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La scuola italiana è a pezzi. E la colpa è degli insegnanti (così pare)

L’ennesimo incredibile teatrino va in scena sugli insegnanti: il Governo rivuole 150 euro al mese, poi ci ripensa. Ma prendendo i soldi da un altro fondo per l’istruzione. E questo sarebbe il modo per rilanciare l’istruzione?
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Tra gli abitanti dei 24 Paesi del mondo sviluppato (la definizione non è nostra) gli italiani si collocano al penultimo posto per la capacità di calcolo e all'ultimo per le conoscenze di base (Ocse su dati Isfol). Negli ultimi 15 anni, mentre la Germania, la Francia, la Spagna ed il Regno Unito aumentavano la spesa per l'istruzione, in Italia si chiudevano i rubinetti, fino ad arrivare ad essere penultimi su scala europea per investimenti percentualmente al Pil. Negli ultimi anni il personale è diminuito, con il parallelo aumento del numero dei precari interni alle istituzioni scolastiche, per effetto di riforme discutibili e tagli indiscriminati. A questo va aggiunto il surreale e drammatico divario nella qualità dei servizi scolastici fra Nord e Sud del Paese, con una forbice in ulteriore allargamento.

Sono queste solo alcune delle criticità intorno al settore dell'istruzione pubblica. Che richiederebbero interventi radicali, centrati magari intorno ad un programma organico e strutturato, teso al sovvertimento del paradigma dei tagli lineari a settori vitali. E nella consapevolezza che si esce dalla crisi solo investendo nell'istruzione, nella formazione e creando le precondizioni della crescita complessiva del sistema Paese. Quale invece sia la direzione degli ultimi anni è sotto gli occhi di tutti. La descrizione migliore l'ha fornita qualche settimana fa proprio Matteo Renzi, ora segretario di un partito che ha precise responsabilità nella definizione del quadro di cui sopra (anche per le tante contraddizioni interne e per la timidezza con cui ha affrontato le storture del rapporto fra pubblico e privato): "Gli insegnanti sono stati sostanzialmente messi ai margini, anche dal nostro partito. Abbiamo permesso che si facessero riforme nella scuola, sulla scuola, con la scuola senza coinvolgere chi vive la scuola tutti i giorni. Non si tratta solo di un autogol tattico, visto che comunque il 43% degli insegnanti vota PD. Si tratta di un errore strategico: abbiamo fatto le riforme della scuola sulla testa di chi vive la scuola, generando frustrazione e respingendo la speranza di chi voleva e poteva darci una mano.  […] Bisogna parlare di educazione nei luoghi in cui si prova a viverla tutti i giorni, non solo nelle polverose stanze delle burocrazie centrali".

Tutto sacrosanto, condivisibile. Non fosse che il Pd è l'azionista di maggioranza del Governo Letta e abbia la responsabilità di incardinarne l'azione. Quel Governo che, dopo aver varato un decreto scuola che tutto sommato rappresentava un primo, timido, passo in avanti, si è reso colpevole dell'ennesimo pasticciaccio brutto sulla "restituzione dei 150 euro al mese a 90mila insegnanti". Una richiesta che, oltre ad andare a toccare dei diritti acquisiti, rappresentava l'ennesimo "affronto" ad una categoria già tartassata negli anni e privata proprio di quella "dignità del ruolo" di cui parlava Renzi (che ha messo l'ennesima pezza, certo). E, ad ulteriore beffa, ora si scopre che le risorse per rinunciare al "prelievo" arriveranno proprio "dal fondo per il Miglioramento dell’offerta formativa, che serve a finanziare le attività e i progetti a supporto della didattica". Insomma, non fossimo ad un passo dal ridicolo, ci sarebbe davvero da piangere.

Lo spiega Galatea Vaglio su L'Espresso, con parole che dovrebbero davvero spingere ad una riflessione di senso, ma soprattutto ad una ammissione di responsabilità da parte della politica (che poi, detto per inciso, sarebbe anche il caso di mettere da parte retorica e propaganda):

Dovrei essere contenta, perché pare che i 150 euro non saranno trattenuti, per cui il mio stipendio, già abbastanza miserabile, almeno non verrà ulteriormente impoverito.

Dovrei essere contenta perché tutto è bene quel che finisce bene, e invece mi sento per l’ennesima volta gratuitamente umiliata da uno Stato che io a scuola non cesso di difendere, dicendo ai miei alunni che lo si deve rispettare, che è l’unico nostro baluardo contro il sopruso, che è lo Stato fatto da noi cittadini per difendere i nostri diritti, tutelare i più deboli, riconoscere il merito e la dignità delle persone, difendere la dignità dei lavoratori, come dice la nostra Costituzione. E invece a me ha trattato come se fossi una povera pezzente che chiede l’elemosina e o una delinquente che si appropria di soldi non suoi, e viene poi giustamente perseguita perché deve ridarli indietro.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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