” ha soppiantato quella de “il mio titolo di studio è un certificato che attesta un percorso formativo” vuol dire che abbiamo creato un paradosso per il quale l’avere è più importante dell’essere (o del fare). In altri termini mentre nel resto del mondo la crescita viene misurata in base a quanto si “crea”, in Italia la progressione di una persona si misura in base a quanto questa ha.

E non è un caso che mentre da noi si guarda ancora la tecnologia come uno strumento, Barack Obama, a cui tanto si ispira Renzi, nel discorso agli studenti americani invita questi ultimi a “non comprare un nuovo video game: fattene uno. Non scaricare l’ultima app: disegnatela. Non usare semplicemente il telefono: programmatelo”. Un discorso visionario che parla ai giovani invitandoli a fare. Un discorso che pone al centro la tecnologia come emancipazione e non come strumento didattico.

Ciò che può risultare incomprensibile ad un politico 60-70enne poiché (giustamente) quando egli era adolescente la tv non c’era, l’istruzione era l’unico volano, etc…, non può esserlo per un Presidente del Consiglio di 39 anni. La vera sfida di Renzi è tutta qui, rimettere al centro del Paese la contemporaneità. E che ci piaccia o no, i salotti che tanto bene descrive Sorrentino, non sanno nemmeno dove “sta di casa” la contemporaneità.

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Ex direttore d'AgoraVox, già professore di Brand Strategy e Comunicazione Pubblicitaria Internazionale presso  GES -  Grandes Écoles Spécialisées di Parigi. Ex Direttore di Fanpage.it, oggi Direttore di Deepinto.
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