La lettera delle Sardine: “Non saremo un partito: noi una rivolta popolare senza precedenti”
Le quattro sardine originali, gli organizzatori della manifestazione di Bologna lo scorso 14 novembre, hanno scritto una lettera al quotidiano Repubblica per ripercorrere quanto fatto finora e lanciare uno sguardo al futuro del movimento. Andrea Garreffa, Roberto Morotti, Mattia Santori e Giulia Trappoloni, fondatori della pagina 6000 Sardine, escludono l'idea che quanto hanno creato possa trasformarsi in un partito, in quanto ciò cambierebbe profondamente la natura delle manifestazioni. Delle espressioni di protesta che i quattro ragazzi definiscono piuttosto come una rivolta.
Le sardine non esistono, non sono mai esistite. Sono state solo un pretesto. Potevano essere storioni, salmoni o stambecchi. La verità è che la pentola era pronta per scoppiare. Poteva farlo e lasciare tutti scottati. Per fortuna le sardine le hanno permesso semplicemente di fischiare.
Non è stato grazie a noi, né tantomeno a chi ha organizzato le piazze dopo di noi. È stato grazie a un bisogno condiviso di tornare a sentirsi liberi. Liberi di esprimere pacificamente un pensiero e di farlo con il corpo, contro ogni tentativo di manipolazione imposto dai tunnel solipsistici dei social media.
La condivisione dello stesso male ci ha resi alleati coesi, ha unito il fronte. Le proteste sono frequenti come stelle cadenti, le rivolte sono rare come le eclissi. L'Italia è nel mezzo di una rivolta popolare pacifica che non ha precedenti negli ultimi decenni. Chi cercherà di osteggiarla sentirà solo più acuto il fischio, chi tenterà di cavalcarla rimarrà deluso.
La forma stessa di un partito sarebbe un oltraggio a ciò che è stato e che potrebbe essere. E non perché i partiti siano sbagliati, ma perché veniamo da una pentola e non è lì che vogliamo tornare. Chiedere che cornice dare a una rivolta è come mettere confini al mare. Puoi farlo, ma risulterai ridicolo. Noi ci chiediamo ogni giorno come fare, e ci sentiamo ridicoli, inadatti e impreparati… ma finalmente liberi.
L'unica certezza che abbiamo è che siamo stati sdraiati per troppo tempo. E che ora abbiamo bisogno di nuotare.
Nella lettera sottolineano quindi l'obiettivo del movimento delle sardine. Un ritorno alle piazze, ai territori, al contatto con le persone. E affermano l'importanza di procedere con calma, consapevoli di aver dato via ad un processo che richiederà tempo e che la strada davanti è ancora lunga.
Ci diamo una strada comune: tornare nelle piazze, nelle strade, nei territori. E, quando dopo un'ora, ci ritroviamo nell'auditorium per presentare le proposte, è un'emozione dietro l'altra. Ogni iniziativa scatena un applauso, suscita speranza, ci avvicina. La strada è lunga, lo sappiamo. La fretta è il nostro più grande nemico, sappiamo anche questo. Tutto sta nel trovare il ritmo giusto e soprattutto nel mantenere, proteggere e curare quel dialogo che ci ha permesso di vivere e condividere una mattinata che rimarrà nei nostri cuori per sempre. A prescindere da quello che sarà.
Il 20 dicembre siamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in Italia. Il processo che abbiamo contribuito a creare sarà lungo ma intanto è iniziato. E per quanto possiamo essere qualcuno all'interno delle piazze, dei nostri collettivi e dei nostri circoli, non siamo nessuno all'interno di questo processo.
Quindi un omaggio a coloro che hanno reso le sardine, dalla manifestazione a Bologna nella sera in cui Matteo Salvini ha dato via alla campagna elettorale della Lega in Emilia Romagna, un movimento nazionale: le persone che hanno riempito quelle piazze, le cui foto hanno fatto il giro del web. Garreffa, Morotti, Santori e Trappoloni si difendono quindi da chi ha cercato di manipolare il successo delle sardine: rifiutando le accuse di populismo, affermando di voler continuare a gremire le piazze.
Hanno raggiunto piazze fidandosi di un invito giunto in maniera anonima. Talvolta non sono neanche riuscite a raggiungerle per via della massa che occupava gli ingressi, come a Firenze. Spesso, raggiunta la piazza, non sono riuscite ad ascoltare cosa veniva detto, letto o cantato, perché l'impianto audio non era adeguato. Eppure c'erano.
Hanno voluto esserci. Corpi fisici in uno spazio. L'unico elemento non manipolabile in un mondo pervaso dalla comunicazione "mediata". C'è chi ha provato a dire che la foto di Bologna risaliva a un capodanno, chi ha affermato che a Roma c'erano solo 35.000 persone. Ma troppa gente poteva provare il contrario, troppi occhi, troppe orecchie, troppi cuori potevano riaffermare la verità.
Ogni piazza è stata diversa: per età, genere e provenienza politica. Nonostante gli attacchi e le sirene del populismo abbiano iniziato a mitragliare, le persone si sono fidate, hanno continuato a fidarsi. E lo hanno dimostrato diventando Sardine e riempiendo le piazze. Dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia. Dai feudi rossi alle roccaforti leghiste… Contribuendo ad inondare i giornali, i social e il web di foto di piazze gremite.
Il 15 dicembre eravamo 150 persone come ce ne sono tante in Italia. Solo con tante ore di sonno perse e il portafoglio più vuoto del solito. Operai, studenti, insegnanti, professionisti, precari, disoccupati. Militanti, ex politici, disillusi, attivisti, volontari. Un muro di giornalisti fuori, molta semplicità dentro.
Tante facce nuove. Forse troppe. Spazi spartani e molto freddo. Sensazione da primo giorno di scuola, gente troppo adulta per poterci essere abituata. Ma la classe è numerosa e ci accorgiamo subito che le cose che ci uniscono sono molte di più di quelle che ci dividono. Che in qualche modo siamo sempre stati fratelli e sorelle, solo non ci eravamo mai conosciuti.
Ci organizziamo in tavoli di lavoro geografici e scopriamo che l'integrazione è più facile a dirsi che a praticarsi. Ma ci serve. Nessuno è portatore di verità assolute e il dialogo, che passa dall'ascolto, è l'unica sintesi di quelle differenze che, contaminandosi, rimarranno tali anche dopo essersi confrontati.
Quindi un ritorno a quel 14 novembre, giorno della manifestazione in piazza Maggiore a Bologna da cui sarebbe iniziato tutto. Un giorno in cui una protesta locale si è trasformata nel giro di poche ore in un fenomeno nazionale, che ha saputo mettere insieme un ritorno alla piazza con i vantaggi del coordinamento digitale e della visibilità mediatica per combattere il populismo. Nella loro lettera, quindi, i fondatori delle 6000 Sardine spiegano i retroscena dell'organizzazione e raccontano in che modo, dopo quella serata di metà novembre, la manifestazione bolognese sia diventata un ‘no' all'attuale destra italiana, in grado di coinvolgere tutto il Paese.
Il 14 novembre eravamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in Italia. Roberto in ufficio, Giulia in ambulatorio, Mattia in palestra, Andrea in piazza a farsi carico delle questioni logistiche. "Ma non dovresti essere qui, dovresti essere in piazza a preparare per stasera" ci veniva detto da clienti, pazienti, mamme e colleghi.
Dopo poche ore piazza Maggiore sarebbe stata strabordante di Sardine. In una misura che nessuno prevedeva, tantomeno noi. Nella notte, le foto di quella piazza avrebbero fatto il giro del mondo. La mattina seguente le Sardine erano già un fenomeno mediatico di portata internazionale, ma noi non lo sapevamo.
Avevamo scatenato un maremoto a nostra insaputa. Imprevisto quanto insperato. Quei giornalisti che nei giorni precedenti ci avevano ignorato sarebbero diventati la nostra ombra. È buffo ripensare a quanto fossimo infastiditi da quell'unica telecamera presente a Bologna. "La piazza non ha bisogno di eroi", rivendicavamo con convinzione. Tre giorni dopo, a Modena, le telecamere sarebbero state una dozzina. Un mese dopo, a Roma, un centinaio. Ma ripartiamo dall'inizio.
Il 15 novembre eravamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in Italia. Ma il telefono squilla e su Facebook spuntano i primi tre eventi spontanei: Modena, Firenze, Sorrento.
Nel marasma generale troviamo un secondo per confrontarci e prendiamo una decisione che ci avrebbe sconvolto la vita. Decidiamo che l'Emilia-Romagna non è la sola terra in cerca di un modo per esprimere un sentire diffuso e diamo vita a un coordinamento nazionale, con l'obiettivo di favorire lo sviluppo di un fenomeno culturale e sociale di resistenza all'avanzata del populismo e dei suoi meccanismi di attecchimento.
Ci è chiaro fin da subito che questo fenomeno deve rimanere in tutto e per tutto spontaneo, nutrirsi della ritrovata voglia di partecipare delle persone, e al contempo riproporre ogni volta, in chiave locale, le emozioni di piazza Maggiore.
Trovavamo giusto che il messaggio di rivalsa e speranza lanciato a Bologna potesse rivivere in tutte le piazze d'Italia. Ed era bello che questo avvenisse tramite persone che fino a quel momento non si erano mai conosciute tra loro. La forza delle Sardine è collegare il virtuale al reale, e non c'era niente di meglio che favorire la nascita di un fenomeno sociale fatto di individui in carne e ossa, capaci di mostrare che le piazze, virtuali e reali, sono di tutti.
La squadra bolognese si è allargata e questo ci ha permesso di rispondere alle centinaia di mail e messaggi che ricevevamo – e che tuttora riceviamo – ogni giorno.
Lo schema per gli organizzatori era semplice: prendi contatto con i bolognesi, valuta i suggerimenti, procurati i documenti necessari, lancia l'evento su Facebook, lavora per riempire la piazza di persone e contenuti, stupisciti di quanto la tua città sia migliore di come te l'aspettavi. Una volta lanciato, l'evento viene inserito nel calendario ufficiale della pagina "6000sardine" e un referente per piazza aggiunto alla chat nazionale.
Il 14 dicembre eravamo quattro trentenni come ce ne sono tanti in Italia, solo con tante ore di sonno perse. Dopo piazza San Giovanni era tempo di fare due calcoli. In 30 giorni si erano riempite 92 piazze in tutta Italia, a cui si sono aggiunte 24 piazze estere, europee e statunitensi. Circa mezzo milione di persone sono uscite di casa, al freddo e sotto la pioggia, per dire che la loro idea di società non rispecchiava per nulla quella presentata dall'attuale destra italiana, quella stessa destra che non perde occasione per affermare di avere il popolo dalla sua parte.