"Al di là delle parole di Favia lo sanno un po' tutti chi c'è dietro, chi tira le fila […] c'è un coagulo opulento dietro Beppe Grillo, mi pare abbastanza evidente". Luigi de Magistris è solo l'ultimo in ordine di tempo ad aver rincarato la dose dopo la confessione "estorta" (o, come insinua gran parte dei grillini di ferro, concordata) a Giovanni Favia. E lo scenario non cambia se concentriamo lo sguardo all'interno del Movimento, con la querelle Grillo – Favia – Casaleggio che sembra più un regolamento di conti che un esempio di dialettica. Del resto la questione di fondo, ovvero chi comanda nel Movimento 5 Stelle, è fin troppo chiara ed acclarata; le parole di Favia sono in effetti solo conferma di quanto analisti, commentatori e tanti militanti pensano da tempo: il M5S è creatura nata e cresciuta in Rete, ma la sua proposta politica e le redini dell'organizzazione sono nelle mani dello zar Beppe Grillo e di Rasputin Casaleggio. Intendiamoci, teoricamente la cosa avrebbe un'importanza finanche relativa e già in passato il nostro Paese ha conosciuto la praticità e la forza del partito personale, si veda la prima Lega Nord e la parabola berlusconiana. Teoricamente non è uno scandalo che un movimento tutto sommato giovane (e che rappresenta in ogni caso un'esperienza radicalmente innovativa per la politica italiana) debba ancora dotarsi di una classe dirigente all'altezza, di strumenti organizzativi, meccanismi di controllo ed "elementi" di quella stessa democrazia tanto auspicata. Del resto, uno dei limiti degli approcci e delle analisi convenzionali è sempre stato quello di interpretare la realtà a 5 stelle secondo schemi classici, utilizzando categorie superate. Invece, come ci ricorda Ruffini su L'Espresso (nel quadro di una critica molto dettagliata al clan Casaleggio):
L’idea “nuova” di politica è invece radicalmente diversa: il contenuto conta relativamente, perché la politica è una battaglia di messaggi, e vince il messaggio che piace di più, non il migliore. E come ognuno avrà il suo quarto d’ora di celebrità, così ognuno potrà proporre il suo messaggio: fine delle élitee largo alla “vera” democrazia “dal basso”.
Certo è che se il messaggio insiste su alcuni concetti cardine, si veda il tanto sbandierato "uno conta uno", se parte del consenso risiede nella critica all'assenza di democrazia e all'autoritarismo dei partiti tradizionali, se la chiarezza espositiva e l'apertura delle stanze dei bottoni vengono reclamate a gran voce, se il tema della trasparenza è uno dei cavalli di battaglia del Movimento: beh, allora qualche domanda è lecito porla. Anche all'ineffabile Beppe Grillo. Anche al tempo della cyber utopia.
Domande che sono tutto sommato le stesse che facevamo solo 3 mesi fa, ben prima che lo "scandalo" travolgesse (si fa per dire) il comico genovese e il suo amico Casaleggio. Ecco, ad esempio:
- Davvero pensa di poter “gestire” una macchina complessa con persone senza alcun tipo di esperienza politica, formatesi in maniera rapida e “generalista” sul suo forum? Sul serio considera una pregiudiziale per la candidatura di un cittadino i suoi impegni precedenti in un partito? Insomma, meglio i menefreghisti e gli indifferenti di quelli che hanno sempre cercato di impegnarsi direttamente?
- Non esistono tessere, né sezioni. Uno vale uno. Una perpetua forma assembleare. Eppure lei ha conservato finora una sorta di diritto di veto, scegliendo a chi assegnare il “simbolo”. Che senso ha?
- Beppe Grillo è solo il megafono del Movimento. Non si sente un po' limitato nel ruolo di “mero comunicatore” di istanze? E soprattutto, se non si candiderà direttamente a guidare il Paese, non crede che sia giusto almeno cominciare a dare spazio ad altri volti?
- Casaleggio conta come uno? E nel caso il Movimento guidasse il Paese, come regolerebbe il conflitto di interessi? C'è una parte molto interessante proprio nel suo programma che parla di azionariato diffuso e via discorrendo: varrebbe anche per Casaleggio?
Ed infine c'è la questione cruciale, quella della leadership politica o, per usare un linguaggio da "media politicizzato al servizio dei poteri forti", della testa di legno da mettere alla guida del Movimento nella campagna elettorale delle elezioni politiche del 2013. Senza girarci intorno la questione è abbastanza semplice: Grillo non ha intenzione di candidarsi, eppure non può in alcun modo rinunciare a "nominare" in qualche modo il candidato (se la legge elettorale dovesse richiederlo) o ad avere sempre l'ultima parola nella formazione del gruppo dirigente che si troverà a dover "gestire" in qualche modo la valanga di voti che pioverà sul M0Vimento alle prossime elezioni. Non lo ha fatto in passato, riservandosi una sorta di diritto di veto e di "scomunica", non lo farà ora che la posta in gioco è notevolmente più alta. Come riuscire a farlo è il vero problema e, se nel caso di Tavolazzi è bastato un post a chiudere la questione, la "ribellione" (consapevole o meno) di Favia è un altro campanello d'allarme. Perché forse il "rizoma" (la definizione è proprio di Favia) è organismo troppo complesso per la politica italiana. E il giocattolino rischia di rompersi proprio ora che c'è da scrivere un programma decente, da scegliere i rappresentanti, da individuare un leader, da formare la classe dirigente…insomma, una faticaccia, altro che un paio di vaffa a gratis.