La Procura della Repubblica di Milano ha chiesto al giudice per le indagini preliminari l’archiviazione per gli otto imputati nel procedimento aperto in seguito alla pubblicazione dell’inchiesta Lobby Nera del team Backstair di Fanpage.it. Come noto, le indagini avevano coinvolto a vario titolo il barone nero Roberto Jonghi Lavarini, la sua collaboratrice Lali Panchulidze, l’europarlamentare di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza, il commercialista Mauro Antonio Rotunno, il consigliere regionale Massimiliano Bastoni, l’europarlamentare della Lega Angelo Ciocca, l’esponente del gruppo Lealtà e Azione Riccardo Colato e l'attuale consigliera comunale di Fratelli d’Italia Chiara Valcepina. L’inchiesta condotta dai procuratori Polizzi e Romanelli ha provato a chiarire l’esistenza di “un meccanismo illecito finalizzato a incamerare denaro in nero, da destinare alla campagna elettorale di alcuni candidati alle elezioni amministrative del 3 e 4 ottobre 2021”, che sembrava emergere dai video realizzati dal giornalista sotto copertura di Fanpage.it Salvatore Garzillo .
I reati ipotizzati erano quelli di finanziamento illecito ai partiti e di riciclaggio. Dopo oltre un anno di indagini, la procura di Milano ha concluso “nel senso dell’insussistenza delle ipotesi di reato formulate”, spiegando che “non sono emersi elementi in grado di confermare quanto emerso dai video”. Nello specifico, come si legge nella richiesta di archiviazione, le affermazioni di “Jonghi Lavarini e Fidanza sul sistema di riciclaggio e illecito finanziamento ai partiti non hanno trovato riscontro nelle indagini svolte sull’attività del commercialista Rotunno, che a dire dei due, avrebbe dovuto avere un ruolo chiave”. Secondo la procura, però, quello di cui parlano i due politici “parrebbe trattarsi di un progetto futuro ancora in fase iniziale nel momento in cui sono subentrate le indagini penali”, anche se il barone nero affermava si trattasse “di un sistema già utilizzato” (fatto di cui gli investigatori non hanno trovato conferma).
Ma andiamo con ordine e ricostruiamo gli eventi che hanno portato alla richiesta di archiviazione, provando a chiarire alcuni passaggi che in queste ore sono trattati in modo ambiguo da alcuni organi di informazione. Che, probabilmente, non hanno ben chiara la differenza basilare fra un'indagine giudiziaria e una giornalistica, e che tralasciano in queste ore il quadro d'insieme svelato dalle telecamere di Fanpage.it, con rapporti ambigui fra partiti ora al governo e formazioni di estrema destra, non esattamente collocabili nell'ambito del "pittoresco/goliardico".
Cosa hanno svelato le indagini della Procura dopo l’inchiesta di Fanpage.it
Cominciamo col dire che la procura di Milano conferma in pieno l’impianto dell’inchiesta giornalistica di Fanpage.it, pur giungendo a concludere per l’insussistenza delle ipotesi di reato. Infatti, scrive il procuratore, “pur essendo emersi elementi che inducono il sospetto del ricorso a finanziamenti illeciti – le affermazioni degli indagati registrate dai video e la consegna della valigia che avrebbe dovuto contenere il denaro – le risultanze delle indagini non hanno restituito riscontri convergenti e concludenti al punto da sostenere l’accusa in giudizio”. È un passaggio importante, perché significa che la procura non può sostenere la sussistenza dei reati, dunque il procedimento nei confronti di Fidanza e degli altri indagati va archiviato, ma al contempo riconosce che la validità delle risultanze giornalistiche.
Come ricorderete, Fanpage.it aveva consegnato alla Procura il girato integrale dei servizi pubblicati sul sito e contestualmente mandati in onda nella trasmissione PiazzaPulita di La7. Il materiale è stato passato al setaccio dagli inquirenti, i quali nella richiesta di archiviazione confermano la coerenza dei montaggi con le riprese integrali. Dai video, scrivono i magistrati, emergerebbe il ruolo di coordinamento di Roberto Jonghi Lavarini nella “raccolta del denaro contante destinato alle campagne elettorali di candidati sostenuti dal gruppo di attivisti appartenenti all’estrema destra milanese”. È sempre il barone nero a rivelare al nostro giornalista sotto copertura, Salvatore Garzillo, “il meccanismo per far arrivare i fondi ai destinatari”. Nel caso di somme consistenti, “il riciclaggio sarebbe dovuto avvenire tramite l’intermediazione di Mauro Rotunno” (presidente del circolo AlaDestra), il quale sarebbe stato in grado “di far confluire mediante bonifici le risorse finanziare sui conti correnti ufficiali dei candidati, dissimulandone la provenienza”. Per le somme minori, invece, sarebbe stato lo stesso Lavarini a “elargire denaro contante ai presidenti dei circoli per consentire di far fronte alle piccole spese concernenti l’attività di propaganda elettorale”, come aperitivi e cene. Proprio a margine di uno di questi incontri è l’europarlamentare Fidanza a menzionare “in modo generico e allusivo” la possibilità di “fare black”, che secondo la procura di Milano è chiaramente riferita a “pagamenti in contanti e non mediante versamenti sul conto corrente aperto per le elezioni”.
Vale la pena di sottolineare come a spiegare il meccanismo di finanziamento sia lo stesso Lavarini, mentre il nostro giornalista si limita ad ascoltare e chiedere ulteriori informazioni. In un incontro del 22 settembre, il barone nero parla espressamente di un commercialista che avrebbe “una serie di lavatrici che aiuterebbero l’operazione”. Come scrivono i giudici, anche Fidanza sembrerebbe essere “consapevole del meccanismo delle lavatrici”, tanto da fare una serie di “riferimenti allusivi per quanto generici” per poi delegare a Roberto (Jonghi Lavarini, ndr) le successive interlocuzioni con il finto finanziatore della campagna.
In incontri successivi, sarà poi il solo Jonghi Lavarini a spiegare a Garzillo il doppio binario di finanziamento: le piccole somme direttamente ai destinatari, le grandi somme con il meccanismo delle lavatrici “tramite il commercialista”. E sempre il barone organizzerà la consegna del contante tramite la valigetta.
Gli investigatori hanno dunque provato a capire nel dettaglio come funzionasse questo sistema e in tal senso hanno analizzato alcune movimentazioni di denaro, senza giungere a conclusioni ultimative. A parte la coincidenza temporale di alcuni prelievi di Jonghi, infatti, la conclusione è che non vi siano chiari collegamenti con il finanziamento delle campagne elettorali. Parimenti, analizzando i conti del commercialista Rotunno, non hanno trovato adeguato riscontro le affermazioni di Jonghi Lavarini e Fidanza sull’esistenza “del sistema di lavatrici in grado di ripulire il denaro in contanti”.
Su questo punto, però, gli investigatori danno una lettura particolarmente interessante: “Parrebbe quindi trattarsi di un progetto futuro, rimasto ancora in fase iniziale nel momento in cui sono subentrate le indagini penali”. Dall’analisi della copia forense, inoltre, appare “verosimile” la cancellazione di messaggi tra diversi soggetti coinvolti “in seguito alla diffusione della notizia nell’ambito della trasmissione PiazzaPulita”
Dal punto di vista giornalistico, ovviamente, non ci sono dubbi che quello che Fanpage.it mostra sia estremamente rilevante: è Jonghi a parlarci dei meccanismi di finanziamento, è Fidanza a fare riferimento al black e a mostrarsi consapevole del sistema delle lavatrici, è sempre il barone nero ad affermare che si tratti “di un sistema già utilizzato”. Non avremmo potuto far altro che pubblicarlo, appunto senza omissioni o manipolazioni, proprio in quanto di estremo interesse pubblico.
La questione della valigetta e il "reato impossibile"
È particolarmente interessante approfondire questo aspetto della vicenda, perché ci consente di smontare ulteriormente le baggianate sull’inchiesta giornalistica “flop”. Come ricorderete, alle insistenze di Jonghi decidiamo di dar seguito fissando un appuntamento in pieno giorno a Milano. Nel trolley che avrebbe dovuto contenere denaro contante decidiamo invece di mettere dei libri sull’Olocausto e una copia della Costituzione Italiana. È fin troppo ovvio che non avremmo mai e poi mai potuto inserire del denaro contante, né che saremmo stati in grado di seguire la valigetta a destinazione, così come è superfluo aggiungere che non è mai stata nostra intenzione quella di commettere un reato.
Ciò che i colleghi (che hanno vergato editoriali al veleno sul “mistero della valigetta”) hanno finto di non capire, appare limpidissimo agli occhi degli inquirenti che scrivono: “[…] il denaro promesso non era contenuto nella valigetta consegnata e, a monte, non era nella disponibilità del giornalista, il quale ha solo finto di avere alle spalle un’azienda in grado di procurare il denaro”. Ciò comporta anche l’impossibilità che si configuri il reato in oggetto, perché “viene in rilievo l’istituto del reato impossibile di cui all’art. 49 c.2 c.p. che esclude la punibilità quando per l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso”. In questo caso, vale la pena di ribadirlo, il denaro all’interno della valigia non c’era semplicemente perché mai avrebbe potuto esserci.
Dunque, la lettura della Procura è del tutto condivisibile: “Non solo fin dall’inizio il denaro non avrebbe dovuto esserci perché non era intenzione del giornalista finanziare effettivamente le campagne elettorali, ma non era nella valigia proprio perché, in radice, quel denaro non esisteva, così come non esisteva la società – fittizia appunto – che avrebbe dovuto erogarlo”.
Sul piano giornalistico, ancora una volta, la questione è totalmente differente: dopo aver pressato per settimane il nostro giornalista, Jonghi Lavarini, che ha millantato un ruolo centrale nella raccolta dei finanziamenti, invia una sua collaboratrice a ritirare una valigia in cui crede sia contenuto del denaro. È lo stesso politico che è stato candidato anni prima con Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati, che organizza appuntamenti elettorali in favore di candidati al consiglio Comunale e che ha rapporti strettissimi con consiglieri regionali e, appunto, parlamentari europei. Appuntamenti in cui si celebrano le gesta hitleriane, ci si riconosce col saluto gladiatorio, si parla di affondare barconi e ci si lascia andare a goliardate nei confronti di giornalisti sotto protezione per le minacce degli estremisti di destra.
Tutto ciò resta, a prescindere dalla rilevanza penale dei fatti e dei comportamenti individuali. È il compito fondamentale dei giornalisti: informare, far luce su ciò che è nascosto e dare ai cittadini tutti gli strumenti per farsi un’opinione.