È la linea della ragionevolezza e della responsabilità, quella scelta da Mattarella per risolvere la crisi di Governo apertasi con la vittoria del No al referendum costituzionale e le dimissioni di Matteo Renzi da Palazzo Chigi. Una persona seria a capo di un esecutivo che si occupi di cambiare la legge elettorale, rispettare gli impegni presi in sede europea, seguire i provvedimenti impostati dal Governo precedente e traghettare poi il Paese alle urne. La maggioranza, c’è già e il voto del Senato sulla legge di bilancio lo ha dimostrato, dunque nessuna fibrillazione eccessiva. La squadra di Governo appare sostanzialmente già rodata, salvo qualche aggiustamento già in programma (Giannini) e qualche cambiamento obbligato (Boschi, Gentiloni, forse Delrio). Il cronoprogramma sembra essere chiaro: voto a luglio o in autunno, non a fine legislatura.
Detto ciò, mai come questa volta la scelta di Mattarella ha il sapore dell’ingiustizia, della beffa, del “mancato rispetto della volontà degli elettori”. Mai come stavolta la decisione di prolungare la legislatura appare come una manovra tutta politicista, volta esclusivamente o quasi alla sopravvivenza di un ceto politico che ha fallito nel tentativo di riformare il Paese e che non è mai chiamato a prendersi le proprie responsabilità. Mai come questa volta, quella di Mattarella sembra una imposizione dall’alto, determinata dalla paura del voto degli elettori. Una prospettiva inconcepibile per una democrazia matura: quella del terrore di chiedere ai cittadini di tirarci fuori dalla crisi, determinata esclusivamente dalle scelte della politica.
Votare subito sarebbe stato un azzardo, non c’è dubbio. Estendere l’Italicum al Senato sarebbe stato un pastrocchio, specie se la Consulta ne avesse mutilato aspetti essenziali. Andare alle urne con il proporzionale puro è una follia. Lo sa Mattarella e lo sanno tutti, maggioranza e opposizione.
Ma per come si è determinato il quadro istituzionale, dopo l’all in di Renzi e la sconfitta tutta politica del progetto di riforma del Paese, non c’è altra strada rispetto alla legittimazione popolare. Non c'è altra strada se si vogliono evitare le macerie, almeno. Questo Renzi lo sa bene, tant’è che sta cercando in tutti i modi di allontanare da sé la paternità della scelta. Lo sa la destra, che è già sulle barricate. Lo sa il MoVimento 5 Stelle, che avrà una prateria davanti nei prossimi mesi. E lo sa anche Mattarella, in fondo, tanto da precisare più volte la breve durata della parentesi Gentiloni.
Il quale avrà sulle spalle un peso tremendo: quello di guidare un progetto senza legittimazione popolare né politica, tra lo scetticismo della maggioranza e la contestazione dura dell’opposizione. Perché lo scenario che ci attende è questo: un Paese infiammato dalle contrapposizioni, in cui lo scontro politico subirà un'ulteriore polarizzazione, con una radicalizzazione delle posizioni che aumenterà contrasti e fratture. In mezzo, un Governo strutturalmente debole, con un'azionista di maggioranza, il PD, lacerato da un congresso che si annuncia come la resa dei conti finale tra Renzi e le minoranze.
Buona fortuna a tutti noi, ne avremo bisogno.