Come vi stiamo raccontando, in queste ore ci troviamo nostro malgrado al centro di un caso piuttosto anomalo, determinato dalla decisione del Tribunale di Roma di procedere al sequestro preventivo e all’oscuramento dell’inchiesta Follow The Money di Fanpage.it, avente per oggetto i legami fra Lega e Ugl, nonché il ruolo dell’ex sottosegretario all’Economia del governo Draghi Claudio Durigon. Qui il direttore Francesco Cancellato aveva fatto il punto della situazione e segnalato le ragioni per cui ritenessimo il provvedimento del Gip del Tribunale di Roma profondamente sbagliate, ma anche potenzialmente lesive di diritti costituzionalmente garantiti. Non solo perché le norme di rango costituzionale tutelano la stampa da sequestri e censure, ma anche perché il reato di diffamazione non consentirebbe al giudice di effettuare sequestri preventivi. A nostro modo di vedere, inoltre, il decreto con il quale ci era stata notificata la decisione del Gip partiva da premesse errate, si basava su una conoscenza approssimativa dei fatti, saltava a conclusioni frettolose e non teneva conto delle peculiarità di un'inchiesta giornalistica. Dopo la nostra denuncia, abbiamo ricevuto la solidarietà di migliaia di lettori, di autorevoli esponenti politici, nonché il supporto dell'ordine dei giornalisti, della FNSI, di Articolo 21 e di tantissime altre associazioni e organizzazioni che si battono per la difesa della libertà di stampa e del diritto all'informazione.
La notizia, come ormai saprete, è che dopo sole 24 ore la Procura di Roma ha fatto un passo indietro e, in tempi record, ci ha notificato la revoca del decreto di sequestro. Attenzione, non sfugga un particolare importante: la Procura ha fatto tutto da sola, noi non abbiamo presentato istanza di opposizione al sequestro, né abbiamo impugnato l'atto che ci era stato notificato. Ci siamo limitati a prendere atto della decisione del Gip e ad attendere che il Pm desse mandato alla postale per l'oscuramento dell'inchiesta (in modalità e tempi che neanche ci era dato sapere).
Invece, senza alcun preavviso, la postale ci ha notificato un nuovo provvedimento, firmato dalla Gip Claudia Alberti, dal procuratore della Repubblica Michele Prestipino Giarritta e dal procuratore aggiunto Angelantonio Racanelli, con cui si dispone la revoca delle misure che ci erano state notificate solo 24 ore prima.
Una situazione paradossale, che non è neanche semplice da ricostruire. Proviamoci.
La motivazione ufficiale della revoca è che la “sussistenza delle esigenze cautelari poste alla base del provvedimento di sequestro” è venuta meno a seguito di sopravvenute circostanze. Quali? Ecco, la procura spiega che “in data odierna” la Polizia Giudiziaria ha “effettuato un monitoraggio della rete internet al fine di verificare la presenza online dei video” oggetto di sequestro “con esito positivo”, scoprendo che gli stessi sono “visibili su varie pagine web”. Questa scoperta fatta nelle ultime ore, ovvero che i video di un’inchiesta che hanno visto milioni di italiani siano presenti sul web, rende inutile il sequestro e l’oscuramento delle URL sul sito di Fanpage.it. Anche perché un altro degli elementi che per il Gip Paolo Andrea Taviano rendeva urgente l’oscuramento delle nostre inchieste era “il concreto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie”, circostanza che appare assai poco probabile dato l'oggetto in questione.
Ufficialmente, dunque, la Procura ha svolto ulteriori indagini (casualmente consegnate oggi), dalle quali si è evinto che le inchieste su Durigon sono online su diverse pagine web e social network. Circostanza che nella prima fase di indagine, condotta dal Pm e validata dal Gip, evidentemente non si era riusciti ad appurare. Per quanto suoni singolare, non ci sono state valutazioni diverse, né si è ritenuto che quanto disposto nel decreto con cui si dava mandato per sequestrare le pagine di Fanpage.it presentasse altri profili di problematicità o di illegittimità. Ed è l'aspetto più preoccupante dell'intera vicenda: quello che non ci fa gioire di un cambio di orientamento che fortunatamente preserva l'integrità delle nostre inchieste e ci consentirà di difenderci dalle accuse che ci vengono rivolte nel merito e nelle sedi opportune, come giusto che sia.
Perché non c'è molto da gioire dopo la revoca del sequestro di Fanpage.it
Nell'atto di sequestro, firmato dal Gip Taviano non si faceva minimamente cenno alla sentenza 31022/2015 della Corte di Cassazione, che appunto interviene sul sequestro preventivo mediante oscuramento della pagina telematica di un quotidiano on line recante un articolo ritenuto diffamatorio. La Cassazione, infatti, è giunta alla conclusione che “il giornale on line, al pari di quello cartaceo, non può essere oggetto di sequestro preventivo, eccettuati i casi tassativamente previsti dalla legge, tra i quali non è compreso il reato di diffamazione a mezzo stampa”. Il decreto di revoca, però, non contraddice la scelta del Gip di procedere all'oscuramento di un contenuto per l'ipotesi di diffamazione, che apparirebbe in contrasto con la sentenza appena richiamata. La Procura di Roma continua a ritenere che "il divieto di sequestro di cui all'articolo 1 RDLS del 1946" sia da riferirsi all'istituto del sequestro probatorio e non a quello preventivo e, "pur prendendo atto della sentenza della Cassazione", ritiene auspicabile un nuovo intervento legislativo, "attesa l'estrema diversità della diffusione di notizie tra il tradizionale mezzo della stampa e gli strumenti telematici", soprattutto in relazione al potenziale di diffusività delle notizie pubblicate online.
Tralasciando il motivo per il quale si ritiene opportuno inserire un invito a cambiare il quadro normativo in un decreto di revoca di un sequestro, il senso è che per la Procura di Roma occorre dotarsi di strumenti che appunto consentano pratiche come quella del sequestro preventivo per le testate giornalistiche online. Un passaggio di una certa gravità, che si va a sommare a una condotta francamente incomprensibile.
Perché in sole 24 ore un giornale si è visto dapprima recapitare un decreto di sequestro, nel quale si dava per scontato il "carattere diffamatorio" del contenuto di sue inchieste e si parlava di "circostanze verosimilmente illecite" in relazioni a parti di esse; il tutto senza che nessun giornalista di Fanpage.it risultasse indagato e senza che nessuno, direttore compreso, fosse mai stato interpellato dalla Procura. Poi è arrivato in tempi record un decreto di revoca in cui si adducono motivazioni quantomeno discutibili (davvero ci si è accorti nelle ultime 24 ore che le inchieste di Fanpage.it su Durigon avessero avuto un'ampia diffusione?). Infine ci tocca leggere che il vero problema è rappresentato dall'assenza di strumenti per intervenire sulla stampa online.
È per questo che non possiamo essere contenti di questo epilogo. Perché le questioni che abbiamo sollevato in queste ore, assieme a centinaia di colleghi e alle associazioni di categoria, restano tutte sul tappeto, ancora più di prima. Perché questa volta sono state garantite le prerogative della stampa e il diritto alla libera informazione, forse solo grazie al supporto di decine di migliaia di lettori e alla mobilitazione dell'opinione pubblica e di tanta parte della politica. Ma se ciò capitasse di nuovo?