La pena di morte ed il lungo cammino verso la civiltà
Pochi giorni fa il mondo si è fermato per l’esecuzione di Troy Davis, in attesa di una sospensione della pena che non è arrivata; dall’altro lato dell’oceano e nella civilissima Europa, c’è un paese, la Bielorussia, in cui i prigionieri vengono giustiziati con un proiettile alla nuca; poco più in là l’Iran pratica ancora il terrificante “rituale” delle esecuzioni pubbliche.
Se alcuni paesi hanno scelto di costruire la propria storia recente sul rispetto della vita dell’altro, anche quando questo è diverso, nemico, reo di colpe criminali, altri sono ancora nella condizione di reputare giusto ed irrinunciabile il diritto dello Stato ad uccidere, mettendo così in discussione i principi fondamentali che hanno costruito quel progresso in cui viviamo.
Quanti corpi di impiccati dovremo vedere dondolare a Teheran, quanti silenzi dalla Cina continueremo a tollerare, quante volte ancora proveremo orrore e repulsione verso una sedia elettrica che compie un omicidio barbaro come quello di un qualunque criminale? Quando anche gli europei, comprenderanno a fondo il valore dello Stato e della collettività, imparando a rinunciare alle proprie egoistiche pulsioni e cessando di inneggiare alla pena capitale per i delitti che maggiormente scuotono l’opinione pubblica?
Nella giornata mondiale contro la pena di morte, ci si ritrova a fare bilanci sulla nostra umanità; per scoprire che la strada verso quella che vorremmo essere civiltà forse è stata appena accennata ed indicata, ma il cammino da percorrere è ancora lungo: un cammino che, speriamo quanto prima, ci porterà verso un mondo migliore in cui una barbarie come la pena capitale non sarà più tollerabile, in qualunque luogo della terra.