La giungla degli stipendi dei manager pubblici e le difficoltà del governo
Polemiche dei parlamentari a parte, dare un bel giro di vite agli stipendi dei manager pubblici, così come previsto dal decreto salva Italia, sembra più arduo del previsto. Innanzitutto perché, come scrive Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, non è ancora chiaro chi possegga i dati sugli stipendi d'oro dei burocrati: la partita riguarda il ministero della Funzione pubblica e quello del Tesoro.
Una trasparenza opaca- Il ministero della Funzione pubblica ha sicuramente i dati dei direttori generali, ma non dei capi dipartimento, dei responsabili delle agenzie e di altre persone che rivestono ruoli apicali. Quelli dovrebbe averceli il Tesoro, dal momento che gli paga gli stipendi. Per quanto riguarda le Authority, poi, su internet è possibile visionare gli emolumenti percepiti da Presidenti e commissari. Praticamente solo quelli. Sui siti dei ministeri, infine, è possibile prendere visione degli stipendi dei dirigenti di seconda fascia, ma non di quelli che rivestono posizioni apicali. Come mai? L'operazione trasparenza dovrebbe permettere di accedere con un semplice click ai super stipendi dei manager, ma sembra che le cose siano più complicate del previsto.
Incarichi aggiuntivi: questi sconosciuti- Il decreto salva Italia dispone che la retribuzione annua dei manager pubblici non superi il tetto dei 305mila euro, di quanto cioè incassato dal primo Presidente della Corte di Cassazione. Nel tetto devono essere compresi anche gli emolumenti derivanti dagli incarichi supplementari, come quelli che molti burocrati ricoprono nelle aziende pubbliche. Un esempio che calza a pennello è quello del vicepresidente di Equitalia: nel 2010 tale carica dava diritto a 465 mila euro annui, un "bottino" che supera di 160mila euro il tetto del decreto salva Italia, ma che allora superava anche il tetto imposto da un regolamento voluto Brunetta, che stabiliva che nessun incarico aggiuntivo potesse oltrepassare la retribuzione del Presidente di Cassazione. Ovviamente, se tale dato fosse stato pubblicato su internet, sarebbe stato facile accorgersi del disguido. Ma così non è stato.
L'elenco al Parlamento dovrebbe essere consegnato oggi- Per conoscere quindi a quanto ammontano gli emolumenti in questione, serviranno a poco anche le buste paga. Bisognerà andare a spulciare nelle dichiarazioni dei redditi. Sarà una faticaccia. Oggi, 23 febbraio, è il giorno in cui il ministro della Funzione pubblica Patroni Griffi aveva promesso di dare al Parlamento i nominativi dei super-manager pubblici che guadagnano più di 305mila euro, compresi gli incarichi supplementari. Una scadenza che, a meno di sorprese, sarà difficile rispettare.
Niente tagli per società regionali e municipalizzate- La disposizione del salva Italia sui tagli agli emolumenti degli alti dirigenti pubblici non sembra poi priva di falle. Innanzitutto non è chiarissimo a chi si applica. A tal proposito, sarebbe opportuno un emendamento che ne circoscriva in maniera tassativa gli ambiti di applicazione. Per quanto riguarda i dirigenti delle società statali, poi, il decreto prevede dei tetti variabili per "fasce sulla base di indicatori quantitativi e qualitativi". Ebbene, queste fasce avrebbe dovuto stabilirle un decreto del Tesoro da emanare entro 60 giorni. I 60 giorni, però, sono scaduti lo scorso lunedì e del decreto nemmeno l'ombra. In base a quanto disposto dal milleproroghe, dovrebbe slittare al 31 maggio. Si vedrà. Un'altra falla riguarda i super manager di regioni ed enti locali, sui quali il governo non ha potuto intervenire per prerogative costituzionali. Escluse dal tetto anche le società regionali e municipalizzate, che spesso elargiscono stipendi perfettamente in linea, se non superiori, a quelli dei manager delle grandi imprese statali. L'ad di Atac, ad esempio, porta a casa 596mila euro annui, il direttore e amministratore della Sea 650mila euro. E Rizzo, sul Corriere, conclude così: "650 mila euro è più del doppio dello stipendio del presidente degli Stati Uniti Barack Obama: quattrocentomila dollari. Non fa un certo effetto?".