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La Lega vuole vietare l’uso del femminile per gli incarichi pubblici: previste multe fino a 5000 euro

Niente più ‘sindaca’, ‘rettrice’, ‘questora’ o ‘avvocatessa’. A chiederlo è la Lega in un ddl depositato dal senatore Manfredi Potenti che vuole vietare, negli atti pubblici, l’uso del femminile riferito a cariche istituzionali. Previste multe fino a 5000 euro per chi non rispetta il divieto.
A cura di Giulia Casula
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Basta all'uso del femminile negli atti pubblici: niente più "sindaca", "rettrice", "questora", "avvocatessa". A chiederlo è la Lega con un disegno di legge presentato una settimana fa al Senato dal parlamentare Manfredi Potenti e dal titolo ‘Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere'.

Il partito di Matteo Salvini chiede che dai documenti della pubblica amministrazione venga abolito l'uso del femminile per i sostantivi relativi a cariche istituzionali – come quella del sindaco ad esempio – e che si torni a utilizzare solo la variante maschile, indipendentemente dal genere della persona a cui fa riferimento l'atto.

Per chi non rispetta la disposizione, il ddl prevede addirittura una sanzione che può andare da un minimo di 1000 euro a un massimo di 5000. Lo scopo della proposta di legge, nelle intenzioni della Lega, è quello di "preservare l'integrità della lingua italiana ed in particolare, evitare l'impropria modificazione dei titoli pubblici dai tentativi ‘simbolici' di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo".

In particolare l'articolo 2 del testo, che al momento non risulta ancora calendarizzato, dispone che "in qualsiasi atto o documento emanato da Enti pubblici o da altri enti finanziati con fondi pubblici o comunque destinati alla pubblica utilità, è fatto divieto del genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, ed agli incarichi individuati da atti aventi forza di legge".

L'articolo 3 invece, secondo quanto riportato da Adnkronos, dispone il "divieto del ricorso discrezionale al femminile o sovraesteso od a qualsiasi sperimentazione linguistica", precisando che "è ammesso l'uso della doppia forma od il maschile universale, da intendersi in senso neutro e senza alcuna connotazione sessista". All'articolo 4, il capitolo dedicato alle multe che scatterebbero per chi contravviene al divieto. "La violazione degli obblighi di cui alla presente legge comporta l'applicazione di una sanzione pecuniaria amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 1.000 a 5.000 euro", si legge.

Nelle premesse del ddl, il senatore leghista ricorda come l'ateneo di Trento abbia adottato l'uso del cosiddetto ‘femminile sovraesteso' per le cariche e i riferimenti di genere, ovvero l'utilizzo di termini femminili anche quando questi si riferiscono ad altre persone.  "Con la conseguenza – sottolinea Potenti nella bozza – che, ad esempio, si è utilizzato ‘rettrice' anche per l'incarico di rettore rivestito da un uomo".

Da qui la necessità, secondo l'esponente del Carroccio, di "tutelare la lingua italiana". A supporto della sua tesi, Potenti cita poi il "compianto linguista Luca Serianni" e "la contrarietà del Presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano rispetto ad una decisione dell'Accademia della Crusca circa la possibilità di declinare al femminile le cariche pubbliche coperte da donne".

Secondo la Lega, occorre "scongiurare che la legittima battaglia per la parità di genere, al fine di conseguire visibilità e consenso nella società ricorra a questi eccessi non rispettosi delle istituzioni". Altrimenti, avvertono da Via Bellerio, il rischio è di ritrovarsi di fronte a "personalismi non invocati dall'ordinamento il quale correttamente deve pretendere che gli aspetti privati di chi esercita funzioni pubbliche rimangano accantonati. Una decisione assunta da una ‘sindaca' potrebbe essere addirittura impugnabile poiché non prevista dal nostro ordinamento", conclude Potenti.

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