Senza girarci troppo intorno: dopo più di ottanta giorni di conflitto, sarebbe anche ora di fare dei passi avanti nel dibattito pubblico. Mentre cambiano le strategie dei due eserciti, si riconfigurano alleanze e accordi, si riprogrammano obiettivi, in Italia siamo all’ennesima replica dello stesso spettacolo sconfortante: narrazioni distorte a uso e consumo di elettori e telespettatori, polarizzazioni su posizioni che definire semplicistiche è finanche riduttivo, propaganda e bufale di regime spacciate per “contraddittorio” e personaggi improponibili eletti a ruolo di controparte con l’obiettivo esplicito di tenere alte attenzione e audience. Va avanti così da settimane, ci sono trasmissioni in cui ancora siamo al “c’è un aggressore e un aggredito”, contenitori indistinguibili in cui si pretende di dire cosa dovrebbero fare gli ucraini e per chi o cosa dovrebbero sacrificare la loro indipendenza e libertà, quotidiani in cui ci tocca leggere le farneticazioni di chi equipara filoputiniani e pacifisti, o di influencer e analisti della controinformazione (seh!) che ci spiegano come in fondo nella Russia di Putin non si stia poi così male. Nulla sfugge a questo enorme tritacarne, che sia l'Eurovision o una minaccia di escalation nucleare: tutto si trasforma in scontro fra opposte tifoserie, in una sorta di esperimento sociologico indecente e pericoloso. Persino il sacrosanto desiderio di gran parte dei cittadini italiani, porre fine al conflitto, fermare i massacri, lavorare per la pace (questo almeno è ciò che i sondaggi restituiscono), viene strumentalizzato e distorto.
Il dibattito politico, per la verità, non è che sia molto meglio. Quella del “governo con l’elmetto” è certamente una parodizzazione (la subalternità dell’esecutivo dei migliori alla linea della Nato è stata scelta obbligata), ma l’irrilevanza della posizione italiana finanche nel panorama europeo è segno di una marginalità difficilmente contestabile. Del resto, Draghi non può contare sul carrozzone che lo sostiene, con leader di partito impegnati in battaglie interne o di retroguardia, terrorizzati dall’andamento dei flussi di consenso a pochi mesi dalla fine della legislatura. Paradossalmente, il nostro Presidente del Consiglio non ha ricevuto attenzione e considerazione nemmeno negli ultimi giorni, quando ha provato a impostare una linea un minimo più strutturata, che tenesse conto dell'evoluzione del quadro e della necessità di ripensare il ruolo degli stati Ue (che hanno interessi che non possono essere completamente sovrapposti a quelli USA, almeno in questa fase).
L’ipocrita dibattito sulle armi difensive, offensive, più o meno letali è estremamente esplicativo dell’irrilevanza della politica italiana nel contesto internazionale e del modo con cui i nostri leader trattano i loro elettori. Invece di rivendicare o contestare quella che è prima di tutto una scelta di campo, ovvero l’invio di forniture militari come parte del sostegno italiano al governo ucraino, ci si accapiglia in questioni di lana caprina, o almeno si dà l’impressione di farlo. La differenza tra armi difensive e offensive (così come il concetto di maggiore o minore letalità), che esiste da un punto di vista teorico, è del tutto fumosa in un contesto come quello della guerra ucraina, come spiega perfettamente questo pezzo del Washington Post. Se è questa la strategia del centrosinistra per recuperare consensi fra l’elettorato pacifista, diciamo che siamo sul patetico andante. Così come privo di qualsiasi legame con la realtà appare ogni ragionamento del tipo “basta così, ne hanno avute abbastanza”, che la destra cerca di far digerire ai propri elettori: siamo entrati nella fase cruciale del conflitto, mai come adesso gli ucraini hanno bisogno di rifornimenti (peraltro non si capirebbe il senso di uno stop unilaterale italiano). Insomma, una commedia delle parti che conferma come, nella migliore delle ipotesi, i nostri rappresentanti siano irrilevanti e si limitino a subire o rivendicare scelte prese in altre sedi.
L'inconsistenza della nostra classe politica di fronte alle sfide che pone l'invasione russa dell'Ucraina è un problema anche in prospettiva, laddove non riesce a restituire ai cittadini la portata e la gravità dei processi in atto. Il conflitto è già entrato in una nuova dimensione, che non è più solo quella della resistenza ucraina ai primi tentativi di invasione russa. È già cominciata una nuova e decisiva fase della guerra, con la battaglia per il Donbass che indirizzerà le trattative diplomatiche e gli equilibri futuri. Come spiega il professor Cohen in questo durissimo pezzo su The Atlantic, le strategie ma anche gli obiettivi di Russia e Ucraina sono radicalmente cambiati: “In questa guerra, come in tante altre in passato, non sono semplicemente gli obiettivi a plasmare le battaglie, ma anche le battaglie a plasmare gli obiettivi. Alcuni obiettivi possono essere dichiarati, altri impliciti, altri ammessi soltanto in maniera riservata”. E parimenti gli alleati occidentali degli ucraini stanno rimodulando le loro iniziative: “In origine il loro scopo era sostenere la coraggiosa (ma in partenza destinata alla sconfitta) lotta ucraina per la sopravvivenza, aiutando magari a gettare le basi per un'insurrezione che avrebbe fatto pagare alla Russia un prezzo per la sua aggressione. Quando è diventato chiaro che l'Ucraina poteva colpire in modo durissimo le forze russe e persino sconfiggerle, gli obiettivi sono leggermente cambiati […] Ora si cerca di indebolire la Russia al punto tale da renderla incapace di aggressioni simili all’Ucraina o agli stati della Nato”. Cohen è convinto che da questa guerra uscirà un'Ucraina più forte, capace di resistere a eventuali future aggressioni della Russia; allo stesso tempo, la NATO sarà più unita e forte di prima, in grado di garantire la sicurezza non solo dei suoi stati membri. Ma, in ogni caso, "non ci sarà alcun ritorno alla normalità o allo status quo pre-guerra. Si tratterà, invece, di un'attesa lunga, ben armata e vigile".
Un concetto, quello di vittoria, che invece è bollato come "illusione mortale" dal professor Michael T. Klare su The Nation, che vede nella situazione attuale il momento perfetto per un serio impegno diplomatico: "Dato l'equilibrio delle forze da entrambe le parti, sembra improbabile che qualcuna delle due sarà mai in grado di ottenere la ‘vittoria'. Più probabilmente, i combattimenti andranno avanti per settimane o mesi fino a quando entrambe le parti non raggiungeranno l'esaurimento; a quel punto si accetterà un cessate il fuoco, con un risultato negoziale non troppo diverso da quello che si sarebbe potuto ottenere a marzo, con meno spargimenti di sangue. Ciò che è necessario, quindi, non sono promesse illusorie di ‘vittoria', ma piuttosto un serio sforzo internazionale per fermare i combattimenti ora, prima che muoiano più persone, che la guerra si intensifichi e diventi qualcosa di molto peggio". Insomma, chiosa, "se fossimo veramente interessati al destino dell'Ucraina e del suo popolo, prevenire ulteriori perdite di vite umane dovrebbe essere la nostra massima priorità".
È indubbio però che siamo in presenza di un cambio di scenario, determinato dall'evoluzione del conflitto e dai significativi risultati militari raggiunti dall'esercito ucraino. Tutto ciò meriterebbe maggiore considerazione, per quel che significa in termini di prolungamento della guerra e per come disegnerà il mondo che verrà. C’è ad esempio chi, come Jeffrey D. Sachs sulla CNN già settimane fa si chiedeva se la strategia occidentale fondata sull’imposizione di sanzioni e sul rifornimento di armi potesse funzionare nel lungo periodo (“Ciò può far sanguinare la Russia, ma non servirà a salvare l’Ucraina”, scrive), ritenendo che la sola risposta alla crisi possa essere un accordo di pace basato su un compromesso che risulti accettabile alle parti: “È tempo che le truppe russe lascino il campo di battaglia […] ma dovremmo almeno tentare di capire se possa essere raggiunta la pace per il tramite di un accordo che si basi sulla neutralità dell’Ucraina, tutelata da accordi internazionali”.
Al momento, invece, non c'è un tavolo negoziale che stia dando risultati tangibili (questo lavoro su The Conversation spiega perché gli sforzi fatti finora non siano stati sufficienti e perché sarebbe opportuno coinvolgere altri soggetti), né si intravede la prospettiva di un cessate il fuoco imminente. Svezia e Finlandia chiederanno di entrare a far parte della Nato, ipotesi che ridisegnerebbe l'intera cartina geopolitica europea, ma che per il momento vede la contrarietà della Turchia. Putin sarà costretto a elaborare una exit strategy dal pantano ucraino, dopo aver fallito tutti gli obiettivi di breve e medio periodo. L'isolamento della Russia avrà impatto su scala globale e aumenterà ulteriormente la rilevanza cinese.
Siamo, insomma, nel pieno di un processo di cambiamento globale, che sta avvenendo per il tramite di un conflitto che rischia di durare a lungo e che ha già causato migliaia di vittime e milioni di sfollati. Sarebbe ora di cominciare a occuparcene, no?