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News sul salario minimo in Italia

La sentenza Ue che smentisce il governo Meloni sul salario minimo: i contratti collettivi non bastano

Una sentenza del Tribunale Ue che coinvolge Ryanair e la Commissione europea ha sottolineato che non si può chiedere alle aziende, se non firmano un contratto collettivo, di applicare i salari che questo prevede. “Espandere la contrattazione collettiva” è la risposta del governo Meloni per evitare un salario minimo nazionale, ma in casi simili non funziona.
A cura di Luca Pons
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Il governo Meloni ha chiarito più e più volte la sua posizione sul salario minimo: non c'è bisogno di introdurlo in Italia, e anzi sarebbe dannoso, perché ci sono altre misure per alzare i salari – come il taglio del cuneo fiscale – e perché è molto meglio puntare sulla contrattazione collettiva. Cioè, cercare di allargare il più possibile i contratti collettivi nazionali (Ccnl) che i sindacati negoziano con le associazioni dei datori di lavoro.

"La stragrande maggioranza di chi oggi è lavoratore dipendente nel privato è coperto da contratti collettivi nazionali firmati dai sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil, ndr), che già di fatto prevedono un minimo salariale", aveva detto Giorgia Meloni già prima di diventare presidente del Consiglio, al Festival del lavoro 2022 a Bologna. Questa è rimasta la linea sua e del suo governo, e per buone ragioni elettorali, nonostante le proteste delle opposizioni. Ma una sentenza del Tribunale dell'Unione europea, arrivata il 24 maggio, ha messo in evidenza uno dei grandi limiti di questo ragionamento: i contratti collettivi non possono coprire davvero tutti, un salario minimo nazionale sì. Il caso, in particolare, riguarda una causa mossa da Ryanair contro la Commissione europea per gli aiuti concessi durante il Covid-19.

Il caso Ryanair e la sentenza del Tribunale Ue

Nel 2020, il governo italiano ha stanziato 130 milioni di euro di aiuti per le compagnie aeree, per compensare i danni subiti a causa della pandemia. Tra i criteri per accedere a questi aiuti, c'era anche il salario: potevano riceverli solo quelle compagnie aeree che pagavano i loro dipendenti in Italia almeno tanto quanto previsto dal contratto collettivo nazionale di categoria. La misura è stata presentata alla Commissione europea, che l'ha approvata senza fare obiezioni.

Il problema è stato sollevato da Ryanair, che ha fatto causa alla Commissione per non essere intervenuta. L'azienda low cost fa firmare ai suoi dipendenti (anche quelli che vivono in Italia) un contratto irlandese: la paga è più bassa di quella prevista dal contratto collettivo italiano, perché Ryanair non vi aderisce. E ha tutto il diritto di non farlo, legalmente. Anzi, come sottolineato da La Voce, l'associazione che ha negoziato questo Ccnl per nome delle compagnie aeree rappresenta solo l'11,3% del traffico aereo totale in Italia.

Secondo Ryanair, quindi, era ingiusto che potessero avere gli aiuti solo alcune aziende in base a una condizione economica che non è stata decisa da un'organizzazione rappresentativa, ma da una minoranza. Questi aiuti, anzi, andavano contro il principio del libero mercato e della libera concorrenza nel settore dei servizi, che è previsto dall'articolo 56 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Il Tribunale Ue, con la sua sentenza, ha dato ragione a Ryanair: in Italia non c'è una norma che obblighi tutti a riconoscere un certo salario minimo, ma solo un contratto collettivo che non rappresenta davvero le aziende più importanti, quindi basarsi su quello per distribuire degli aiuti economici è scorretto. A sbagliare, formalmente, è stata la Commissione europea che non ha effettuato i necessari controlli prima di dare l'ok.

Il contratto collettivo non può tutelare tutti

La Commissione probabilmente farà ricorso, spiegando meglio perché ha scelto di non fermare la norma. Concretamente, se la sentenza sarà confermata, le compagnie che hanno ricevuto i sostegni dovranno restituirli. Ma la questione è più generale: la decisione del Tribunale Ue mostra che per la contrattazione collettiva, come metodo, è praticamente impossibile arrivare a tutelare tutti i lavoratori.

Dato che i Ccnl si applicano solo alle imprese che scelgono di farne parte, un'azienda come Ryanair può tranquillamente pagare i suoi dipendenti meno delle altre compagnie aeree del settore. Dato che, peraltro, la compagnia irlandese si trova in una posizione di forza nel mercato (fa il 40% dei voli in Italia). E un contratto collettivo non basta, anche se è stato firmato dai sindacati confederali, come in questo caso. Non si può obbligare Ryanair ad alzare i propri salari passando dai Ccnl, e in assenza di un salario minimo nazionale non c'è nessun riferimento per sapere quanto sia ‘giusto', legalmente, pagare i dipendenti.

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