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La proposta: abolire il carcere per garantire più sicurezza ai cittadini

L’ipotesi di un’Italia senza carceri spaventa nell’epoca delle ruspe e delle sbarre per tutti, ma il libro “Abolire il carcere” spiega perché potrebbe aiutare non solo a rispettare i diritti umani, ma a garantire più sicurezza.
A cura di Gaia Bozza
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Abolire il carcere. Una provocazione? No, “una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini”. Abolire il carcere perché inutile e dannoso. Perché costoso, perché produce distorsioni nella società, perché esclude e moltiplica i delitti. Dati alla mano, è questo quello che ci spiega il libro “Abolire il carcere” (ed. Chiarelettere), scritto dal senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani, con Stefano Anastasia, ricercatore di Filosofia del diritto e tra i fondatori dell'associazione Antigone, Valentina Calderone, direttrice di A Buon Diritto e  Federica Resta, avvocato che si occupa proprio di questi temi.

Perché abolire il carcere? Manconi, ai microfoni di Fanpage.it, spiega ciò che i quattro autori hanno voluto analizzare nero su bianco. Due elementi su tutti: la recidiva e il tasso di suicidi.

Per la recidiva non esistono studi sistematici, ma ce ne sono almeno un paio ufficiali. Uno del 2007 guarda i dati dal 1998 al 2005, prendendo un campione di persone in affidamento ai servizi sociali e confrontando il dato con la popolazione che sconta invece la pena in carcere: ne emerge che oltre il 68 per cento di chi ha scontato la pena in carcere vi entra di nuovo, mentre solo il 19 per cento di chi ha usufruito di pene alternative rientrerà in carcere negli anni successivi. È uno scarto di 50 punti. E non si può ignorare. Poi c'è chi si ammazza in carcere, 1/3 di tutti i detenuti che muoiono dietro le sbarre.

Dov'è l'articolo 27 della Costituzione? Dov'è la riabilitazione del condannato? Il carcere ha fallito, spiegano gli autori. Ma non solo perché ha tradito la Costituzione e non solo perché la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha condannato l'Italia per le sue carceri. Ha fallito perché non è necessario e perché le pene detentive non sono praticamente mai citate nella Costituzione italiana; non è necessario perché non è sempre esistito. Non è necessario, dunque la disumanità delle carceri italiane (sovraffollamento, mancanza di alternative, isolamento, segregazione) non è l'unico aspetto e in ogni caso non è quello preponderante. In più, non è conveniente: se l'argomento umanità e diritti non colpisce nel segno, la cura per  il portafoglio sensibilizza un'ampia fetta di popolazione. E in uno dei capitoli del saggio viene affrontato proprio questo nodo. Come sempre, numeri alla mano, si dimostra l'assurdità di un sistema enormemente costoso e dannoso.

Nell'intervista a Fanpage.it, il senatore Manconi ripercorre anche un episodio doloroso e in qualche modo, paradigmatico, raccontato nel libro: all'inizio del 2015, ci racconta, “un ergastolano belga ha chiesto di poter accedere all'eutanasia, ricevendo una risposta positiva da parte del ministero della Giustizia”. L'uomo era malato e voleva essere curato in una clinica specializzata per la sua malattia, definendosi uno “stupratore seriale” ma le sue richieste sono rimaste tutte inascoltate. Lo stato, di fatto, avrebbe preferito la sua morte: dunque per Manconi, ragionando su questo filo sottile  che collega  l'ergastolo alla morte, con questa pena intesa come vendetta e ritorsione sarebbe più coerente la pena di morte. E così l'ha definita anche Papa Bergoglio: pena di morte occulta.

Ancora, nel libro molto spazio è dedicato alla storia di Rachid Assarag, che il senatore Pd segue da tempo e che Fanpage.it ha raccontato in un'inchiesta: è la storia di un uomo coraggioso, uno straniero, che ha portato dentro le carceri un registratore, che ha restituito poi all'opinione pubblica piccole e grandi violenze, botte e psicofarmaci, ricatti e accuse, denunce e controdenunce. Su questa vicenda è in corso un'inchiesta e lo stesso Rachid è sotto processo.

Se il carcere ha fallito perché la pena diventa tortura e vendetta , cosa potremmo mettere “al posto” del carcere? Nel libro si parte dall'esempio di altri Paesi europei, dove la pena in carcere è assolutamente residuale (una ristretta percentuale) e c'è ampio ricorso a misure alternative. Con risultati migliori. Per gli autori del libro, più sicurezza per i cittadini si ottiene con una rimodulazione della pena: non la stessa per tutti (come il carcere) ma che cambi per ogni tipologia di reato e per ogni soggetto. Le proposte contenute nel libro sono dieci, un decalogo “ragionevole per la sicurezza dei cittadini”, per dirla con le parole del libro. Depenalizzare tutto ciò che è possibile, salvo per le violazioni più gravi; cancellare l'ergastolo, una vera e propria pena di morte occulta, e ridurre le pene detentive; rendere il carcere una “extrema ratio”; riformare il processo penale e permettere di estinguere il reato con azioni in favore della vittima o della collettività; utilizzare la custodia cautelare solo se l'individuo è particolarmente pericoloso; potenziare le alternative al carcere per favorire il reinserimento sociale; superare il carcere duro e garantire i diritti fondamentali a tutti i detenuti; umanizzare i luoghi di detenzione; mai più bambini e minorenni in carcere; dopo il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, garantire una vera riabilitazione ai sofferenti psichici autori di reato.

L'ipotesi di un'Italia senza carceri spaventa nell'epoca delle ruspe e delle sbarre per tutti. La sicurezza è in cima alle preoccupazioni degli italiani dagli anni Novanta. Ma dagli anni Novanta ad oggi i reati – soprattutto i delitti gravi – sono drasticamente diminuiti. “Cos'è che ci fa tanto preoccupare quando usciamo alle 20 la sera – si domanda ironicamente Manconi – Che ci fa temere per la vita dei nostri figli, dei nostri parenti, dei nostri cani e dei nostri gatti, se i delitti sono drasticamente diminuiti?”. Non ha dubbi, il senatore controcorrente: “È l'incertezza, la crisi economica, la crisi sociale, la paura del domani. Ma è più comodo scaricare le nostre paure sull'elemento più debole della società: il criminale, meglio se straniero”.
Dunque, abolire il carcere è una provocazione, una utopia, un sogno rivoluzionario? Forse, piuttosto, una concreta proposta riformista.

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