La Sardegna è nella morsa della siccità, ma la campagna elettorale ignora la crisi climatica
È inverno, ma in Sardegna sembra già estate. Le foto satellitari del programma europeo Copernicus mostrano lo stato dei bacini idrici isolani. Il Lago alto del Flumendosa, che disseta buona parte dell’est della regione, è in crisi. Solo la metà dell’invaso è pieno: l’anno scorso alla stessa data i livelli erano molto maggiori. Un deficit a questo punto della stagione, se non intervengono forti piogge, si tradurrà in siccità durante l’estate.
Il riempimento dei bacini può variare di anno in anno, ma è il trend che preoccupa. Secondo uno studio del Cnr, tra il 30 e il 50% del territorio sardo è a rischio desertificazione. Un dato che fa paura, in una regione dove moltissimi vivono di agricoltura e allevamento.
Sarebbe lecito aspettarsi che, anche per questo, la crisi climatica sia al centro della campagna elettorale per le elezioni del 25 febbraio, quando i sardi eleggeranno il loro prossimo presidente di regione. Ma i grandi scioperi per il clima sono lontani, mentre la crisi economica e le guerre hanno cambiato le priorità degli elettori. La transizione oggi è sempre più spesso ai margini del dibattito – o usata come spauracchio.
Metano, il gasdotto che divide l’isola
Se si apre una delle tante mappe interattive che calcolano l’intensità carbonica dei sistemi energetici – in soldoni, quanto inquina l’energia che produciamo – si vede la Sardegna colorata di un rosso intenso, colore tossico. Colpa dell’antiquato apparato elettrico, retto solo in parte dalle rinnovabili e con ancora due centrali a carbone attive e un impianto che brucia gli scarti di raffinazione del petrolio. Energia sporca, sporchissima, che imporrebbe un veloce ammodernamento. Ma la politica sarda non sembra avere fretta. Da decenni si dibatte sull’arrivo del gas metano – a lungo assente nella regione. La proposta è quella di sostituire le centrali a carbone con rigassificatori, depositi costieri e un lungo tubo che porti il gas in giro per l’isola. Una transizione da fossile ad altro fossile che piace alla politica quasi al completo – centrodestra e centrosinistra, confindustria e sindacati – ma terrorizza gli ecologisti. «Questo progetto va contro tutti gli accordi sul clima da Parigi in poi», spiega Paola Pilisio, storica attivista dei comitati contro il metano.
I due candidati dati per favoriti dall’unico sondaggio disponibile, Paolo Truzzu per il centrodestra e Alessandra Todde per il centrosinistra, non la pensano allo stesso modo. «[il metano] è un nostro diritto» ha detto all’Unione Sarda il primo, sindaco di Cagliari ed esponente di Fratelli d’Italia. «È necessario solo come fonte di transizione», la posizione di Todde, che di gas si era già occupata da viceministra del governo Draghi. Differenze di stile, ma sostanza simile: il gas deve arrivare nell’isola. Una posizione che non stupisce per quanto riguarda il centrodestra, che anche a livello nazionale segue il progetto di un’Italia hub europeo del metano. Ma almeno in teoria innaturale per la coalizione progressista. Todde è una delle punte di diamante di quell’alleanza tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico che si propone come alfiere della transizione. L’effetto Schlein, che doveva portare la giustizia climatica al centro del dibattito, in Sardegna ancora non si vede.
«Il mondo intero sta andando verso l’abbandono dei combustibili fossili, anche quest’anno abbiamo visto una riduzione nell’uso del gas e il boom delle rinnovabili». A parlare è Francesca Andreolli, senior researcher del think-tank ECCO e tra le autrici di una pubblicazione del Politecnico di Milano sulla decarbonizzazione del sistema elettrico sardo. «La Sardegna con la metanizzazione si pone in controtendenza», conclude.
Si distinguono sul tema i due outsider, Renato Soru e Lucia Chessa. Il primo è un nome più che noto: fondatore di Tiscali, già presidente della Regione tra il 2004 il 2009, dopo aver rotto col PD corre a capo di una coalizione peculiare, un centrosinistra sardo che unisce alcune forze nazionali molto eterogenee (da Azione a Rifondazione Comunista) e buona parte della galassia indipendentista e autonomista. «Trovo sbagliata e in ritardo la realizzazione di un metanodotto che attraversi tutta la Sardegna, al servizio di una fonte energetica ormai in dismissione» ha detto l’ex presidente in un’intervista al quotidiano il manifesto. Soru sconta però l’eterogeneità della sua coalizione. Se Rifondazione e le liste indipendentiste Vota Sardigna e Liberu sono contrarie al gas in ogni sua forma, i candidati centristi in suo sostegno sono in prima fila nel chiedere più metano. Nettissima invece Chessa, che corre da sola col sostegno del partito autonomista Rossomori: «La dorsale del metano sarà l’ennesima superflua cicatrice sulla nostra isola».
«Fermiamo la transizione»
«Perché fermare la transizione energetica» è il titolo di un opuscolo che molto ha girato tra i paesi della Sardegna nei mesi passati. A firmarlo non una forza di destra, ma alcuni collettivi della sinistra radicale. È l’esempio più estremo di come il dibattito sulla transizione nell’isola segua direttrici molto diverse da quelle del continente. Il tema dell’abbandono del fossile è ai margini, poco sentito tanto dalla politica quanto dalla popolazione – con l’eccezione di quelle comunità che vivono vicine agli impianti più inquinanti. La rabbia è tutta convogliata verso le rinnovabili, e in particolare l’eolico. La liberalizzazione del settore e il costo sempre più basso delle fonti alternative hanno portato ad una marea di progetti per pale e pannelli. Quasi 800 richieste di connessione presentate al gestore delle reti – il primissimo passaggio per l’iter autorizzativo di un impianto. Cifre che, unite alla mancata consultazione dei territori, fanno infuriare le comunità locali. I social isolani sono pieni di post virali che lamentano l’impatto paesaggistico delle pale eoliche, denunciano gli espropri delle terre su cui gli impianti sorgeranno, puntano il dito contro la possibilità che parte dell’energia prodotta venga esportata verso il nord Italia. La Sardegna brulica di comitati no-eolico, e i candidati alla presidenza – stavolta tutti compatti – ne cercano i voti. «Le energie rinnovabili non siano l'ennesimo intervento speculativo», è la posizione di Todde. «L'accelerazione della transizione verde, figlia della ‘ortodossia grillina’, rischia di trasformarsi in un insostenibile svantaggio» replica Truzzu. Per Soru, infine, quella delle rinnovabili rischia di essere «la servitù definitiva».
«Si ha paura che l’eolico deturpi il paesaggio – spiega ancora la ricercatrice Andreoli – – ma parliamo di impianti riciclabili, che a fine vita possono essere smontati. Serve progettazione e rispetto, ma è il fossile che ha deturpato la Sardegna con le raffinerie e l’industria pesante».
Senza dubbio l’isola ha alcune eccellenze nel campo delle rinnovabili. Un 40% dell’elettricità è già oggi prodotta con eolico, solare e idroelettrico – in un contesto nel quale l’isola è esportatrice netta. Alcuni piccoli paesi hanno tentato con successo la strada delle comunità energetiche. Lo sanno anche i candidati, che nonostante le critiche alle proposte di impianti oggi in campo, dedicano parte dei loro programmi al tema. Chessa punta sull’autoproduzione di privati e imprese, Soru e Todde sono accomunati dall’idea di istituire un’agenzia dell’energia in capo alla Regione.
Basi, trasporti, cibo: i tanti rimossi
L’energia rappresenta la gran parte delle emissioni sarde. Ma non la totalità – specie se si pensa alla sola elettricità. La Sardegna è drammaticamente indietro anche su molti altri dossier della transizione ecologica. C’è il tema della mobilità sostenibile, sul quale le proposte latitano. Tutti i programmi concordano sulla necessità di rafforzare il trasporto pubblico – deficitario nell’isola come in tutto il meridione – e alcuni citano esplicitamente la sua elettrificazione. Ma poco di misurabile è proposto. C’è il tema dell’alimentazione, su cui nessuno ha nulla da proporre nonostante intere province abbiano il bestiame come prima singola fonte di emissioni. C’è la Saras, la più grande raffineria del Mediterraneo appena acquistata dalla multinazionale olandese Vittol. Nessuno dei programmi ne chiede la chiusura. Quando si è saputo della vendita, Truzzu ha annunciato la volontà di lottare perché l’azienda rimanga sul territorio, e Todde ha chiesto il rilancio della produzione. Solo Soru ha parlato di un segno «della fine dell’era fossile e della benzina».
C’è, infine, una questione tutta sarda: le basi militari. Il 60% del demanio pubblico italiano destinato alle esercitazioni belliche si trova in Sardegna. Non esiste un dato ufficiale sull’impatto del comparto difesa, ma si stima che a livello globale pesi fino al 5% delle emissioni. Più del trasporto aereo o del commercio navale. «A noi interessa ciò che fanno i politici più di ciò che dicono» ci spiega Giacomo Manai, allevatore di Teulada – dove si trova una delle basi – e attivista del movimento antimilitarista A Foras. «Truzzu tira la volata ai militari. Todde giocoforza si destreggia tra chi le basi le vuole e chi no, ma alla fine promette impossibili ‘poligoni sostenibili’. A Soru e Chessa va almeno riconosciuto che vedono il problema. Soru è venuto da noi, ha parlato di accordo con lo Stato per ridurre le servitù. Ma a noi non basta, sono ancora legati a vecchi schemi italiani».
La Sardegna è un laboratorio climatico
«Todde ha dei limiti – penso alla sua idea di metanizzazione soft, o alla proposta di moratoria sulle rinnovabili fatta da alcuni dei suoi – ma nell’insieme è la più vicina alle nostre posizioni. Certo, il candidato perfetto non c’è». Quando chiediamo una sintesi di questa campagna elettorale ad Annalisa Colombu, presidente di Legambiente Sardegna, ci risponde così. Più duri sul nome del centrosinistra i giovani di Fridays For Future Sardigna, che hanno stilato le «pagelle climatiche»di ogni candidato sulla base dei programmi depositati. Soru e Todde sono primi pari merito, ma con appena il 31% delle rispettive proposte in linea con le necessità della transizione ecologica. Anche per l’ong Recommon la bocciatura è senza appello: «le imminenti elezioni vedranno ai nastri di partenza due candidati entrambi accomunati dall’amore per il progetto di metanizzazione: Paolo Truzzu e Alessandra Todde» scrivono.
Di certo c'è che la Sardegna vive un paradosso. Nonostante sia già oggi particolarmente colpita dalla crisi climatica – l'allerta idrica lo dimostra – ha posto il riscaldamento globale ai margini della campagna elettorale. «La Sardegna è un laboratorio climatico» scrive in una nota l'Associazione nazionale consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue. Ma la politica isolana sembra ignorarlo.