Bersani ha giocato le sue carte nella complessa partita per il Colle. E ha perso. Questo è il primo vero dato politico che emerge dopo i primi scrutini per l'elezione del successore di Giorgio Napolitano. Una sconfitta figlia del metodo stesso con il quale il segretario ha deciso per la candidatura di Marini, scegliendo di ignorare, consapevolmente o meno, le pressioni dei suoi avversari interni e soprattutto la grande domanda di un segnale vero di cambiamento e discontinuità che arrivava dalla base del partito e dalle migliaia di elettori, militanti, simpatizzanti (che avevano individuato in Stefano Rodotà l'uomo giusto per una "alternativa possibile").
Bersani ha perso, nonostante fosse d'accordo con il banco e con gran parte degli altri giocatori. Ha perso perché ha provato a rifugiarsi nel compromesso, dopo oltre un mese passato a mantenere la barra dritta e a difendere ostinatamente l'alterità del Pd rispetto ai vecchi giochi di palazzo. Ha perso, perché ha creduto che bastasse "l'intento" di tener separati i due tavoli (quello del Colle e quello della formazione del nuovo governo) per portare a termine un'operazione politicista e verticista (la "rivolta" dei franchi tiratori è solo la manifestazione minima del dissenso tra i militanti democratici). E ha perso perché, nel momento di maggior crisi della politica italiana, si è ritirato nelle stanze dei bottoni invece di scendere in piazza, tra il suo popolo (che, fino a prova contraria, lo ha sempre sostenuto e difeso).
Il segretario del Pd, le cui qualità certamente non possono essere cancellate da una scelta, questa volta però non ha semplicemente "non – vinto". Ha portato il partito sull'orlo della scissione, provocando una rivolta tra la base che difficilmente ha precedenti. E, a dirla tutta, non ha ricevuto sostegno nemmeno dai suoi fedelissimi (salvo rarissime eccezioni, come quella di chi ha provato a ricordare che "Marini è uno di noi", come se Rodotà, per dirne una, provenisse dal Msi). Tra le risatine dei berlusconiani, la freddezza dei montiani, i "non capisco ma mi adeguo" dei turchi, gli "yes sir" di pochissimi oltranzisti dell'ortodossia d'apparato, si è dunque consumata una sconfitta che è prima di tutto politica, poi personale. E però, per molto meno in un partito che viene da "una certa tradizione" si dovrebbe fare un passo indietro. Bersani, la cui onestà intellettuale non è in discussione, si ricordi chi è e da quale storia gloriosa proviene. E ne tragga le conseguenze. Senza drammi, ma solo perché la "ruota cominci finalmente a girare".