La produzione di energia in Italia: un settore nel caos a spese dei cittadini
In Italia produciamo il 40% di energia oltre il fabbisogno nazionale, ma continuiamo ad importarla dall'estero. Abbiamo sviluppato una discreta produzione da fonti rinnovabili, tale da permetterci di raggiungere gli obiettivi della direttiva comunitaria "20-20-20″, ma continuiamo ad importarla anche dall'estero ad un prezzo esorbitante, come nel caso della mega opera dell'elettrodotto tra Italia e Montenegro.
Ma non solo: abbiamo agevolato la costruzione di centrali a ciclo combinato a gas che dopo pochi anni hanno cominciato ad essere poco produttive a causa della concorrenza delle rinnovabili. Ma il nostro governo ha deciso di pagare la loro improduttività con il capacity payment. Tra elettrodotti inutili, centrali pagate per stare ferme, incentivi spesso ingiustificati, la produzione di energia in Italia è un settore nel caos, grazie anche all'assenza di un piano energetico nazionale. Tutto, chiaramente, a spese dei cittadini che attraverso la loro bolletta pagano investimenti ed incentivi.
L'elettrodotto Italia – Montenegro
Nel 2009 il governo di Silvio Berlusconi strinse un accordo internazionale con il presidente del Montenegro Milo Djukanovic per l'importazione in Italia di energia potenzialmente rinnovabile dai Balcani. Un accordo che prevede la costruzione di un cavo sottomarino nell'Adriatico che collega le coste del Montenegro con quelle abruzzesi sbucando sulla spiaggia di Villalunga a Pescara. Il cavo, costato 1 miliardo di euro, servirà a portare in Italia l'energia prodotta da centrali idroelettriche che saranno costruite in Serbia da aziende italiane, come la Seci Energia e la A2A, per 15 anni al costo di 155 euro al Mhw. Un prezzo assolutamente fuori mercato contando che attualmente il valore della borsa energetica italiana si aggira tra i 50 ed i 55 euro a Mhw. L'accordo fu giustificato dall'allora governo Berlusconi, dalla necessità di raggiungere gli obiettivi della direttiva "20-20-20″ dell'Unione Europea , ovvero la riduzione del 20% del consumo di energia da fonte fossile, l'aumento del 20% della produzione di energia rinnovabile entro il 2020. Un obiettivo che l'Italia, come viene ammesso anche dal Ministero dello Sviluppo Economico, raggiungerà certamente. Ed è proprio l'attuale governo Renzi a confermarlo. Ma allo stesso tempo conferma anche l'impegno preso con il Montenegro che alla luce del raggiungimento degli obiettivi del "20-20-20″ risulta assolutamente svantaggioso.
Stiamo parlando di un investimento che tra costruzione delle opere ed acquisto dell'energia per 15 anni costerà al nostro paese la bellezza di 12 miliardi di euro. Il progetto prevede anche la costruzione di un impianto di "interconnessione", ovvero un ulteriore elettrodotto che porterà l'energia arrivata dai Balcani in tutta Italia. Si tratta dell'elettrodotto "Villanova – Gissi" che attraverserà le provincie di Pescara e Chieti a partire dalla centrale di Cepagatti (Pe) che sarà potenziata. Una grande opera che è stata affidata alla Terna. Un'opera dal forte impatto ambientale: molti boschi sono stati abbattuti per la costruzione dell'elettrodotto; i campi magnetici prodotti dai tralicci in prossimità delle case aumenteranno notevolmente; molte aziende agricole sono state espropriate per costruire i tralicci. Una grande opera assai discutibile sia per i costi sia per il beneficio reale apportato al nostro paese.
Un sistema nel caos: dalle centrali a ciclo combinato al capacity payment
L'esempio dell'elettrodotto Italia – Montenegro è un esempio della confusione che regna nel nostro paese nel settore della produzione di energia. L'Italia infatti non si è mai dotata di un piano strategico nazionale, ovvero di una programmazione precisa e strategica in merito alla produzione di energia, affidandosi invece a provvedimenti ad hoc ed accordi commerciali internazionali. Un esempio emblematico è quello che è accaduto con le centrali a ciclo combinato, ovvero le centrali elettriche che usano gas per produrre energia elettrica. Nel 2002 l'Italia varò il provvedimento legislativo cosiddetto "Sblocca centrali", ovvero una legge dello Stato che incentivava gli investimenti privati nella costruzione di centrali a ciclo combinato. Dopo alcuni anni, in cui sono sorte in tutta Italia centrali di questo tipo, ci si è resi conto che questi impianti appena costruiti non erano più produttivi. Ad incidere è stato proprio l'aumento delle energie rinnovabili più economiche e concorrenziali rispetto alle centrali a gas. Il governo Renzi ha deciso di andare incontro agli interessi dei gruppi privati, come Sorgenia ed Enel, che hanno investito nella costruzione di centrali a ciclo combinato che oggi sono ferme al palo.
Il provvedimento in questione si chiama "capacity payment", ovvero un finanziamento pubblico che dà soldi ai gestori delle centrali nonostante esse non producano energia o ne producano in portata ridotta. Secondo il Ministero dello Sviluppo Economico questo provvedimento è necessario per andare a istituire una "scorta di produzione energetica" in caso di scompensi della rete elettrica nazionale o in caso di black out. Intanto però questi impianti, costruiti sotto impulso dello Stato, restano fermi a spese dei cittadini. Infatti il capacity payment sarà pagato attraverso la bolletta.
Produciamo il 40% in più e continuiamo ad importare
Secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, il nostro paese attualmente produce il 40% in più di energia rispetto al fabbisogno nazionale. Ma nonostante questo il nostro paese continua ad importare energia dagli altri paesi. In particolar modo l'Italia importa energia dalla Francia e dalla Svizzera che sono i nostri due principali partner energetici. Insomma, importiamo pur avendo il 40% di produzione in più. Il motivo è semplice: l'energia prodotta da Francia e Svizzera, in gran parte proveniente dalle centrali nucleari ci costa di meno rispetto a quella prodotta in Italia. Un ennesimo controsenso di un settore che appare carente di una strategia vera e propria.
Anche per le centrali la situazione non è diversa. Mentre il nostro paese aumenta le rinnovabili si continuano a finanziare attraverso gli incentivi le centrali a carbone. La produzione di elettricità dalla combustione del carbone è probabilmente tra i metodi di produzione di energia più inquinanti: in questi impianti è possibile bruciare anche il combustibile da rifiuto, pertanto i gestori delle centrali a carbone possono usufruire dei Cip 6 ovvero degli incentivi che paghiamo nella bolletta elettrica per le fonti assimilabili.
Tutto a spese dei cittadini
A pagare gli investimenti di un settore nel caos sono i cittadini. Come è possibile verificare sul sito dell'Autorità Nazionale per l'energia, solo il 45% dei costi della bolletta riguardano il servizio elettrico di cui effettivamente si usufruisce. Il resto della bolletta serve a pagare gli oneri ed i servizi della rete. Gli elettrodotti, gli incentivi per i Cip 6, il capacity payment, sono tutti pagati con i soldi dei cittadini pagati attraverso la bolletta elettrica.
Di certo un piano energetico nazionale servirebbe a razionalizzare questi investimenti ed evitare le troppe storture e contraddizioni del settore della produzione di energia in Italia