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La povertà in Italia è una trappola che passa di padre in figlio: ora lo dice anche l’Istat

In Italia la “trappola della povertà” è più intensa che nella maggior parte dei Paesi Ue e sta aumentando più che altrove. Per chi nasce in una famiglia dove la precarietà economica è di casa, in altre parole, è più probabile finire a rischio povertà in età adulta. Un circolo vizioso che non permette a tutti di avere le stesse opportunità: è l’allarme lanciato dall’Istat nell’ultimo rapporto annuale sulla situazione nel Paese.
A cura di Annalisa Girardi
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L'Italia non è un Paese per giovani. L'ultima fotografia dell'Istat è drammatica: gli indicatori del benessere dei giovani sono ai livelli più bassi in Europa. L'anno scorso quasi un ragazzo ogni due tra i 18 e i 34 anni mostrava almeno un segnale di deprivazione nei principali domini chiave, che sono istruzione e lavoro, coesione sociale, salute, territorio, benessero soggettivo. Stiamo parlando di milioni di persone che versano in questa condizione. Soprattutto per quanto riguarda il primo campo, quello dell'istruzione e del lavoro: per l'Istat circa 1,7 milioni di giovani non studia e non lavora. Sono i cosiddetti Neet.

La quota di Neet in Italia è al sopra della media europea: la situazione è più critica solo in Romania. A essere colpite da questo fenomeno sono soprattutto le ragazze, i residenti nel Mezzogiorno e gli stranieri. In Sicilia i Neet sono quasi un terzo dei giovani tra i 15 e i 29 anni, nella Provincia di Bolzano il numero scende al 9,9%. È un fenomeno, spiega l'Istat nel suo rapporto annuale sulla situazione nel Paese, che si associa a un altissimo tasso di disoccupazione giovanile. Che in Italia arriva al 18%, di sette punti superiore a quello europeo.

Per la maggior parte dei giovani iniziare una vita autonoma diventa così "un percorso a ostacoli", ha commentato il presidente dell'Istat, Francesco Maria Chelli, presentando il documento alla Camera. "La precarietà e la frammentarietà delle esperienze lavorative e la scarsa mobilità sociale hanno contribuito a compromettere le opportunità di realizzazione delle aspirazioni di una larga parte di giovani e a scoraggiarne la partecipazione attiva, politica, sociale, e culturale. L'accesso a tali opportunità dovrebbe essere garantito a tutti i giovani, a prescindere dal contesto familiare e sociale di provenienza".

Al momento, però, le cose non stanno così. In Italia, emerge sempre dal report Istat, la "trappola della povertà" è più intensa che nella maggior parte dei Paesi Ue e sta aumentando più che altrove. Quasi un terzo degli adulti tra i 25 e i 49 anni che sono a rischio povertà, cioè, hanno ereditato questa situazione dei genitori. In questo senso, la situazione è peggiore sono in Bulgaria e Romania. "Le diseguaglianze strutturali continuano a rappresentare un elemento determinante e discriminante nelle opportunità che definiscono il destino sociale delle persone. La forza del legame tra condizioni di vita dei giovani e degli adulti e quelli della famiglia di origine è un problema non solo individuale, ma soprattutto collettivo, visto che in Italia 1,4 milioni di minori crescono in contesti di povertà assoluta".

L'Istat cita anche uno studio dell'Ocse secondo cui "già a 5 anni provenire da contesti familiari con uno status socio-economico più alto si traduce in un vantaggio di 12 mesi nei livelli di alfabetizzazione emergente, intesa come le capacità di lettura e scrittura che un bambino acquisisce nell'età pre-scolare tra i 2 e i 5 anni". Invece, bisognerebbe "garantire a tutti bambini fin dalla nascita livelli di benessere che consentano un adeguato livello di sviluppo fisico, cognitivo, emotivo e relazionale" incidendo sui contesti di vita dei bambini e sulle loro opportunità educative, formative, culturali e di socializzazione".

Se alle opportunità non si assicura equità di accesso, riducendo quanto più l'influenza dei contesti di appartenenza, sarà complicato sottrarre le persone dal "circolo vizioso della povertà". È importante farlo ora più che mai, visto che le difficili crisi degli ultimi anni non hanno fatto altro che acuire le diseguaglianze. "Il periodo che abbiamo alle spalle non è stato, certo, facile. Il Paese è stato messo a dura prova dall'emergenza sanitaria e dalla crisi economica che ne è seguita. Molte disuguaglianze a livello economico, sociale e territoriale si sono aggravate", ha commentato Chelli.

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