In questi giorni si sente parlare con sempre maggiore insistenza della possibilità che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte faccia il grande passo e fondi un proprio movimento politico. Un partito, un movimento o semplicemente una lista, le opzioni non mancano, che secondo alcuni sondaggi supererebbe agilmente il 10% dei consensi e rappresenterebbe il fulcro del panorama politico italiano dei prossimi anni. Le ragioni dietro una mossa di questo tipo ruoterebbero non solo intorno alla possibilità di capitalizzare il cospicuo consenso personale di cui gode Conte, ma anche alla necessità di normalizzare il quadro politico attuale. Il governo Conte bis, infatti, resta un’anomalia, un accrocchio nato da una crisi politica sui generis che ha dato vita a un esecutivo politico guidato da un non – politico, il quale per giunta è riuscito sempre a svicolare alle domande sulla sua collocazione partitica. Esperimento reso possibile grazie all'unica considerazione comune alle tante anime della maggioranza: l'assenza di alternativa che non fosse la vittoria di Matteo Salvini in caso di ritorno alle urne. La pandemia ha parzialmente modificato il quadro, rallentando processi già in atto ma allo stesso tempo esasperando le contraddizioni interne alla maggioranza e facendo saltare un copione del tipo "i tre colonnelli manovrano il generale". La centralità di Conte è diventata un fatto, più che una suggestione.
Il punto è che non è possibile sganciare ogni discussione sulla Lista Conte da ciò che accade all'interno dei partiti di maggioranza. Nel Partito Democratico è in atto sottotraccia una discussione molto complessa e dall’esito per nulla scontato, che si è soltanto intravista nell’ultima Direzione Nazionale. Se è vero che l’attivismo di Conte è mal sopportato, allo stesso tempo c’è la consapevolezza che il Presidente del Consiglio possa essere figura centrale anche in un’orizzonte più ampio. In che modo? Qualcuno, come il vicesegretario Andrea Orlando, riassume il progetto con una formula interessante: unità del centrosinistra e convergenza con un pezzo di populismo ascrivibile all'europeismo. Dunque, recuperare in qualche modo i vecchi compagni di viaggio a sinistra e spingere i 5 Stelle a liberarsi dalle frange estremiste, per dar vita a una versione riveduta e corretta del centrosinistra. È più o meno questa la traccia su cui si sta lavorando anche in vista delle Elezioni Regionali, per dare una cornice ideologico – programmatica al primo tentativo di alleanza strutturale con il Movimento 5 Stelle. In questo contesto, Conte rappresenterebbe un punto di riferimento e di sintesi; non a caso, Zingaretti lo ha ascritto da tempo al campo progressista e in queste ore stanno piovendo investiture e benedizioni, alcune del tutto inattese come quella di Mario Monti. Nel frattempo, il PD intende aumentare il livello di aggressività politica e programmatica nell'esecutivo e di pervasività nei gangli delle istituzioni e dei centri decisionali, in modo da arrivare all'appuntamento elettorale mettendo sul piatto risultati, programmi e relazioni.
Ora, anche ammesso che Conte possa essere interessato a un ruolo di questo tipo e mettendo per un attimo da parte il rebus rappresentato da Italia Viva, Azione e +Europa, appare evidente come l’ostacolo maggiore a un progetto di questo tipo venga proprio dal Movimento 5 Stelle. I grillini hanno rimandato (causa pandemia) la resa dei conti interna, lasciando che Vito Crimi si limitasse ad accompagnare l’azione di governo e provasse ad arginare le mareggiate interne. La fase di transizione, che doveva terminare con gli stati generali del Movimento 5 Stelle (qualcuno mormora che la scelta comunicativa di Conte e Casalino per l’appuntamento di Roma non sia stata casuale), ha determinato un riposizionamento di parlamentari, eletti e militanti 5 Stelle, ma ha pure acuito le contrapposizioni interne. La partita per il controllo del M5s comincerà a breve e l’esito potrebbe avere conseguenze enormi, soprattutto se dovesse prevalere (e i bene informati lo danno per scontato) una determinata componente, quella più critica con Conte e da sempre insofferente all’alleanza con il Partito Democratico. In quel caso, Conte si troverebbe a dover mediare tra forze che hanno già deciso di separare i loro destini “appena possibile”, con l’incubo di essere logorato da uno stillicidio di polemiche, distinguo, obiezioni, ultimatum. Il “modello Italia Viva” esteso anche ai 5 Stelle, per capirci.
È per questo che far circolare adesso la suggestione "Lista Conte" è una mossa strategica interessante: agitare lo spauracchio del Presidente del Consiglio che prende l'iniziativa e scende in campo con un movimento autonomo, azzoppando in un colpo solo PD e M5s (catalizzando l'elettorato governista), è un modo per raccogliere due piccioni con una fava Ovvero frenare le ambizioni del PD, che vuole approfittare della debolezza del M5s per chiedere un riequilibrio (che l'obiettivo sia il ministero della Scuola non è un mistero) e per orientare le scelte del governo in un momento cruciale per il futuro del Paese (con un bel gruzzolo da spendere e un futuro da immaginare). E, al contempo, mandare un segnale a una ben determinata area grillina, quella che si appresta a lanciare la propria opa sulla cabina di regia del M5s, con tanto di condottiero appena rientrato in attività.
Da qui a pensare sul serio a un vero partito ce ne passa, però: troppi i rischi e le incognite per muoversi senza struttura, senza organizzazione, senza un orizzonte definito e con la necessità di arrivare a eleggere il nuovo Presidente della Repubblica con questo Parlamento. Ma tant'è, per ora la Lista Conte è un monito per tutti: non tirate troppo la corda, perché il futuro passa ancora da Giuseppi.