Dopo mesi e mesi di trattative, incontri, polemiche ed ipotesi, tutto ciò che resta è il "cauto ottimismo" sulla possibilità di trovare un accordo per cambiare la legge elettorale. Un po' misero come bilancio, non c'è che dire. Ma del resto, che il cammino fosse impervio era cosa abbastanza pacifica, dal momento che nel risiko di alleanze, sondaggi e flussi di consenso, trovare punti di convergenza tra le varie anime della maggioranza che sostiene il Governo Monti è impresa titanica. E nemmeno l'instancabile lavoro dei pontieri è riuscito ad appianare divergenze sostanziali, che ovviamente rimandano a calcoli e a convenienze di bottega (teoricamente la cosa dovrebbe essere univocamente giudicata scandalosa, ma tant'è…). Ma andiamo con ordine, provando a ricapitolare quali sono le basi del possibile "incontro a metà strada" fra i partiti per la "rimodulazione" della legge elettorale. E' la bozza anticipata da Gaetano Quagliariello qualche giorno fa, con una serie di punti che costituiscono l'ossatura di quello che dovrebbe essere il testo di partenza.
Innanzitutto si parte dal modello proporzionale con soglia di sbarramento al 5%, nonché dall'assegnazione dei seggi su base circoscrizionale con la previsione di una norma per un "riequilibrio di genere". Nessun dubbio invece sulla necessità (mah) di riservare una quota (un terzo) di parlamentari eletti con liste bloccate, mentre si continua a discutere sul premio di governabilità. Su quest'ultimo punto infatti la distanza fra gli schieramenti resta grande, con il Partito Democratico che spinge affinché si parta da un 15% di premio per la coalizione che ottenga la maggioranza relativa dei consensi, mentre il Popolo della Libertà resta orientato ad un premio più basso da attribuire al partito che ottenga il maggior numero di voti. Resta inoltre aperta la questione preferenze (caldeggiate da Pdl ed Udc), che i democratici intenderebbero sostituire con collegi uninominali con metodo maggioritario. Come ricorda Trocino sul Corsera è da considerare anche la questione dei tempi:
Il timing, se tutto va nel migliore dei modi, potrebbe essere questo: via libera dal Senato entro fine settembre, approvazione della Camera entro fine ottobre, due mesi per ridisegnare i collegi e legge pronta entri la fine dell'anno per votare poi tra febbraio e marzo. L'aggiornamento tecnico è per mercoledì 5 settembre.
Il tutto mentre ancora qualcuno si spinge ad ipotizzare elezioni anticipate a novembre (ovviamente con il caro, vecchio, vergognoso Porcellum) e mentre sono sempre di più i cittadini che cominciano ad "aprire gli occhi" su quanto sia centrale la questione per il futuro della democrazia nel nostro Paese. Ne scrive anche con grande acume Filippo Ceccarelli su Repubblica, parole che ci sentiamo di sottoscrivere in pieno:
Ciò detto nessuno può negare che esista un rapporto tra processi politici e sistemi elettorali. Ma in Italia, più modestamente, sarebbe già più utile capire perché è proprio su questo terreno che la politica finisce regolarmente per girare a vuoto e impelagarsi. E forse il mistero ha a che fare con una concezione sempre più privatistica delle istituzioni; forse perché l'argomento distrae dallo stato pietoso in cui versano i partiti; o forse perché questa benedetta riforma elettorale solletica la vanità di tanti leader e sottoleader che in tal modo si sentono demiurghi senza smettere di esercitarsi in quelle astrazioni furbesche che pure segnano in modo indelebile l'odierno ceto politico. In ogni caso l'importante è non concludere l'eterna gravidanza. Ma guai a riconoscerlo.