Non è stata una fatalità, non si può far finta che quello di Genova sia stato "un incidente come tanti", non si può far calare una cortina di silenzio su una vicenda tanto oscura. La storia del ponte Morandi non è una fra le tante, c'erano dubbi, allarmi ignorati, interventi di manutenzione in corso e altri in cantiere, progetti di revisione dei flussi di traffico. Non si può tacere, non si può rinunciare all'accertamento delle responsabilità e non ci si può accontentare di verità di comodo. Proprio per rispetto alle vittime e ai loro familiari. Ma non ha senso questo gigantesco frullatore impazzito che si è messo in moto quando ancora non si conosceva il numero dei morti, mentre i soccorritori cominciavano a scavare nella speranza di portare in salvo le persone intrappolate tra le carcasse delle auto e i detriti del ponte Morandi. Una valanga di dichiarazioni, accuse, strumentalizzazioni, semplificazioni e vere e proprie menzogne che non ha fatto altro che dimostrare quanto sia inadeguata la politica nel suo complesso e come il dibattito pubblico sia diventato ormai un campo di battaglia fra tifoserie opposte, che non si fanno scrupoli di brandire cadaveri, di usare il sangue degli innocenti come argomento polemico.
Ecco, il Paese si aspetta delle risposte, delle spiegazioni, delle scuse, magari. Perché non si può morire così, letteralmente nelle mani dello Stato. La politica ha scelto di rispondere con le polemiche e le strumentalizzazioni. Il Governo ha scelto di indicare dei colpevoli.
Le parole di Conte restituiscono perfettamente il quadro d'insieme: "Non possiamo aspettare i tempi della giustizia". Non si può aspettare, non c'è tempo per le riflessioni, non c'è bisogno di attendere rilievi, analisi, esami: c'è una bestia assetata da soddisfare, ci sono mostri da sbattere in prima pagina, c'è un mare di indignazione da convogliare nel punto giusto. Intendiamoci, la politica ha il dovere di prendere le decisioni più giuste nell'interesse dei cittadini. E la revoca delle concessioni è opzione pienamente legittima, addirittura sacrosanta se fossero accertate le responsabilità di Autostrade per l'Italia. Ma non si può omettere il contesto in cui il Governo ha preso questa decisione, non si può far finta di non vedere quale sia lo scopo vero e profondo dell'aggressività con cui è stata affrontata la questione. Poche ore dopo il crollo del ponte (lo nota qui Pregliasco), Lega e M5s si erano già posizionati: da una parte si attaccava l'Europa, l'austerità e i vincoli al bilancio, dall'altra si puntava l'indice contro i Benetton, i governi precedenti, le lobby che finanziano politica e giornali. Le dichiarazioni di Salvini e Di Maio andavano esattamente in queste due direzioni, in grado di coprire l'intero arco delle "reazioni possibili" dei cittadini, ma anche di colpire i rispettivi bacini elettorali potenziali. Il tweet di Salvini su Aquarius apriva poi anche il fronte del "prima gli italiani", secondo uno schema comunicativo rodato e messo in pratica con grande frequenza negli ultimi anni (si veda "gli immigrati negli hotel e i terremotati in tenda"). Le parole di Di Maio su Atlantia in Lussemburgo (falso), sui Benetton che hanno finanziato le campagne elettorale dei partiti della seconda Repubblica, sui lobbisti che hanno determinato leggi favorevoli al ricco e cattivo capitalista, fotografano con precisione la strategia dei 5 Stelle.
È per questo che la procedura di revoca delle concessioni rappresenta il manifesto di questo governo. Perché avrebbe senso e necessità (per dare un servizio migliore ai cittadini, per cambiare un accordo francamente insostenibile, per avviare un grande piano di ammodernamento delle strutture), ma per come e quando arriva e per il contesto in cui viene presa è solo un calcio allo stato di diritto, un potenziale boomerang dal punto di vista economico, una scelta arbitraria (e forse anche illegale) ammantata di propaganda, di odio, di disinformazione.
L'opposizione, ancora una volta, sceglie di collocarsi su una posizione ambigua, fraintendibile, confusa. L'attacco della componente renziana alla maggioranza è ormai prevedibile nei toni e nei modi (tanto da configurarsi come un vero e proprio "grillismo delle elite", il vaffanculo che semplifica e banalizza le questioni cui si aggiungono spocchia, arroganza e la sopravvalutazione del proprio operato al governo), ma non è accompagnato da un minimo di critica all'esistente e colloca il PD sulle barricate della difesa di rapporti fra politica, capitalisti senza scrupoli, lobbisti e funzionari pubblici senza spina dorsale. Invece di difendere lo stato di diritto e di tutelare i cittadini che vogliono risposte e non processi sommari, il PD si trova a difendere l'indifendibile: concessioni secretate nelle loro parti essenziali, speculazioni finanziarie, veri e propri regali fatti a capitalisti senza idee e senza soldi e via discorrendo.
Tacere, stavolta, non è un'opzione. Parlare di fatalità è un insulto. Come lo sono le strumentalizzazioni, le polemiche a suon di balle e mistificazioni, le accuse senza prove, le speculazioni.