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La Gran Bretagna si mobilita per bloccare la visita di Trump: “Volgare e misogino”

Una petizione lanciata in rete per fermare la visita di stato di Donald Trump ha raccolto quasi 2 milioni di firme. Migliaia di persone manifestano in tutto il paese. Contro il muslim ban, ma anche per la violenza contro gli immigrati. E all’orizzonte c’è sempre la Brexit.
A cura di Michele Azzu
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Centomila persone per le strade della capitale, alla Marcia delle Donne del 21 gennaio. Altre 30mila persone nelle strade di Londra, Newcastle, Edimburgo, Glasgow e Manchester, assieme a tutte le principali città il 30 gennaio. Per protestare contro Donald Trump. Non si tratta dell’America colpita dai provvedimenti razzisti del nuovo presidente e dal “muslim ban”: queste affollate manifestazioni sono avvenute negli ultimi giorni in tutto il Regno Unito.

Da settimane in Gran Bretagna – nel paese che si appresta a lasciare l’Unione Europea dopo il referendum che poco più di 6 mesi fa aveva decretato la Brexit – migliaia di persone stanno scendendo in piazza contro Donald Trump. Il motivo? Impedire che al leader degli Stati Uniti sia permesso di venire nel paese per una visita di stato ufficiale con tutti gli onori, come annunciato dal premier Theresa May nella sua recente visita negli Stati Uniti.

A seguito dell’annuncio della visita, infatti, è stata lanciata in rete una petizione ufficiale per impedire l’evento diplomatico: “La ben documentata misoginia e volgarità di Trump lo squalificano dall’incontrare la Regina e il Principe del Galles”, recita il testo della petizione creata da Graham Guest, avvocato britannico che alla stampa ha detto di essere soprattutto: “Preoccupato per la sua Regina”.

Ma una petizione nata con spirito monarchico ha superato in poche ore il milione di firme, e in pochi giorni ha raggiunto quasi 2 milioni. Il 30 gennaio, si diceva, migliaia di persone sono scese nelle piazze di tutto il paese per protestare contro questa visita di stato, e per fare pressioni su Theresa May affinché condannasse i provvedimenti di Trump per il blocco dei musulmani negli aeroporti – e alla fine May ha dovuto ammettere: “Non siamo d’accordo”. Solo a Londra hanno manifestato 30.000 persone.

Quello che sta succedendo nel paese non ha precedenti: anche a seguito del referendum per la Brexit, che ha spaccato il paese con una campagna referendaria piena di odio, le manifestazioni per rimanere dentro l’UE erano state partecipate, ma non quanto la recente Marcia delle Donne. Che a Londra ha visto la sua più grossa affluenza fuori dagli USA, con 100mila persone in piazza. Ora, intellettuali ed artisti del paese hanno lanciato un manifesto per una nuova grande manifestazione contro Donald Trump (la cui data deve essere ancora decisa).

“Theresa May dovrebbe vergognarsi per avere stretto la mano a Trump”, ha spiegato alla BBC Clare Solomon, fra gli organizzatori della manifestazione di Manchester del 30 gennaio, che da sola ha coinvolto 3.000 persone. In questi giorni, infatti, sui social media britannici un’immagine di May che in visita alla Casa Bianca cammina mano nella mano col presidente Trump è diventata virale in rete, suscitato critiche e speculazioni. “Theresa the appeaser, Theresa la compiacente”, ha canzonato in parlamento il deputato della sinistra Stephen Pound, in un motto che è piaciuto molto al web.

Fra i manifestanti di questi giorni, i cittadini di minoranze etniche e religiose molto diffuse nel paese – che a partire dagli anni ’60 ha avuto un grande afflusso di immigrati dai paesi del vecchio Commonwealth britannico: Pakistan, Bangladesh, India, Jamaica, Nigeria. Presenti anche gli attivisti delle comunità LGBTQ, che ora temono nuovi provvedimenti contro i gay da parte di Trump. Ovviamente, una grossa fetta di manifestanti è rappresentata dalle donne: la marcia delle donne, infatti, è stata la più grande manifestazione globale degli ultimi anni.

Theresa May ha difeso l’invito al Presidente degli Stati Uniti: “Se non lo facessimo potremmo compromettere le trattative per un accordo fra i due paesi”, ha sostenuto May, che pochi giorni fa si era recata in visita da Trump – prima fra i premier di tutto il mondo – proprio per cercare di discutere un ipotetico accordo politico e commerciale fra UK e USA. Un accordo che, nelle intenzioni del premier, potrebbe mettere riparo agli eventuali danni di una “Brexit dura”, senza un nuovo accordo commerciale con i 27 paesi dell’Unione Europea.

Trump ha sostenuto di voler fare un accordo: “Prima possibile, molto velocemente”, ma i dubbi sono tantissimi, troppi per poter sperare che si possa fare entro i due anni che servono al paese per uscire dall’UE. C’è la questione della sanità, ad esempio, pubblica nel Regno Unito e privata negli USA, che rimane un forte rischio. Il tema degli OGM, proibiti in Inghilterra ma non in America. E una miriade di leggi e regolamenti per cui servirebbero anni di discussioni e trattative.

Di recente, infatti, May aveva delineato – dopo mesi di attese – la strategia del governo per procedere alla Brexit, accennando la possibilità che il paese possa anche decidere di uscire dall’UE senza trovare un nuovo accordo con questa. In quell’occasione, inoltre, Theresa May aveva spiegato che il Regno Unito sarebbe definitivamente uscito anche dal mercato unico europeo – e dunque procedendo alla strada nota come “Brexit dura”.

Questa settimana il parlamento britannico ha votato l’autorizzazione a procedere con l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, e dunque alla richiesta formale e definitiva per uscire dall’UE. 498 parlamentari hanno votato per la Brexit, mentre solo 114 si sono schierati contro (50 del Partito Nazionalista Scozzese e 47 ribelli del Labour, il cui leader Jeremy Corbyn aveva imposto l’obbligo di votare a favore della Brexit).

Nonostante l’indifferenza del premier Theresa May, tuttavia, il parlamento britannico ora è tenuto a discutere in aula la petizione per cancellare la visita di stato di Donald Trump: oltre le 100.000 firme la discussione diventa obbligatoria. Il raggiungimento di quasi 2 milioni di firme, dunque, è ben più che sufficiente perché il parlamento prenda in considerazione l’ipotesi. Il dibattito parlamentare è fissato per il prossimo 20 febbraio. Per quella data – o poco dopo – artisti, parlamentari ed intellettuali del paese stanno organizzando una nuova grande manifestazione.

In una lettera inviata al quotidiano The Guardian sono tanti i nomi celebri a richiamare l’attenzione su una nuova manifestazione popolare. Fra loro le cantanti Lily Allen e Paloma Faith, il comico televisivo Frankie Boyle, Bianca Jagger, il giornalista e scrittore Owen Jones. “Vogliamo portare in piazza un milione di manifestanti”, dice il testo della lettera. Ma sembra improbabile che il governo possa tornare indietro su una relazione diplomatica così fondamentale per la Gran Bretagna che si appresta a uscire dall’Unione Europea.

Il governo di Theresa May, inoltre, sembra spaventosamente vicino alle politiche xenofobe e discriminatorie di Trump. È stata May, dopotutto, ben prima che Trump fosse eletto Presidente, ad avanzare l’ipotesi che le aziende britanniche potessero stilare degli elenchi per identificare i propri dipendenti immigrati, con lo scopo di: “Svergognare le aziende che non assumono cittadini britannici”. Fu sempre May ad annunciare, solo pochi mesi fa, che dopo la Brexit il sistema sanitario nazionale avrebbe potuto licenziare in tronco i medici europei, per dare lavoro ai britannici.

È stato il governo di May a decidere di usare i tre milioni di cittadini dell’UE residenti nel Regno Unito come “moneta di scambio” nelle trattative. Insomma, se nel paese si scende in piazza per protestare contro Trump, è vero che proposte simili sono state avanzate in maniera quasi identica da Theresa May. Ma se in America l’attenzione si è concentrata sui musulmani, in Gran Bretagna l’obiettivo delle discriminazioni sono immigrati e cittadini europei. A cui più volte il ministro degli interni ha intimato (illegalmente) di lasciare il paese a seguito delle richieste (legittime) di passaporto britannico.

Secondo i numeri del Ministero degli Interni britannico le aggressioni razziste nel paese – che coinvolgono particolarmente i cittadini polacchi – sono aumentati del 41% nei mesi seguenti al referendum per la Brexit. L’organizzazione East European Resource Centre (EERC) sta cercando di sensibilizzare i cittadini europei dell’est residenti in UK a riportare i casi di violenze e aggressioni. Secondo il nuovo rapporto delle organizzazioni ebraiche del Regno Unito, inoltre, nel 2016 c’è stato un picco di aggressioni antisemite nel paese, con una crescita del 36% rispetto all’anno precedente.

Insomma, sembra che a seguito della Brexit non solo il nuovo governo conservatore di May, non eletto, ha avanzato l’ipotesi di preoccupanti provvedimenti razzisti. Ma il clima politico del paese, e l’insistenza del governo a non condannare questi episodi, ha legittimato estremisti e violenti di ogni tipo ad agire liberamente. E allora, c’è da chiedersi cosa possa cambiare la visita di stato di Trump, in un paese che già discrimina senza l’aiuto di partner esteri.

Anche per questo, forse, migliaia di persone frustrate dalla situazione del paese scende in piazza a manifestare in questi giorni.

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Michele Azzu è un giornalista freelance che si occupa principalmente di lavoro, società e cultura. Scrive per L'Espresso e Fanpage.it. Ha collaborato per il Guardian. Nel 2010 ha fondato, assieme a Marco Nurra, il sito L'isola dei cassintegrati di cui è direttore. Nel 2011 ha vinto il premio di Google "Eretici Digitali" al Festival Internazionale del Giornalismo, nel 2012 il "Premio dello Zuccherificio" per il giornalismo d'inchiesta. Ha pubblicato Asinara Revolution (Bompiani, 2011), scritto insieme a Marco Nurra.
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