La salute oltre il Covid-19: in Italia ancora manca ancora il registro unico dei tumori
Non sarà l’arma di distruzione del Covid-19, perché per quello servono terapie e vaccini. Ma di sicuro rappresenta un balzo in avanti sulla prevenzione, anche per seguire tutti i malati, compreso chi non ha Sars-Cov-2. La legge c’è, approvata all’unanimità, e divisa in due distinte parti. La prima è quella relativa all’istituzione della rete nazionale del registro tumori e la seconda riguarda la creazione del referto epidemiologico nazionale per il controllo sanitario della popolazione. Entrambi i pezzi della norma hanno comunque una convergenza: facilitare gli interventi sanitari, a un’analisi attenta del “quadro clinico” del Paese.
Un bene prezioso, in generale per il monitoraggio della salute, e nello specifico in questa fase della pandemia. Perché può dare la possibilità di giocare d’anticipo sul contagio nelle aree con un numero maggiore di pazienti a rischio. Insomma, lo strumento è in vigore, approvato in maniera bipartisan dal Parlamento con una legge di iniziativa parlamentare. Solo che c’è un bug, un pezzo fondamentale che manca: non è stato preparato il regolamento che deve essere emanato dal Ministero della Salute. L’attesa è iniziata nell’aprile 2019, con l’entrata in vigore della norma: entro un anno, quindi nell’aprile 2020, avrebbe dovuto vedere la luce il testo per regolamentare il registro tumori unitario e il referto epidemiologico. Insomma, il documento decisivo che avrebbe messo in moto la macchina. Secondo quanto apprende in via informale Fanpage gli uffici ministeriali sono al lavoro sul testo e il documento è dato in dirittura d’arrivo. Un’accelerazione che tuttavia non cancella il ritardo. “Se questa legge fosse stata attuata un anno prima, avrebbe potuto fornire informazioni sullo scoppio della pandemia e sulle conseguenze in determinate aree. Penso alla mia Lombardia. Purtroppo è andata così”, afferma Alberto Zolezzi deputato del Movimento 5 Stelle, che ha seguito la vicenda alla Camera.
Ma cosa cambia nel concreto l’applicazione della legge? La rete nazionale del registro tumori permette di fare una fotografia del territorio nazionale rispetto alle malattia oncologiche e di intervenire di conseguenza. “È chiaro che l’emergenza da Covid-19 ha incentrato tutte le nostre energie su questo, ma chiediamo di sapere lo stato dell’arte su un provvedimento che sappiamo stare a cuore a tutti”, spiega a Fanpage la senatrice del Movimento 5 Stelle, Maria Domenica Castellone, che ha presentato un’interrogazione rivolta al ministro della Salute, Roberto Speranza. “Il governo – aggiunge – ha fatto un lavoro immenso per garantire la salute dei cittadini italiani e sostenere economicamente chi si è ritrovato in difficoltà. Nell’interrogazione chiediamo di fotografare lo stato della situazione. Quando la rete sarà attivata risulterà uno strumento fondamentale e lo sarà grazie a chi ci ha creduto e ci ha lavorato. A partire dal viceministro Sileri che era presidente della Commissione sanità quando venne approvato”.
Questo il capitolo relativo al registro dei tumori. Il referto epidemiologico consente invece invece di avere una sorta di radiografia sullo stato di salute complessivo di una comunità, fornendo informazioni sull’incidenza di determinate patologie, non solo oncologiche, in specifiche aree geografiche. Come riporta il testo di legge, infatti, il referto epidemiologico “si ottiene da un esame delle principali informazioni relative a tutti i malati e a tutti gli eventi sanitari di una popolazione in uno specifico ambito temporale e in un ambito territoriale circoscritto o a livello nazionale”.
Perciò con la “valutazione dell’incidenza delle malattie, del numero e delle cause dei decessi, come rilevabili dalle schede di dimissione ospedaliera e dalle cartelle cliniche” si può studiare “l’andamento di specifiche patologie e identificare eventuali criticità di origine ambientale, professionale o socio-sanitaria”. Una legge scritta quando il Covid-19 era inimmaginabile, ma che pure avrebbe avuto una sua utilità. La norma ha la fattezze di un’arma pacifica per poter intervenire sulla salute pubblica, nel complesso, non solo in riferimento al Coronavirus. Ma i ricercatori, in tempi di pandemia, avrebbero potuto individuare eventuali legami con l’incidenza di mortalità del virus in aree geografiche, in cui – magari – c’era una preesistente problematica di malattie respiratorie. Come poi è emerso da ricerche successive, il fattore inquinamento può aver inciso sulla diffusione del virus in alcune regioni.
Spiega ancora Castellone: “Lo scopo principale è quello di correlare i fattori ambientali con l’incidenza tumorale. Così da creare una vera e propria mappa di tutte le terre dei fuochi sparse in Italia per studiare sempre meglio l’interconnessione tra neoplasie e fattori inquinanti, vista la stretta correlazione tra gli scempi ambientali e i danni provocati alla salute dei cittadini”. Il riferimento può andare in direzione della Campania, così come verso l'ex Ilva di Taranto. Ma sono solo gli esempi più forti: lo strumento consentirebbe di individuare dove l’aria è più inquinata o i terreni contaminati da rifiuti tossici, al di là dei casi noti. La sollecitazione proveniente dal Parlamento ha quindi un obiettivo chiaro: rendere esecutiva la norma. Tra le altre cose, occorre indicare come spendere il milione di euro stanziato nella Legge di Bilancio 2020 per l’impiego di personale e per le infrastrutture necessarie a supportare le attività del registro tumori e del referto epidemiologico.
Il progetto comunque resta irrealizzabile, senza l’entrata in vigore del registro unico. Il sistema è attualmente sfilacciato: l’Associazione italiana registro tumori (Airtum) raccoglie 47 registri locali, con una copertura del 70% del territorio. Non male, certo. Ma i dati sono aggiornati a rilento: le aree più virtuose dispongono di statistiche risalenti a qualche anno fa. Le stesse mappe sul sito Airtum riportano che l’ultimo aggiornamento è stato fatto a ottobre 2017.
“È un fatto problematico che non esista un’omogeneità nella raccolta dati. Molte volte – racconta Zolezzi – i dati sono incompatibili tra loro perché seguono modalità di raccolta diversa. C'è poi un fenomeno peggiorato negli ultimi anni. Da provincia a provincia non c'è scambio di informazioni, non vengono fornite cartelle cliniche. Questo rappresenta un grosso limite che impedisce di avere dati, utili alla tutela della salute”. E, conclude il deputato del Movimento “non c'è solo il Covid, ma molte altre infezioni che hanno un’incidenza. Faccio l'esempio della legionella. Credo che con una pubblicazione annuale dei dati ci si renderebbe conto ‘in diretta’ della situazione. Si potrebbe perciò fare una programmazione, dei posti letto occorrenti e della spesa sanitaria, in generale, sulla base delle esigenze territoriali”.
Non a caso, nelle legge istitutiva sono ben fissati gli obiettivi di “coordinamento, standardizzazione e supervisione dei dati, alimentati direttamente dai flussi dei registri delle regioni e delle province autonome, nonché validazione degli studi epidemiologici derivanti dall'istituzione del referto epidemiologico”, come anche “la semplificazione delle procedure di scambio dati, facilitazione della trasmissione degli stessi e loro tutela”. E non sfugge, in tempi di pandemia da Covid-19, il compito di “sorveglianza epidemiologica per ridurre il rischio di introduzione o reintroduzione di malattie infettive, anche eliminate o sotto controllo”. Quasi una premonizione.