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La Locomotiva di Guccini diventa slogan dei neofascisti: forse non l’hanno capita, aiutiamoli

Ecco un’analisi testuale de “La Locomotiva” di Francesco Guccini; uno strumento di supporto per coloro ai quali non basta leggere “fiaccola dell’anarchia” e “trionfo della giustizia proletaria” per capire che un determinato testo fa riferimento ai valori della sinistra radicale e non del fascismo.
A cura di Anna Coluccino
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Ma se io avessi previsto tutto questo, (dati cause e pretesto) le attuali conclusioni, credete che per questi quattro soldi, questa gloria da stronzi, avrei scritto canzoni?

Se dovessi rispondere – in una frase – all'uso decisamente improprio che anonimi gruppi neofascisti hanno fatto de La Locomotiva di Francesco Guccini, risponderei utilizzando il succitato verso de L'Avvelenata, e sono certa che il cantautore bolognese non avrebbe nulla da ridire in proposito, sebbene – naturalmente – la canzone sia stata scritta con altri scopi. Ha invece avuto molto da ridire riguardo il provocatorio utilizzo fatto del verso "gli eroi son tutti giovani e belli" su di un manifesto che – in occasione della ricorrenza del 25 aprile – onora i ragazzi della Repubblica di Salò. Ora: è chiaro che, come afferma lo stesso Guccini, le canzoni sono lì e ognuno ne fa l'uso che preferisce; è chiaro che – una volta scritta – una canzone non appartenga semplicemente all'autore ma diventi patrimonio collettivo. Ma qui parliamo di una canzone dedicata a un macchinista anarchico; di una canzone che parla del trionfo della giustizia proletaria. Si tratta di liriche che si riferiscono ESPLICITAMENTE a un opposto sistema di valori rispetto a quelli promossi dal neofascismo. Un sistema di valori che si contrappone decisamente a quello promosso dai repubblichini osannati nel manifesto in questione.

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Eppure, nonostante l'apparente chiarezza del testo de La Locomotiva pare che qualcuno stenti a capirne il senso. Ecco perché, in un gesto di grande solidarietà e per venire incontro alle difficoltà d'interpretazione testuale che alcuni nostri connazionali mostrano di possedere, procederò all'analisi del testo della canzone in oggetto.

Prima di tutto, la contestualizzazione storica.

La Locomotiva fa riferimento a un fatto realmente accaduto, un fatto che risale al 20 luglio 1893, ovvero al tentativo da parte del "macchinista ferroviere" anarchico Pietro Rigosi di portare allo schianto una locomotiva da lui guidata e "un treno di lusso", un convoglio in cui sapeva trovarsi "gente riverita" ricolma di "velluti e ori" – insomma – "un treno pieno di signori". Il tentativo fallì, Rigosi sopravvisse – sebbene invalido e sfigurato – e il gesto venne interpretato come una reazione alla violenza dell'ingiustizia sociale che piombava gran parte della popolazione in uno stato di assoluta miseria garantendo – invece – all'altra parte della popolazione di vivere nel lusso più sfrenato. Tant'è vero che contro Rigosi non fu presa alcuna misura di carcerazione ma venne semplicemente sospeso dal servizio.

E – fin qui – non mi pare di rilevare possibili connessioni con le ragioni dei repubblichini. Ma andiamo avanti con l'analisi della prima strofa, che tra l'altro è proprio quella da cui è stato estratto il verso incriminato:

Non so che viso avesse, neppure come si chiamava,
con che voce parlasse, con quale voce poi cantava,
quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli,
ma nella fantasia ho l'immagine sua:
gli eroi son tutti giovani e belli,
gli eroi son tutti giovani e belli,
gli eroi son tutti giovani e belli…

Quel che il Guccini vuole dire è che pur non potendo conoscere il volto, il nome, il suono della voce e il colore dei capelli del protagonista della vicenda, la sua fantasia ha comunque prodotto un'immagine di Pietro Rigoni; un'immagine aderente al classico stereotipo che vorrebbe gli eroi tutti giovani e belli. Un altro possibile significato è che certe informazioni – come il nome e l'aspetto di una persona – non hanno alcuna importanza quando a parlare sono le azioni e le "idee" che esse veicolano. Questa interpretazione si fa più lampante nei versi che seguono:

Conosco invece l'epoca dei fatti, qual' era il suo mestiere:
i primi anni del secolo, macchinista, ferroviere,
i tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti
sembrava il treno anch' esso un mito di progresso
lanciato sopra i continenti,
lanciato sopra i continenti,
lanciato sopra i continenti…

E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano
che l'uomo dominava con il pensiero e con la mano:
ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite,
sembrava avesse dentro un potere tremendo,
la stessa forza della dinamite,
la stessa forza della dinamite,
la stessa forza della dinamite.

Il senso di queste due strofe è molto chiaro. Il Guccini intende dire che pur non avendo le informazioni di cui sopra, conosce però il mestiere del protagonista, l'epoca dei fatti, e tanto basta: "tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti sembrava il treno anch' esso un mito di progresso lanciato sopra i continenti". Nella seconda strofa  – invece – si limita a dare forza al concetto appena espresso e sottolinea la potenza rivoluzionaria del mezzo ferroviario.

Ma un' altra grande forza spiegava allora le sue ali,
parole che dicevano "gli uomini son tutti uguali"
e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via
la bomba proletaria e illuminava l' aria
la fiaccola dell' anarchia,
la fiaccola dell' anarchia,
la fiaccola dell' anarchia.

Ma, racconta Guccini, il treno non è l'unica innovazione progressista dell'epoca. Si assiste, infatti, anche all'esplodere di una nuova idea rivoluzionaria; un'idea che promuove l'uguaglianza tra gli uomini e la ribellione contro "re e tiranni"; un'idea che chiamata "anarchia". Ora: fino a prova contraria, la Repubblica di Salò sosteneva una tirannia – quella nazifascista – e, per tanto, questa strofa de La Locomotiva si contrappone esplicitamente all'ideologia fascista.

Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione,
un treno di lusso, lontana destinazione:
vedeva gente riverita, pensava a quei velluti, agli ori,
pensava al magro giorno della sua gente attorno,
pensava un treno pieno di signori,
pensava un treno pieno di signori,
pensava un treno pieno di signori…

Non so che cosa accadde, perchè prese la decisione,
forse una rabbia antica, generazioni senza nome
che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore:
dimenticò pietà, scordò la sua bontà,
la bomba sua la macchina a vapore,
la bomba sua la macchina a vapore,
la bomba sua la macchina a vapore…

E sul binario stava la locomotiva,
la macchina pulsante sembrava fosse cosa viva,
sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno
mordesse la rotaia con muscoli d' acciaio,
con forza cieca di baleno,
con forza cieca di baleno,
con forza cieca di baleno…

E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo
pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto.
Salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura
e prima di pensare a quel che stava a fare,
il mostro divorava la pianura,
il mostro divorava la pianura,
il mostro divorava la pianura…

Correva l' altro treno ignaro e quasi senza fretta,
nessuno immaginava di andare verso la vendetta,
ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno:
"notizia di emergenza, agite con urgenza,
un pazzo si è lanciato contro al treno,
un pazzo si è lanciato contro al treno,
un pazzo si è lanciato contro al treno…"

In queste cinque strofe si racconta invece il fatto storico, impreziosito dagli ipotetici pensieri del Rigoni.

Ma intanto corre, corre, corre la locomotiva
e sibila il vapore e sembra quasi cosa viva
e sembra dire ai contadini curvi il fischio che si spande in aria:
"Fratello, non temere, che corro al mio dovere!
Trionfi la giustizia proletaria!
Trionfi la giustizia proletaria!
Trionfi la giustizia proletaria!

"E intanto corre corre corre sempre più forte
e corre corre corre corre verso la morte
e niente ormai può trattenere l' immensa forza distruttrice,
aspetta sol lo schianto e poi che giunga il manto
della grande consolatrice,
della grande consolatrice,
della grande consolatrice…

La storia ci racconta come finì la corsa
la macchina deviata lungo una linea morta…
con l' ultimo suo grido d' animale la macchina eruttò lapilli e lava,
esplose contro il cielo, poi il fumo sparse il velo:
lo raccolsero che ancora respirava,
lo raccolsero che ancora respirava,
lo raccolsero che ancora respirava…

Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore
mentre fa correr via la macchina a vapore
e che ci giunga un giorno ancora la notizia
di una locomotiva, come una cosa viva,
lanciata a bomba contro l' ingiustizia,
lanciata a bomba contro l' ingiustizia,
lanciata a bomba contro l' ingiustizia!

In queste ultime strofe, Guccini alterna il racconto degli eventi agli ipotetici pensieri dell'anarchico emiliano rispetto al gesto che ha deciso di compiere: "Fratello, non temere, che corro al mio dovere! Trionfi la giustizia proletaria!". E conclude augurandosi – metaforicamente o meno, non è dato saperlo – che un giorno ci arrivi la notizia di "una locomotiva lanciata a bomba contro l'ingiustizia". In buona sostanza, si tratta di un inno alla resistenza, ma non parliamo certo della "resistenza" dei repubblichini quanto – piuttosto – di quella contro il potere e l'ingiustizia sociale.

Augurandomi che quest'analisi risulti utile a quanti non avevano beninteso il senso della canzone, mi corre l'obbligo di rilevare che la lacuna nell'interpretazione dei testi non è l'unico malanno culturale di cui gode la destra radicale italiana. Anche le lingue straniere non sono esattamente il suo forte. È di poche giorni fa la vicenda riguardante un manifesto de La Destra di Storace in cui – allo slogan "Giù le mani da casa, lavoro e pensioni" – si accompagna  l'immagine di un corteo di persone nerovestite e in evidente assetto antisommossa. Peccato che quell'immagine non rappresenti affatto un corteo della destra italiana e si tratti di una manifestazione di anarchici greci, per di più intenti a innalzare uno striscione con su scritto: stasera muore il fascismo.

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L'idea di paragonare la resistenza partigiana alla "resistenza" di un gruppuscolo di fascisti al soldo della Germania nazista, non è solo così ridicola da rasentare tragicamente il grottesco, ma contraddice la stessa vocazione nazionalista delle destre che – storicamente – dovrebbero opporsi all'istituzione di colonie e protettorati sul territorio nazionale. I partigiani non difendevano soltanto la libertà, ma anche il diritto alla sovranità, a scegliere del proprio destino. I repubblichini difendevano le intenzioni di un governo "altro", di un stato "altro". I neofascisti autori del suddetto manifesto non sembrano in grado di leggere la lampante contraddizione delle loro stesse dichiarazioni. Si tratta, infatti, delle stesse persone che – da un lato – inneggiano ai repubblichini che tentarono di sostenere l'affermazione dell'egemonia tedesca in Italia contro il volere del popolo, e – dall'altro – oggi contestano lo strapotere economico tedesco perché priva il paese della sua sovranità. Insomma, sembra proprio che per i neofascisti la sovranità popolare non sia qualcosa da difendere a ogni costo. A volte la si può anche cedere a favore di una qualche nazione, a patto che la nazione in questione sia d'accordo con loro.

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