La passione per il calcio ha cambiato la politica
“L’Italia ha il campionato di calcio più bello del mondo” recitava Diego Abbatantuono 15 anni fa nel film Puerto Escondido; il “calcio è l’oppio dei popoli” leggevo da studente una scritta sul fianco dell’ascensore della mia facoltà universitaria.
Il legame tra il calcio e l’Italia è diventato sempre più indissolubile, tanto da determinare modelli di comportamento: un festeggiamento pubblico si realizza con cori, strombazzate di auto e bandiere; mentre la partecipazione ad un evento collettivo consiste nel leggere i giornali, guardare la tv e discutere animatamente con i colleghi in pausa pranzo.
Dopo anni di passione per il calcio giocato dagli altri e vissuto da spettatori davanti alla tv, il nostro modello di condivisione collettiva di emozioni, accordi o disaccordi è quello calcistico. Non è stata colpa di Berlusconi, ma della massiccia presenza di calcio nella nostra vita, se oggi per noi tutto viene vissuto come una partita di campionato. La TV trasmette partite di calcio quasi per l’intera settimana; il terzo quotidiano più venduto in Italia è la Gazzetta dello Sport e i bambini delle nostre scuole non vogliono fare gli astronauti ma i calciatori.
Non credo sia stato Berlusconi a far diventare calcistica la discussione politica, ma l’overdose di calcio cui ci siamo volontariamente sottoposti. Non è un caso, allora che la scorsa settimana le dimissioni di B siano state accompagnate da festeggiamenti roboanti che hanno avuto quale contraltare la pomposità e i cori da stadio delle claque organizzate dal PDL per acclamare in ogni angolo d’Italia le comparsate del Cavaliere.
[quote|left]|Viviamo la politica come spettatori sugli spalti[/quote]Non è per colpa di Berlusconi se le opinioni sul governo nascono e muoiono davanti alle macchinette del caffè o nei vagoni dei pendolari e non si articolano in contesti dove si vive quotidianamente la politica.
Non è un caso che si sia accusato l’arbitro Napolitano di truccare la partita con rigori e cartellini rossi ingiusti.
Viviamo la politica come spettatori sugli spalti capaci di intonare cori, indignarci per un rigore non fischiato ed urlare a squarcia gola la cattiva condotta della moglie dell’arbitro.
Mia madre mi racconta che negli anni ’70, nel paesino del sud in cui abitavamo, lavorava all’uncinetto i centrini in cotone da mettere nella sede del Partito Socialista in cui militava mio padre. All’epoca nella sezione si discuteva di politica parlando del governo, dell’Europa e del Consiglio Comunale del paese in cui abitavamo. A quell’epoca, in quel mondo, tra quella gente nessun Berlusconi avrebbe avuto gli spazi per governare tanto tempo.
Oggi abbiamo un’unica possibilità per evitare che “poteri forti”, miliardari convinti di incarnare la soluzione o supertecnici dell’emergenza si approprino degli spazi decisionali che ci appartengono: dobbiamo “scendere in campo” come cittadini, interessandoci del nostro contesto quotidiano e ricominciare a praticare la politica di tutti i giorni.
La fine del Berlusconismo, ci sarà davvero solo quando ricominceremo a mettere in piedi Comitati, Associazioni e gruppi destinati a migliorare l’angolo d’Italia in cui ogni giorno viviamo.